Ne parleremo alla Casa sabato 10 ottobre 2015 alle 10.30.

Belarus-Free-Theater-e-Stop-TTIP-dicono-no-al-fracking_3Per mesi la RAI ha mandato in onda un non breve spot pubblicitario decantando i benefici effetti del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti imposto dagli Usa alla UE in assoluta segretezza. Secondo la pubblicità il TTIP (Trattato Transatlantico per il Commercio) contribuirà a portarci fuori dalla crisi e garantendo più crescita, più esportazioni, più occupazione, meno lacci e laccioli. Lo spot fa leva sulla quasi totale disinformazione su un argomento dalle ricadute pesanti sulla vita di ciascuno di noi.
Non è così negli altri paesi europei dove la discussione pubblica sul TTIP è resa maggiormente  possibile da un sistema d’informazione più libero e democratico.

I negoziati per il TTIP sono iniziati in assoluta segretezza tra i funzionari della Commissione europea e gli Usa nel luglio del 2013 e, dopo breve interruzione per le elezioni europee, sono ripresi a tutto campo, con l’obiettivo di superare il più rapidamente possibile la fase della discussione senza far trapelare i dettagli in pubblico.
Se prendiamo in considerazione le tariffe commerciali tra Usa e Ue, queste risultano già a livelli standard  minimi, ed è evidente che la loro eliminazione non è il vero obiettivo del trattato.
Il fine principale, come del resto viene confermato dai funzionari di ambo le parti, è l’eliminazione di “barriere normative” che limitano i profitti potenzialmente realizzabili dalle società transnazionali. Ma queste “barriere” rappresentano in realtà alcuni dei nostri standard sociali “di civiltà”, ovvero le normative ambientali, i diritti dei lavoratori, le norme per la sicurezza alimentare (comprese le restrizioni sugli OGM), i regolamenti sull’uso di sostanze chimiche tossiche, le leggi sulla privacy digitale e anche le nuove norme a tutela delle operazioni bancarie, introdotte per prevenire una crisi finanziaria come quella del 2008.
La posta in gioco, dunque, è altissima. Non a caso la trattativa è segreta.

Ma non basta. Ciò che desta maggiore preoccupazione è che il TTIP sta cercando di concedere agli investitori stranieri un nuovo diritto, quello di citare in giudizio i governi sovrani portandoli di fronte a tribunali arbitrali creati appositamente, qualora le loro società subissero una perdita di profitti derivata da decisioni pubbliche, cioè di parlamenti nazionali o assemblee regionali o giunte comunali. Questo perverso meccanismo, il cui acronimo è ISDS (Investitor State Dispute Settiement), equivale di fatto a una privatizzazione del diritto internazionale e rappresenta un vero e proprio affronto alla democrazia, perché la storia dimostra che i tribunali arbitrali privilegiano gli interessi degli investitori rispetto a quelli dei cittadini.
E i 545 euro a famiglia che il TTIP regalerebbe, secondo gli studi commissionati dalla Commissione europea?
L’Oise, con i suoi studi, contraddice ampiamente i dati forniti da studi ufficiali: molto esiguo l’impatto del Trattato sul PIL, con crescita prevista dell’1% in un periodo di 10-20 anni. Inoltre la proiezione dell’aumento di PIL pro capite è, come al solito, una media ma di fatto i lavoratori di alcuni settori avrebbero dei benefici a scapito di altri.

Poiché il il TTIP è tutto sbilanciato sulle multinazionali a livello di piccole imprese ci aspettiamo che:

  • contrastando qualsiasi “forma” di protezione da parte dello Stato renda impossibile politiche che favoriscano distretti o produzioni tipiche o caratterizzanti il territorio;
  • danneggi profondamente alcuni settori come l’agroalimentare e, dicono alcuni, la meccanica. Questo è così vero che il Congresso degli Stati Uniti ha già approvato dei fondi per compensare questi settori penalizzati;
  • per chi già oggi si confronta direttamente con la forza dell’export tedesco questo ne uscirebbe ulteriormente rafforzato per una sorta di regola del “chi primo arriva, prende tutto” (proprietà intellettuale, diritti di commercializzazione, uso di marchi);
  • la liberalizzazione assoluta e violenta dei servizi avrebbe un impatto molto forte su alcune categorie e settori storicamente protetti (si può essere d’accordo sull’apertura di alcune categorie a una maggiore concorrenza ma credo che sia quantomeno opinabile che i promotori di questo processo debbano essere multinazionali straniere).

Da entrambe le sponde dell’Atlantico si registra un crescente movimento d’opposizione al TTIP, poiché i cittadini stanno progressivamente prendendo coscienza della minaccia che i negoziati costituiscono per i molti aspetti della loro vita e, in particolare, di quella delle giovani generazioni non più cittadini del mondo, ma del capitale globalizzato.
Anche in Italia, malgrado la scarsissima informazione, diverse forze politiche, associazioni di consumatori, ong, comitati di cittadini stanno costituendo un fronte ampio che converge nel comitato STOP-TTIP- Italia e che contribuisce alla raccolta firme mondiale contro il trattato.
È il momento di fare pressione sui nostri parlamentari europei perché restituiscano ai produttori e ai consumatori il diritto di essere informati e di scegliere.

Michela Rea
comitato Stop-TTIP Milano

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