In occasione della preparazione del film Al Dio Ignoto, Kineo (Centro di sperimentazione sulla comunicazione umana e audiovisiva) propone un monologo teatrale dal titolo 20DUE: una performance seguita da dibattito con esperti del settore, volta a sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza della Cura (e Palliative Care) per i bambini colpiti da malattie gravi.
Dopo due anni di tour in Italia, il progetto ora sbarca nella Città Metropolitana di Milano. La mini tournée milanese debutterà alla Casa Dei Diritti di Milano (25 novembre), proseguendo poi in quell’hinterland che il regista vede come il cuore genuino della metropoli: Cassina de’ Pecchi (26 novembre), Buccinasco (27 novembre), Melegnano (28 novembre) e Trezzano sul Naviglio (29 novembre), per tornare a Milano per l’ultima serata presso la Casa Delle Donne (30 novembre).
Sei incontri teatrali a ingresso libero, realizzati grazie al Contributo di Fondazione Cariplo, e seguiti da dibattiti con il pubblico, dove interverranno esperti nel campo della medicina, della bioetica e della comunicazione.
Tra i vari ospiti si segnala la presenza a Melegnano il 28 novembre del Dott. Momcilo Jankovic, eminente ematoncologo e pediatra che ha curato migliaia di piccoli malati di leucemia.
Nelle precedenti edizioni, durante il dibattito con il pubblico sono emerse domande importanti riguardanti i diritti di un minore ammalato, la comunicazione allo stesso di una prognosi infausta, se e come esercitare la libertà di scegliere le cure e chi decide, cosa succede a eventuali fratelli/sorelle superstiti, come si elabora il lutto per la perdita di un/a figlio/a e infine se esistono in Italia Cure Palliative Pediatriche, in che cosa differiscono dalle altre e in quali luoghi si effettuano.
L’attrice Laura Pellicciari presta la sua voce al racconto in prima persona di una mamma medico che accompagna la figlia durante un percorso di malattia grave che la porta alla morte all’età di 16 anni. Il monologo è molto intenso, tanto da lasciare impresse nella memoria alcune frasi come:
«A mia figlia ho dovuto dirlo io, perché non sapevano se dirlo, non dirlo. Ho pensato che piuttosto che venire a saperlo dagli altri avrei dovuto dirglielo io, come mamma e come medico. Così le ho detto: Susi tu hai la leucemia, acuta. Lei si è messa a piangere e mi ha detto: va bene mamma, non importa, l’importante è guarire. E questo è stato lo spirito con cui ha affrontato la sua malattia».
Più che uno spettacolo si tratta di un “incontro teatrale” che non si dimentica, reso in modo crudo, dolce, realistico e appassionante. Laura Pellicciari ci costringe ad ascoltare, riflettere e stare insieme.
Si riportano alcuni brani tratti dall’intervista a Laura Pellicciari di Lieto Sartori
Signora Pellicciari, è possibile rendere teatralmente un dolore così grande?
«Più che di immedesimarsi il tentativo è di rispecchiarsi. Quindi tento di riprodurre, di far accadere la scena in quel momento, come se fosse sempre la prima volta. Da dieci anni lavoro con il regista Rodolfo Bisatti. La nostra è una ricerca, nell’ambito della comunicazione, di un linguaggio di testimonianza».
Da quanto recita 20DUE?
«Da quasi tre anni lo porto dentro e da due lo portiamo a teatro. Credo che sia uno strumento per affrontare questioni che solitamente vengono rimosse, la morte di una figlia innanzitutto, ma ci sono anche altre cose che emergono da questa testimonianza».
Quali?
«Credo che la cosa più significativa e bella sia il momento conclusivo della rappresentazione, quella del confronto con il pubblico. È il momento catartico, di purificazione interiore per superare il dolore. Altrimenti resterebbe un dolore condiviso, ma senza l’opportunità di elaborarlo. Quindi il rapporto empatico con il pubblico, con la gente presente in sala, è sempre l’aspetto più forte».
Il passaggio più difficile?
«L’ingresso è sempre il momento più duro perché si parte dai “segni”. Per Susi si parte dal 22, il suo giorno di nascita, la sua maglietta di pallavolo. I “segni” sono la nostra relazione con chi non c’è più; non è memoria o ricordo, ma una dimensione presente, spirituale, non necessariamente religiosa».
In altre parole?
«Se poniamo la giusta attenzione al quotidiano incontriamo le risposte che ci consentono di “vivere l’invivibile”. Per esempio, se prendo il treno per venire a Milano e ho il posto 22 e non ci faccio caso, non cambia nulla. Ma se me ne accorgo, significa che non sono sola, che sono “accompagnata”».
Lei ha due figli, in 20DUE c’è un confine tra attrice e madre?
«È stata una prova molto dura. La concentrazione prima di andare in scena è fondamentale, penso a Susi come mamma. Nei primi tempi di recitazione di “20DUE” abbracciavo i miei figli con un’intensità particolare. La morte “parla” ai vivi e il messaggio di Susi è anche di non attendere la tragedia per vivere intensamente gli affetti».
Il monologo 20DUE fa parte di un progetto più ampio.
«Con il regista Bisatti stiamo lavorando alla realizzazione di un film per le sale che s’intitola Al Dio Ignoto“e il monologo 20DUE è un pezzo di questo film che tenta di “rimuovere” il silenzio nei confronti del dolore prima e dopo la morte, senza ostentare il declino del corpo, che ovviamente esiste, ma non è il fulcro della questione. Quando ho fatto (per prepararmi alla parte) l’esperienza in hospice, che cura i malati inguaribili, accompagnata da un’infermiera professionale, mi ricordo che entravo nelle stanze dei pazienti e li vedevo giovani, perché vivevano il loro tempo, quello che gli restava, con dignità, consapevoli del valore di “quel” tempo. Nella vita di tutti i giorni il tempo spesso ci scivola via, facciamo una cosa e pensiamo ad altro, raramente riconosciamo al presente il valore che merita. Vorremmo rivolgere un ringraziamento particolare a questa mamma e a Susi, che non abbiamo mai conosciuto in vita ma che ci sta accompagnando amorevolmente e pazientemente verso la concretizzazione di questo progetto».