Screenshot 2015-10-14 16.28.16CIAO, MASCHI
Martedì 27 ottobre | ore 18
Casa delle Donne di Milano | Via Marsala

Uomini che parlano di sé, delle relazioni tra di loro, dei rapporti con le donne e con  il femminile. E con il maschile – maschilità, mascolinità, virilità che dir si voglia. Uomini che partono da sé, dalla loro sessualità, dal loro immaginario, dalle loro paure, dai loro desideri.

È questo il tema dell’ultimo numero della rivista “Leggendaria” che la Casa delle Donne presenta martedì 27 ottobre in un incontro aperto agli uomini e alle donne della città. Il tema “Ciao, maschi”, curato da Stefano Ciccone ed Enzo Palmisciano, è un invito al dialogo, al confronto, che dà la parola soprattutto a loro, agli uomini. Per registrare i cambiamenti che sono avvenuti e stanno avvenendo tra gli uomini e nel loro rapporto con le donne. (Questo è l’articolo dedicato al numero dalla 27esima ora).

Silvia Neonato, di Leggendaria, ne discute con Andrea Bassi, Stefano Ciccone, Alessio Miceli. Coordina Grazia Longoni della Casa delle Donne.

 

Di seguito pubblichiamo l’articolo che Barbara Mapelli ha scritto per questo numero di Leggendaria, preceduto da alcuni estratti dell’editoriale di Anna Maria Crispino.

Questo numero di Leggendaria lascia parlare soprattutto loro, gli uomini, per una volta. Per uscire, se possibile, da una situazione di impasse, dall’apparente chiusura in mondi separati – volutamente, inconsciamente, consapevolmente separatisti? – che sembrano non registrare, nel bene e nel male, i cambiamenti che pure sono avvenuti, che stanno avvenendo. E mettono in scacco la necessità di incrociare gli sguardi sul/nel mondo comune che tutte e tutti abitiamo. Come mettere in gioco pratiche discorsive che agiscano sul piano concreto e simbolico, identitario e immaginario? Politico, in fin dei conti, per come la politica, in questa fase di crisi e smarrimento, spesso segnata da passioni tristi – quando non dall’assenza di passioni – ha assunto senso e ragione nell’agire e nel pensiero di diverse generazioni del femminismo, e in alcuni gruppi maschili. La violenza sulle donne, le forme agonizzanti del patriarcato, la figura del padre, le rappresentazioni mediatiche, le reciproche fantasie che uomini e donne proiettano sull’altro/altra. Un dialogo tra uomini che va alla radice delle questioni a partire dal corpo e dalla sua ineludibile materialità, costruita e fantasmizzata. E un “forum” di giovani donne che rifiutano di discuterne sul piano dell’astrazione, mettendo in campo esperienze e pratiche di condivisione e distinzione. Provocazioni, ci auguriamo, che potranno fare molto discutere.
(dall’editoriale di Anna Maria Crispino)

INTERFERENZE: Sguardi di donne sugli uomini – Barbara Mapelli

Anche gli uomini stanno cambiando. Senz’altro, nominare il collettivo – gli uomini – non rende giustizia alle diversità non solo di ogni singolo soggetto, ma anche della qualità e quantità di questo cambiamento. D’altronde, come più volte abbiamo osservato rispetto all’uso analogo del collettivo ‘donne’, non solo questa genericità si dimostra comunque utile al discorso, ma i due termini plurali posseggono un senso e una eco simbolica, che non manca tuttora di evocarci mondi e culture che ci avvicinano alle nostre personali storie e alle storie più generali dei due sessi.
Dunque il cambiamento maschile: negli anni sono stata una osservatrice, credo discreta, di quanto stava avvenendo. Vicino a me, intorno a me, negli uomini che amo, tra quelli di cui sono amica o che conosco appena, tra gli uomini insomma.
E il mio essere discreta, o tentare di esserlo, ha assunto nel tempo il significato di riservatezza, ma anche di voluta o supposta distanza, da quanto mi avveniva vicino ma non era mio compito. Di questa mia illusione vorrei ora qui parlare, dopo tanti anni di osservatrice, ma in realtà attiva coprotagonista, nel bene e nel male, intralcio o benefica ispiratrice del mutamento altrui. Un altrui vicinissimo, intrecciato alla mia vita, ospite dei miei giorni e delle mie scelte.
Scrive Sandro Bellassai che la fondazione della differenza maschile, nelle forme in cui la conosciamo ora, risale a parecchio tempo fa, e fu un muro difensivo eretto dalla paura maschile rispetto al mutare delle donne. Un copione che si ripete e già un’interferenza del femminile nella storia degli uomini che è utile segnalare.
Sandro, storico e studioso delle narrazioni della virilità, dunque ci racconta una storia in cui curiosamente – ma in fondo non troppo – il tema delle differenze tra i sessi appare come una scoperta maschile e nasce nella modernità come invenzione di una virilità che si sente in pericolo, si sente minacciata nei suoi privilegi, nelle sue posizioni di dominio – considerate fino allora  indiscutibili –  da un nascente nuovo porsi dei soggetti femminili. Una differenza di forza e superiorità dichiarata nel momento in cui ci si sente più fragili, in cui alcuni riferimenti non paiono più essere così certi, “descritta come una verità eterna e incontestabile, proprio quando iniziò a essere seriamente contestata e minacciata”.

Il virilismo come valore collettivo, nato […] per rispondere alla temuta detronizzazione e svirilizzazione ‘moderna’ dell’uomo a fine Ottocento, con una rilevante funzione in termini di aggregazione del consenso maschile nella nascente società di massa, rassicurando gli uomini sulla persistenza della loro virilità e supremazia nei confronti delle donne [ha composto] un quadro di fondo, la cui cornice è una rappresentazione del genere maschile ‘inventata’ per conservare un ordine gerarchico, nella modernità, che fosse per gli uomini una garanzia di privilegio ma anche di integrità. (Sandro Bellassai, L’invenzione della virilità, Carocci, Roma, 2011, pp. 10, 11)

Ho incontrato Sandro Bellassai e Stefano Ciccone molti anni fa e sono stati i primi da cui ho sentito raccontare il nuovo lavoro di ricerca di sé che alcuni uomini avevano da poco intrapreso. Non ne sapevo nulla, poi ho seguito nel tempo le diverse tappe di questo inedito, fino allora, percorso di pensiero fino alla fondazuone di Maschile Plurale e oltre. Inoltre abbiamo lavorato insieme, in gruppi di riflessione e comunicazione comune tra donne e uomini, scrivendo, confrontandoci in occasioni pubbliche e private. Pubbliche e private: così difficile distinguere, come è tra donne, il confine di queste relazioni tra femministe e uomini che ‘si pensano’ come li abbiamo a volte definiti, il confine è assolutamente indeterminato e non solo perché il procedere del pensiero si è spesso accostato al sorgere di un’amicizia, di una qualche forma di legame affettivo, ma perché – e torno alle interferenze – gli sguardi e le parole che ci siamo scambiati e scambiate in questi anni hanno determinato e influenzato direzioni e fluire delle nostre vite e dei nostri percorsi.
La prima interferenza – e forse non è neppure lecito chiamarla così – è nota e continuamente ribadita dagli uni e dalle altre. Ispiratore del mutamento maschile è stato il movimento dele donne, nelle sue diverse declinazioni, con una prefernza, spesso reverenziale, nei confronti del pensiero della differenza. Su ciò non vi è alcun dubbio e non intendo soffermarmi, vorrei solo aggiungere quante volte io stessa, e non solo io naturalmente, ho incitato gli uomini a liberarsi dalla soggezione al pensiero delle ‘grandi madri’, poiché i percorsi maschili, necessariamente, devono essere diversi, e comunque il pensiero unico, e considerato intoccabile almeno nelle sue più significative articolazioni, non giova a nessuno. E ormai accade che i sacerdoti più fedeli di questo pensiero siano gli uomini, mentre tra noi, soprattutto nei confronti intergenerazionali e in presenza di evidenti differenze tra donne, succede sempre più spesso che il dibattito si apra, si pluralizzi, tocchi, analizzi e critichi anche le formule più sacre.
Ma vi è, tra le tante, un’interferenza più infida, sottile e che riguarda spesso gli ambiti più privati e che mette alla prova fino in fondo anche noi donne.
Ne ho scritto recentemente sul blog del Corriere della Sera 27° ora (pubblicato il 13 agosto) a seguito di un articolo che raccontava come, durante un master di studi di genere tenuto da Michael Kimmel, fosse emersa da un’inchiesta tra studenti  la totale differenza tra le qualità attribuite all’uomo ‘buono’ e all’uomo ‘vero’, intendendo per vero l’uomo colmo delle tradizionali virtù virili  e per buono l’uomo che sta cambiando, quello appunto di cui ho finora parlato (e naturalmente a quest’ultima categoria appartengono gli uomini che qui scrivono). Lì io mi chiedevo, a proposito di interferenze e sguardi femminili sul maschile, noi donne  siamo più propense ad amare o comunque a restare affascinate da un uomo vero o da un uomo buono?
Una domanda che è serpeggiata spesso nelle discussioni nei nostri gruppi o nelle confidenze, sorridenti e ironiche, tra poche amiche. Ma si tratta di una domanda seria perché scava nel profondo, non solo dell’immagine che noi abbiamo o desideriamo degli uomini, ma nell’immagine che si rispecchia in noi di ciò che significano femminilità e relazione con l’altro sesso. Direi addirittura che riguarda anche le donne che amano le donne, perché l’impasto di culture che ci ha forgiate è un misto di componenti maschili e femminili che guida gli ideali e desideri di amore e si impone nei rapporti, etero od omo che siano. E le nostre preferenze, la costruzione, immaginaria o concreta, di una storia d’amore, ancora nei suoi primi passi  e non solo – nutrita dei fantasmi dell’amore romantico – influisce profondamente, interferisce nell’intimità di ogni uomo, ne condiziona l’immagine di sé.
Con le donne con cui ho condiviso la domanda, dai sorrisi iniziali siamo ben presto arrivate ad affrontare con serietà il quesito su uomo vero e uomo buono, perché ci siamo rese conto di come l’uomo vero ancora occupi, almeno in misura significativa, il campo del desiderio femminile, anzi, per essere più precise, un uomo vero le cui virtù tradizionali appaiano non tanto mitigate quanto arricchite da qualche pennellata di virtù nuove, da uomo buono, ma con molta moderazione. E lascio alla fantasia di ciascuna il compito di elaborare uno o più possibili profili. Io ho in mente i miei.Non mi sottraggo quindi, nonostante l’età avanzata o forse proprio per questo,  all’ammissione, che abbiamo condiviso tra amiche, che l’uomo vero, con le sue qualità più tradizionalmente maschie, suscita ancora tra noi emozioni e desideri, più dell’uomo buono. Come si spiegherebbe altrimenti il grande successo mediatico, anche nostrano, dell’ex ministro greco dell’economia Varoufakis?
Tutto ciò non può che porre interrogativi agli uomini che desiderino avere relazioni con donne: infatti qualunque genere di rapporto tra i due sessi, non necessariamente amoroso, non può appunto che interferire sul lavoro su di sé in cui ognuno è impegnato. I fantasmi ‘maschi’ che vivono nell’interiorità di ogni uomo, la laboriosa costruzione di centinaia o migliaia di anni, e le rifiniture più recenti, che secondo Bellassai hanno ridefinito e potenziato l’immagine della virilità (impaurita dal cambiamento femminile) si mescolano con i fantasmi delle donne e non si tratta in questo caso delle severe giudici che hanno elaborato un pensiero e mettono alla prova la capacità maschile di rispettarlo, ma di donne che hanno in sé – e possono essere in realtà anche le stesse severe giudici – ancora le immagini di un femminile e di un maschile tradizionali e desiderano, nei sogni più audaci, abbandonarsi tra braccia maschili che non hanno (ancora) pulito culetti. Col tempo pulire culetti diverrà fonte di fascinazione irresistibile, ma al momento ci vogliamo ancora interrogare su questi fantasmi tuttora così vitali e noi donne chiederci e riflettere su di noi e sulle immagini d’amore e di relazione con l’altro sesso che ci abitano.
Insomma, mi vien da dire con un po’ di esasperazione, per noi donne non è mai finita, sono quarant’anni, almeno, che decostruiamo e ricostruiamo e talvolta, forse spesso, ci ritroviamo a scoprire o riscoprire in noi come i sedimenti delle culture tradizionali dei sessi siano ancora potenti. Mentre teniamo sotto osservazione, discretamente, benevolmente oppure severamente, gli uomini che vicino a noi cambiano, non possiamo smettere di osservare noi stesse, di comprenderci e giudicarci – in questo caso si con molta benevolenza – nei nostri pregiudizi, negli stereotipi contro cui quotidianamente combattiamo e che quotidianamente invadono le immagini che abbiamo di noi e degli altri.