Volere/potere essere madri e padri – Casa dei Diritti, 7 gennaio 2015

“Io voglio due mamme!” Maternità biologica e sociale: per chi ha senso distinguere?

Cosa succede quando le persone vengono a sapere della vostra famiglia? C’è differenza tra essere madre biologica e madre sociale? Avete mai incontrato difficoltà? Come si comportano gli altri? Cosa ne pensano le vostre famiglie? Al lavoro lo sanno? Come percepiscono i vostri figli la loro situazione? E gli altri bambini? I bambini stanno bene?

Si, grazie, i ragazzi stanno bene! Milo e Mattia hanno 3 anni e 8 mesi frequentano la scuola materna di viale Porpora, hanno 4 nonni, un certo numero di zie e zii, una cugina, amiche e amici con cui giocare, parlano, giocano, ridono, fanno i capricci, guardano peppa pig, giocano con l’app della Pimpa, adorano Nemo e Frozen e possiedono un certo numero di macchinine di Cars. Assomigliano in tutto e per tutto a molti bambini della loro età.

A tutte le domande che abbiamo elencato prima, la nostra risposta suona sempre nello stesso modo: il nostro vissuto e la nostra esperienza ci sembrano simili a quella degli altri genitori e, per il momento, ci sembra che anche i nostri figli vivano la composizione della loro famiglia come qualcosa di naturale. “Io voglio due mamme!” è proprio quello che dicono i nostri figli quando avvertono che una di noi due sta uscendo o che qualche evento modificherà a breve la configurazione a 4 che loro avvertono essere, sin da piccoli, la loro famiglia.

E anche per i loro compagni di classe il fatto che nella nostra famiglia ci siano due mamme, non sembra essere particolarmente strano. Samuele, un compagno di Mattia, figlio di una coppia mista, dopo 1 mese di scuola mi ha domandato “tu sei una delle due mamme vero?”. Marshall, un bambino nigeriano di 5 anni, compagno di Milo e col quale parlo tutti i giorni, una volta si è rivolto ad Ada e le ha chiesto “Ma anche tu sei la mamma di Milo vero?”. Alle maestre dei nostri figli abbiamo regalato Piccolo Uovo, un libro pubblicato dallo Stampatello, che affronta il tema dei molti modi in cui può essere costituita una famiglia. Le maestre lo hanno letto e poi hanno chiesto ai bambini di disegnare quello che gli era piaciuto e di descriverlo. Ecco alcuni esempi….

 

 

E gli adulti? Una mamma alla festa di Natale, ci ha guardato negli occhi e con aria dubitativa ci ha detto: “ma uno è tuo e uno è tuo, vero?!”. Quando le abbiamo spiegato che io ero la madre sociale e Ada la mamma biologica a quel punto con aria complice ci ha detto: “ma non avete potuto farlo in Italia, vero?!…è incredibile quanto siamo arretrati”.

A quanto pare, quindi, quando piccoli e grandi fanno esperienza della nostra famiglia, entrano in contatto con noi, la vivono come qualcosa di possibile, reale, forse addirittura naturale.

Si, la parola giusta per descrivere la nostra famiglia, due bambini e due mamme, a noi pare proprio questa: naturale. A qualcuno che probabilmente non è in questa sala oggi, parlare di famiglia naturale nel nostro caso potrebbe sembrare un ossimoro, ma per noi è semplicemente la matrice che abbiamo saputo e potuto dare al nostro progetto di vita comune, al desiderio di divenire madri e di costruire una famiglia. Un progetto che ha potuto realizzarsi soprattutto grazie al sostegno e all’amore incondizionato delle nostre famiglie di origine, alla visibilità che abbiamo scelto di dare alla nostra relazione nel contesto professionale e alla condivisione dello stesso desiderio con coppie di amiche che lo hanno portato avanti parallelamente e insieme a noi. Crescere e vivere in una città come Milano ci ha certamente facilitato, ma più di questo riteniamo che l’intreccio tra culture familiari ispirate al rispetto reciproco e alla libertà, il desiderio di realizzarsi come persone e come professioniste e la solida rete di relazioni amicali di cui facciamo parte, siamo l’aspetto determinante che oggi ci permette di essere naturalmente madri dei nostri figli.

E cosa ne è di questa “naturalità” quando gli interlocutori non sono le persone con le quali si può avere un contatto diretto? Cosa succede insomma quando si accede ai servizi educativi e a quelli sanitari? Tutto quello che abbiamo detto in precedenza continua a valere?

Sin da quando Ada è rimasta incinta e ci siamo presentate come coppia alle visite di controllo e poi in ospedale quando sono nati i bambini e poi per le vaccinazioni e poi dalla pediatra, non abbiamo mai avuto alcun problema. Stessa accoglienza all’asilo nido e alla scuola materna, dove abbiamo instaurato un ottimo rapporto con Dirigenti ed educatrici.

Poi qualcosa è accaduto. Mi sono proposta per candidarmi come rappresentante dei genitori per le elezioni del Consiglio di Unità Educativa e lì è sorto l’inghippo.

La Dirigente, pur supportando il mio diritto a candidarmi e ad esprimere il mio voto, mi ha fatto capire che si trovava in un impasse procedurale: la mia posizione giuridica non è quella del genitore e neanche quella del tutore. E allora chi sono? Sono una madre sociale, quella che per la legge italiana, oggi, non ha alcun diritto e alcun dovere nei confronti di Milo e Mattia, i nostri figli.

Non mi arrendo e mi rivolgo alla Casa dei Diritti convinta che sia possibile e necessario trovare una breccia nell’Ammistrazione Comunale e rendere attuativo il registro delle Unioni di fatto istituito dalla giunta Pisapia. Grazie alla determinazione di Antonia Paternò arriviamo a costruire un canale di comunicazione con l’Assessorato Educazione: ci sediamo tutti allo stesso tavolo e mi viene comunicato che in virtù del fatto che all’anagrafe Ada ed io siamo sullo stesso stato di famiglia e siamo iscritte al Registro delle Unioni Civili, posso candidarmi ed esprimere il mio voto.

A questo punto mi candido, scrivo un volantino dicendo perché voglio farlo, parlo della nostra famiglia e lo faccio circolare tra i genitori delle classi dei nostri figli. Ada ed io siamo già pronte all’eventualità che non ne venga fuori nulla e invece vengo eletta con la maggioranza delle preferenze. Ha vinto la visibilità! Hanno vinto i diritti!

Ma allora esiste la discriminazione? Oggi la discriminazione non esiste nella testa delle persone, non esiste nella loro esperienza quando entrano in contatto con famiglie come la nostra. Come le nostre. Perché per fortuna iniziamo ad essere sempre di più.

La discriminazione è resa evidente dall’afasia giuridica nei confronti di scelte e traiettorie di vita segnate dal desiderio, dal coraggio e dalla responsabilità personale e civile che i genitori delle famiglie omogenitoriali si assumono ogni giorno, genitori sociali o biologici che siano. Una discriminazione che appare evidente sin dal momento in cui si decide di intraprendere questa avventura, dove il primo ostacolo è l’accesso alla procreazione assistita nel nostro paese, situazione che impone di rivolgersi ad altri paesi Europei, sostenendo costi economici ed emotivi non irrilevanti. In Italia oggi non c’è alcuna possibilità per le coppie omosessuali di accedere ai protocolli di procreazione assistita e, per le coppie di donne, di ottenere il seme di un donatore. Non rimane quindi altra possibilità che espatriare e andare ad alimentare il recente fenomeno del turismo procreativo, investendo denaro, tempo e fatica emotiva, soprattutto se il percorso si rivela accidentato. La dotazione minima per intraprendere il viaggio prevede un portafoglio pieno, un lavoro minimamente flessibile, un utero “accogliente” – come lo definì una ginecologa riferendosi all’assenza di fibromi e cisti che potevano ostacolare l’impianto dell’embrione – stabilità emotiva, resistenza alla frustrazione, resilienza, spirito di iniziativa, accettazione del fallimento e, non ultima, una minima conoscenza dell’inglese. Questo viaggio avventuroso lo abbiamo fatto insieme, sin dal primo momento ed è per questo che per noi non ha senso fare una distinzione tra madre biologica e sociale e, di conseguenza, attribuire a noi stesse ruoli differenti in virtù di una gravidanza vissuta nel e sul corpo.

La domanda, però, resta ancora aperta: per chi ha senso distinguere tra maternità biologica e sociale?

Non certo per i nostri figli che ci conoscono in base alla loro esperienza e alla relazione che noi costruiamo giorno dopo giorno con loro, dove non esiste alcuna attribuzione distintiva tra mamma Ada e mamma Sara, se non le nostre caratteristiche personali. E siamo fiduciose che questo faccia e farà la differenza.

Sara Taddeo