Cutrufelli_libri

Dopo il primo incontro organizzato con la partecipazione delle curatrici del volume “L’invenzione delle personagge”, il gruppo Bibliomediateca, insieme a quello di Libr@rsi, ha realizzato un vivace dibattito con una delle scrittrici presenti nel libro: Maria Rosa Cutrufelli. Il legame parentale fra la scrittrice e le personagge è particolarmente forte. Lei le cerca nelle pieghe della Storia, oppure le intravede nella cronaca, spesso frettolosa, convulsa e di vita breve, o le indaga negli archivi a cominciare da un documento, una sentenza, una traccia impigliata nello scarno linguaggio burocratico. Riesce ad intravederle anche dietro le carte firmate da uomini, nei giorni di un racconto tutto al maschile. E quando le ha trovate diventano sue: ne illumina i corpi, il carattere, le scelte, perfino i piccoli tic e le fobie. Ne fa fuoriuscire lo spirito, il perché stanno al mondo e il come si muovono nello spazio e nel tempo.

Documentarsi sul tempo e sullo spazio è fondamentale, perché in quei confini si è definita la loro storia” afferma la Cutrufelli, durante l’intenso incontro avvenuto nella Casa nel pomeriggio del 30 maggio. Lei si documenta dettagliatamente anche sull’ambiente, scandagliando, se necessario, documenti e scritti di vario genere di quell’epoca. A volte anche nelle lingue e dialetti locali il cui eco rimane impigliato nella sua scrittura e nel suo stile che differisce da un libro all’altro proprio a seconda del periodo storico in cui è ambientata la narrazione. Indaga anche sulle persone con le quali la sua personaggia è venuta a contatto, che l’hanno semplicemente sfiorata o osservata da lontano. Dà loro fiato e punto di vista, così da creare un coro di voci differenti tra loro ma legate da una scala armonica che l’autrice ha nella testa.

Sono interessata alla relazione” ammette quando le si chiede della caratteristica polifonia dei suoi romanzi. Le interessa il rapporto tra le personagge, le loro esistenze contigue e le relazioni vecchie, nuove o occasionali che si tessono lungo la narrazione. Il risultato è un racconto corale ma al contempo osservabile come attraverso un caleidoscopio, con le verità e il vissuto di ciascuno. E’ l’empatia dell’autrice che lega tutti: personagge e personaggi.

La pagina è sessuata” dichiara, ribadendo quanto ha già detto nel saggio “L’invenzione delle personagge”. E’ convinta che la pagina scritta da una donna e quella scritta da un uomo portino le rispettive impronte. Non tanto per un fatto di stile quanto per una visione del mondo che le connota. E in questa visione accetta il neologismo personagge che, dunque, non vuole essere un’imposizione polemica né ridursi a mera coniugazione femminile del vocabolo personaggi. Vuole piuttosto indicare tutte le donne di carta che testimoniano di quelle in carne ed ossa, sottratte all’oblio, e che sono state illuminate sciogliendone le ombre, quelle che hanno varcato i confini, che hanno alzato la voce quando veniva imposto loro di tacere, che si sono impadronite di terre inesplorate e hanno fatto un movimento imprevisto, uno scarto che ha cambiato il corso della loro storia. E questo vale per eroine come Olympe de Gouges ma anche per le dieci “maestrine” marchigiane dell’inizio del Novecento, i cui nomi non sono noti, che hanno osato chiedere il diritto di voto, o i due bambini testimoni della tragedia di Portella della Ginestra o anche di una giovane killer di mafia, con tutta la complessità della sua scelta cruenta. Cutrufelli non sceglie storie facili perché le storie delle donne non sono facili e perché uscire dall’ombra di una Storia negata è un cammino tortuoso e a volte pieno di contraddizioni.

“Avevo diciotto anni ed ero affamata di storie. Ma non di storie qualsiasi.

A quel tempo, verso la fine degli anni Sessanta, noi ragazze si viveva in una specie di vuoto. Ben pochi, allora, erano i libri che si preoccupavano di testimoniare, documentare o addirittura provare la nostra esistenza nella Storia. A un certo punto però, (difficile stabilire esattamente<<quando>>) cominciammo a stufarci di questa faccenda, cioè di non possedere un passato. […] avevo l’impressione che il mito della <<Donna>> non corrispondesse affatto alla vita e all’esperienza  delle <<donne>>. Pensa e ripensa, giunsi alla conclusione che quel magnifico singolare era in realtà un dono avvelenato, capace di annullare con il suo peso le nostre varie e <<plurali>> esistenze. E allora, poiché non volevo più vivere immersa in una femminilità senza tempo, senza volto e senza voce propria, cominciai a cercare, nella Storia, le storie”. (Postfazione al romanzo “La donna che visse per un sogno”).

Con questa sorta di testamento letterario la scrittrice ci lascia i suoi averi. Non sono da dividere, ciascuno prenda quello che vuole. Anche tutti.

Angela Giannitrapani

Gruppo Libr@rsi