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Giovedì 26 giugno, la prima delle serate della pride week alla Casa. Tre scrittrici ci parlano delle genealogie letterarie del loro impulso creativo.

E’ una sera tiepida di fine giugno. La sala dalle pareti arancio si è riempita piano piano. Dalle finestre entra un po’ di vento. Ci sorridiamo e cominciamo.

La prima a parlare è Deborah Brizzi, giallista che ha precipitato su carta parte della sua esperienza lavorativa compiuta indagando in polizia giudiziaria.
Si alza, e si conquista il proscenio. Arringa la sala a piccoli passi. Comincia a descrivere il suo percorso dentro la lettura, alla scoperta di sé.
1Il primo libro che ha letto è stato Favole al telefono, di Gianni Rodari, lo strumento della lettura le ha aperto nuovi modi di espressione, e di riconoscimento. A tredici anni intercetta Oscar Wilde, l’autore degli aforismi più arguti che viene incarcerato per il suo amore, e che dalla cella compone il De profundis, una lettera d’amore e di disillusione al suo amante Bosie.
Durante il liceo arriva Proust. Deborah attraversa la Rècherche, iniziando a esplorare se stessa. A 40 anni scrive il suo primo libro Ancora notte, lo manda in Rizzoli, lo accettano. Le chiedono di sviluppare alcuni personaggi, di richiamare dopo tre mesi.
Riscrive i personaggi e richiama. Tre anni dopo.
E’ stato in questo lasso di tempo che Deborah ha focalizzato i personaggi e localizzato se stessa. Fa coming out a lavoro. Nell’ambiente di polizia, tradizionalmente maschilista, trova la cura dei colleghi, e la libertà di raccontare sé eliminando la zavorrante reticenza.
Ci lascia con una citazione di Proust.

Ogni lettore quando legge legge se stesso. L’opera dello scrittore è una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di distinguere quello che senza il libro non avrebbe forse visto in sé stesso.

Si siede. Scroscia un lungo applauso.

2E’ il turno di Michela, attivista lesbica e presidente della Casa delle Donne, autrice dell’E-book Nuda. Rompe il ghiaccio ridendo:

– Devo fare da collante fra Proust e la poesia – e lascia la parola ad Ornella, che legge una scena di eros patinato reperito su un romanzo d’appendice, donato dalla zia (Judith Krantz, Principessa Daisy)

– E’ così che ho scoperto di essere lesbica – spiega Michela – e non ne ho avuto paura.-
E’ stato riconoscersi nelle parole. Ha dato un linguaggio, che più tardi sarebbe diventato anche politico, a ciò che sentiva.
Con Stone butch blues di  Leslie Feinberg apprende che le lesbiche non solo esistono, ma hanno una storia. Negli anni ’50 venivano arrestate le donne che non erano in possesso di almeno 3 indumenti femminili. E poi i moti di Stonewall, e il confronto, affrontato nel libro, fra il femminismo radicale e lil processo di transizione di genere. Ornella legge alcuni stralci della lettera che apre Stone butch blues, le parole che Jess, il protagonista, scrive alla compagna che lo lascerà durante il percorso di transizione da femmina a maschio.
Il percorso di Michela si chiude con Babyji di Abha Dawesar, autrice indiana che scrive di vita saffica quotidiana con leggerezza, senza più quel portato drammatico di fatica presente in tanta letteratura lesbica. Forse il futuro sarà finalmente “roseo”?

3Conclude il percorso letterario Nicoletta Buonapace, poeta femminista e attivista del movimento lgbt. Il ritmo cambia, ci addentriamo nell’indagine speleologica del senso di ogni parola, una ricerca carsica di riappropriazione seguendo le tracce di Audre Lorde e Adrienne Rich. Le loro poesie sono carnali, vive, intrise di passione politica e di quel principio di senso e di piacere, teorizzato da Lorde, che impregna di intensità e pienezza le nostre azioni e il nostro linguaggio.

Nicoletta traccia il percorso delle due biografie con chiarezza ed emozione. Dalla Poesia d’amore affissa da Audre Lorde nella bacheca universitaria, quando decise di fare coming out, per la necessità di creare il linguaggio del proprio amore, all’esortazione a riappropriarsi delle parole, ad usarle, a comunicare senza paura, senza pensare che la poesia sia un lusso.

Quando parliamo abbiamo paura
che le nostre parole non verranno udite
O ben accolte
Ma quando stiamo zitte
Anche allora abbiamo paura

 Perciò è meglio parlare
Ricordando
Che non era previsto che noi sopravvivessimo.

[Audre Lorde – Litania per la sopravvivenza]


foto 2I tre interventi sono stati diversi, pieni, intensi, autentici. Abbiamo riso, abbiamo pensato, ci siamo emozionate. Abbiamo guardato: in alto, in basso, un foglio, un viso, la penna. Mi sembra di percepire un’energia leggera e sincera che a fine serata circola nella sala, come un venticello. Ci salutiamo, ci abbracciamo. Un mio caro amico, umile e grande, che senza pretese si è seduto in fondo alla sala, viene a salutarmi. Conosceva  già Adrienne Rich, ma non Audre Lorde. Con occhi brillanti mi dice che gli si è aperto un mondo. Che vuole saperne molto di più, lui (maschio), di questa letteratura lesbica che non conosce.
Roba da far accapponare la pelle alla teoria gender.

Alessandra Ghimenti