C’è Casa e Casa: da quella “circondariale di Monza” alla nostra di via Marsala 8.

La nostra festa? Un tripudio. Quante eravamo: 1.000? 1.500?  E con tutti gli eventi per l’8 marzo sparsi in città, certo, non pensavamo proprio di vedere quella folla di donne (con anche qualche uomo), sino a tarda sera. Tanto che qualcuna ci ha addirittura detto che la nostra Casa, 700mq, “è piccola per noi”…

“Sono rimasta incantata, non pensavo venissero in tante. Ed erano tante forse perché abbiamo bisogno di essere più forti, aiutandoci l’un l’altra. Noi donne siamo ancora molto fragili”, dice A, 48 anni. “E’ la prima volta che vengo in una Casa delle donne e non credevo ai miei occhi nel vedere una folla del genere”, aggiunge G, 27 anni “ E’ chiaro che c’è un grande interesse, forse c’è un gran bisogno di stare insieme per affrontare i tanti problemi che abbiamo”, osserva  J., 24 anni. E R. 58 anni “Che bella questa idea di incontrarsi, parlare tra donne, che con i maschi è tanto complicato ”.

E non sono pareri raccolti tra le nostre socie. Ma impressioni, riflessioni di quattro detenute, tutte straniere, della Casa Circondariale di Monza che hanno partecipato alla nostra festa.

“Da quella Casa dove certo non è piacevole stare sono venuta nella vostra Casa e per tutto il tempo mi sono dimenticata che sono una carcerata e mi sono sentita una di voi, uguale”, dice A. La stessa cosa sottolinea G.“ Da tanto tempo non mi sentivo così. Mi era sparito il pensiero di essere una detenuta” E J. “ Ci sentiamo dimenticate, siamo un numero e chi sta fuori non pensa a noi e voi, invece ci avete invitate”.

Le abbiamo invitate, ma in realtà erano già venute qualche giorno prima ad aiutarci a pulire i nostri spazi, perché cercando qualcuna che ci desse una mano per lustrare la Casa che sembrava un cantiere, abbiamo scelto proprio loro. Sono arrivate con aria compunta, preoccupata, accompagnate da una volontaria e poi ieri, dopo essere ritornate ad aiutarci ancora a mettere a posto, ci siamo salutate tra grandi abbracci e promesse di rivederci e di scriverci.

L’8 marzo si sono aggirate tra le nostre stanze da ospiti. “Mi ha colpita una foto della mostra “Chiamala violenza non amore” di GIULIA, l’Associazione di giornaliste: il volto della donna che ha davanti le sbarre”, rivela J. “Le sbarre per me ora sono quelle del carcere, ma è anche la condizione in cui ci si sente quando si subiscono i maltrattamenti da parte degli uomini, come è accaduto a me. E, rappresenta bene la mia esperienza anche un’altra foto quella dell’uomo con in mano da una parte i fiori e dall’altra il coltello”, aggiunge.

 

Ma, G. ha apprezzato di più la performance della ragazza che indossava il mantello colorato “pelle d’oca” cucito a più mani dalle ragazze del corso di Terapeutica Artistica dell’Accademia di Brera, perche: “ Io faccio teatro in carcere e quel piccolo spettacolo con quella musica mi ha emozionata”. Mentre A.e R. dicono che una Casa come la nostra può permettere alle donne di parlarsi tra loro, raccontare le loro storie e avere informazioni quando si arriva spaesate in Italia e puoi fare brutti incontri, cadere in tante trappole come è accaduto a loro che hanno sbagliato. E poi tutte: che bella questa cosa che voi invece di stare a casa vostra, a farvi i fatti vostri siete qui ad incontrare tutte, anche noi. E questo l’andremo raccontando, lo diremo anche alle nostre amiche in carcere che c’è questo posto a Milano. I complimenti, certo, ci lusingano e li prendiamo con grande piacere. “ Io scrivo poesie, confessa R. e ne scriverò una su questa Casa e su di voi e poi ve la manderò”. Mi piacerebbe tanto ritornare, dice G. e le altre concordano.

Ma ritorneranno, perché Michelangela Barba, la loro educatrice, ci ha detto che le farà partecipare agli incontri del nostro “Laboratorio Interculture”, se sarà possibile. E per giugno ci chiederà di venire nella nostra Casa a rappresentare lo spettacolo che stanno allestendo.

 

Riusciremo pian piano a fare di queste “8 stanze tutte per noi”, come le chiamiamo, la Casa di “tutte”? Intanto abbiamo iniziato così.

giulia

Francesca Amoni