E di questo “quarto sabato del tè”, non abbiamo nemmeno una foto! 

Per la prima volta ci siamo dimenticate di “documentare”, né a nessuna di noi è venuto in mente di farsi almeno un “selfie”. Smemorate? Poco attente a comunicare a tutte “visivamente” qualcosa dei nostri sabati che è la cosa più facile, (leggere questa “cronachetta” è già un impegno)? No. Piuttosto, rapite e travolte dalla piacevolezza del rincontrarci e totalmente prese dalle nostre attività…

Come far festa alle donne nuove, tante, che sono arrivate e si sono anche iscritte. Le accogliamo una ad una, poi, giocando, le salutiamo in coro. Forse preparandoci per i nostri canti collettivi che ormai sono diventati d’obbligo, anche se sappiamo che non diventeremo mai il coro della Casa. Manuela ci dà il “la” al piano, inizia con la su voce intonata e noi dietro. Cantiamo anche per le nostre amiche socie che stanno allestendo il mercatino dall’altra parte della Casa, che sono venute a trovarci.

O preparare sul tavolo le torte salate, di cioccolato, semifredde (che rischiano di sciogliersi con il caldo che fa), e anche le bevande: dal tè caldo siamo passate al tè freddo…

E poi dire chi siamo e cosa facciamo in questa Casa, nel “laboratorio interculture” e in questa stanza in un sabato tanto umido e afoso.

Ma basteranno le nostre parole per descrivere alle nuove arrivate i nostri progetti? Sicuramente no…  ed è attraverso il racconto del “viaggio” (perché continuiamo il racconto dei nostri “viaggi”) di Lucia che le altre iniziano a capire e sentire lo spirito dei nostri incontri. Lucia,  per sette anni è stata immigrata in Inghilterra tempo fa, quando un viaggio andata e ritorno costava uno stipendio. Si ricorda il cielo grigio di Londra, il primo colloquio di lavoro, la diffidenza, e gli stereotipi verso gli italiani. Ha fatto le pulizie, si è adattata a ogni lavoro. L’incontro con una donna che sarà la sua compagna per diverso tempo. E oggi si considera più ricca, perché ha due paesi cui appartenere e due lingue cui abitare.

Rosa condivide con noi l’immagine di sé bambina a Chimborazo in Ecuador. Giocava insieme a Cuti, una bambina con vestiti e abitudini diverse dalle sue, figlia di campesinos che lavoravano allora per i “teratenientes”. Era diversa da lei, e anche lì stereotipi su questa gente della campagna. Ma con lei ha vissuto momenti di spensieratezza. Perché considerarla diversa? Nel tempo ha riflettuto su questo e poi la sua scelta di impegnarsi nel sociale.

Marieva, nuova arrivata, pensa che dobbiamo mettere a confronto le culture così come mettiamo il cibo sul tavolo.

Intanto mi assale il dubbio che in tante ci si porta dentro un “viaggio” di migrazione, non solo noi che veniamo da altri paesi lontani. E Lucia, anche lei, arrivata oggi, insegnante delle elementari, venuta anni fa dalla Puglia trova che la parola che più si addice alla città di Milano sia la cordialità, anche se molti credevano che i meridionali coltivassero i pomodori nella vasca da bagno… Maria Rosa, padre pugliese e madre lombarda dice che le storie di migrazione ti impongono di inventarti un’identità al di là degli stereotipi ed é convinta che i figli nati da tali incroci siano i migliori… Maria partita moltissimi anni fa da Bari insieme al marito, non per necessità di lavoro, ma per trovare spazi di libertà, perché lì c’era qualcosa di socialmente doloroso che li opprimeva, racconta del freddo, della nebbia, della sua solitudine.

E quando Felicitas che non è mai mancata ai nostri sabati, ma mai ha detto di sé, prende per ultima la parola e ci parla della sua storia di migrante, che nel ’91 non trovava una casa in affitto, della fatica, ma anche della soddisfazione  perché il figlio dopo l’Università sta frequentando un master a Lima, sappiamo con certezza che tutte insieme abbiamo fatto un grande viaggio, che non abbiamo lasciato nessuna indietro e che nessuna è né più né meno dell’altra!

Intanto ci sventoliamo tutte, chi con ventagli, chi con pezzi di carta: fa caldo. La leggerezza con la quale ci muoviamo in questa stanza e la competenza con la quale ormai, tutte noi troviamo risposta a ogni domanda di chi arriva, il modo di fare di ciascuna,  fa di noi un gruppo consolidato ed accogliente.

Carmen Gulap