ABORIGENO O o 2.0: QUANTI FEMMINISMI?
SOLO INSIEME SI PUO’ TRASFORMARE IL MOONDO

C’è il femminismo aborigeno e quello «cosmetico» o radical chic, il femminismo della differenza e delle differenze, il femminismo 2.0 e dei diritti rivendicati, delle quote e della democrazia paritaria del 50/50. Tante donne (e nessun uomo) l’altra sera alla Casa delle Donne di Milano per dialogare sulla pluralità che caratterizza e ha sempre caratterizzato il Movimento, sui «Femminismi» appunto, titolo dell’ultimo numero della rivista Leggendaria. E la pluralità, il rifiuto di un pensiero unico e di un unico percorso, ha detto Grazia Longoni che ha aperto l’incontro, la ricerca dell’ascolto e del confronto accomuna le scelte culturali e politiche di Leggendaria, testata indipendente nata nel gennaio 1997 nonché ormai quasi unica rivista femminista cartacea, e la Casa delle donne, che dedica il 2015 proprio allo studio e alle testimonianze sul passato e il presente del movimento delle donne. Otto le partecipanti alla tavola rotonda «Quanti femminismi?». In ordine di età decrescente, dai 70 anni ai 30Daniela Pellegrini, Barbara Mapelli, Giovanna Pezzuoli, Silvia Neonato, Chiara Martucci, Barbara Bonomi Romagnoli, Camilla Gaiaschi, Arianna Mainardi.

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E il tema generazionale è stato la trama trasversale di tutti gli interventi, con diverse sottolineature, secondo l’età, le storie e le esperienze, ricordando, come ha detto Silvia, che il «vulnus» centrale per le più giovani è quello dell’assenza o della precarietà del lavoro. Sempre presente anche nella «scoperta» della violenza e nelle campagne che ne sono nate, nel tema controverso della parità e nelle battaglie per i diritti cosiddetti acquisiti e che invece appaiono talvolta perduti, comunque da tutelare.

Ancora, sono emerse la diffidenza di alcune verso la teoria della differenza sessuale e la critica radicale all’eterosessualità come norma, con la ricerca di intrecci tra varie differenze e la volontà di far emergere la fluidità delle scelte e delle identità sessuali, come ha scritto Barbara nel suo bel libro «Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio». Ed è stato allora osservato come vi sia anche un problema di comunicazione, la ricerca necessaria di linguaggi comuni e la necessità di tradurre anche per chi è al di fuori la nostra esperienza senza il timore di perdere la ricchezza dei vissuti.

Nel rispetto, come si diceva, delle scelte diverse: Camilla dalla lezione del femminismo americano di Joan Scott e Nancy Fraser è approdata a Snoq, di cui apprezza l’eterogeneità e la capillare diffusione pur ammettendo «un certo mal di pancia» di fronte al sospetto di perbenismo e a quella democrazia del 50/50 che trascura i trans gender; Arianna, sua coetanea, con il suo gruppo Ambrosia cerca differenti alleanze (il movimento No expo) e mette in guardia dal rischio di un femminismo depoliticizzato che presta il fianco a politiche neo-liberiste.

Per tutte può valere, ha sottolineato Chiara, la pratica di virtù collettive, come la pazienza, accettando anche le pause e gli apparenti

arretramenti.Virtù come l’ammissione della propria imperfezione e al contempo il riconoscimento delle imprese delle altre, cancellando quel difetto di amore che ci porta a ignorarle. E imparando dal saper delle api che per trasformare l’esistente occorre farlo insieme.

Poi, la resistenza, il coraggio di essere e presentarsi al mondo per chi si è, con i propri desideri e le proprie azioni. E c’è un’ultima, inaspettata virtù: l’ambivalenza, ovvero la capacità di convivere con le contraddizioni che abbiamo dentro di noi nel continuo oscillare tra la costruzione di singolarità e il bisogno di una dimensione collettiva.

Nelle parole scambiate tra le relatrici vi è stata anche la ricerca di continuità tra generazioni ed esperienze: si è parlato allora della grande lezione del partire da sé, che ormai ci appartiene, a tutte, di qualunque età, come modo di stare nel mondo e interpretare quel che nel mondo accade, il sé di ciascuna come filtro del reale, attraverso il proprio sentire e pensare. Un metodo che parte dall’esperienza per definire i significati di ciò che si vive, ma che riesce anche ad esprimere desiderio e capacità di cambiamento. Nella convinzione che sia più che mai attuale la pratica dell’autocoscienza, ha detto Daniela, prima testimone del movimento femminista, che confessa di «non essersi mai separata dall’idea del separatismo».

Tra donne, tra noi che ci riconosciamo nelle diverse forme e pensieri che il movimento ha sviluppato non desideriamo però che ci siano maestre, figure di donne esemplari, piuttosto narratrici di storie, le proprie, che vanno attualizzate al presente, riconoscendo a chi è più giovane la legittimità di disegnare i nuovi racconti e divenire, così, matrici di vero mutamento.

Nei momenti finali dell’incontro è stato introdotto anche il tema dei rapporti con gli uomini, nel momento in cui noi donne proseguiamo l’opera complessa di «decolonizzazione», secondo l’espressione di Carla Lonzi, un’opera complessa e infinita che dovrebbe cancellare quanto le culture maschili hanno plasmato in noi, in ciascuna e in tutte, il dover essere di desideri, seduzioni, pensieri, insomma le forme, le regole e le norme della femminilità. Perché il nostro percorso di liberazione si misura anche nella capacità di mutare le relazioni con gli uomini.

Mentre gli uomini, ma solo alcuni, sempre troppo pochi e sempre gli stessi, stanno cercando di ricostruire una loro immagine di parzialità che escluda il più possibile la pretesa di universalità e neutralità.

Il dibattito volge alla fine e proprio in ultimo una domanda: a che serve una Casa delle donne? Abbiamo bisogno di luoghi, è la risposta, luoghi per incontrarci e confrontarci, nelle nostre diversità, luoghi liberi come questo. E dunque, nel finale di serata, la promessa scambiata di andare avanti insieme, la Rivista e la Casa, e altre ancora che vorranno, dandoci ospitalità reciproca, scambi di propositi, pensieri ed esperienze. Nella convinzione che non è una bazzecola il compito che ci attendese come ha detto Carol Gilligan, «il femminismo è quel movimento che deve eliminare il patriarcato dalla democrazia».

 Barbara Mapelli e Giovanna Pezzuoli
articolo apparso su “La 27esima ora”, 23 marzo