La notizia è partita da un post su Facebook del marito, Reza Khandan, e in un lampo ha fatto il giro del mondo: Nasrin Sotoudeh, la più famosa avvocata iraniana per i diritti civili, una figura simbolo, già detenuta dallo scorso giugno nel carcere disumano di Evin, è stata condannata a ulteriori 33 anni di reclusione (che si aggiungono ai 5 anni per spionaggio del precedente processo) e 148 frustate. Tra le accuse, collusione contro la sicurezza nazionale, propaganda contro lo Stato, incitamento alle donne a togliersi il velo e a compiere azioni immorali, lotta contro la pena di morte. I giudici hanno applicato l’articolo 134 del codice penale che autorizza a emettere una sentenza più alta di quella massima prevista se l’imputato ha più di tre imputazioni a carico. Nel caso di Nasrin Sotoudeh, il giudice Mohammad Moghiseh ha applicato il massimo della pena per ognuno dei sette capi d’accusa, 29 anni in tutto, aggiungendovi altri quattro anni e portando così la condanna a 33 anni.
Sotoudeh era già stata arrestata nel 2011 con l’accusa di cospirare contro la sicurezza dello Stato, in carcere si era rifiutata di indossare lo chador e per questo le fu allungata la pena. Fu tenuta per mesi in isolamento, fece più volte lo sciopero della fame per protestare contro l’illegalità della sua detenzione e contro le disumane condizioni carcerarie testimoniate ancora oggi dal marito sulla sua pagina Facebook.
A 55 anni Nasrin, premio Sakharov nel 2012, non ha mai preso in considerazione l’ipotesi di lasciare il Paese anche quando ne ha avuto la possibilità, ma ha continuato a spendersi per i diritti dei suoi assistiti e per l’applicazione della legge: ha difeso minori condannati a morte, attivisti studenteschi, prigionieri per reati di coscienza, si è battuta per la parità dei diritti delle donne iraniane. Nel gennaio 2018, si è schierata dalla parte delle “Ragazze di via Rivoluzione” che si erano tolte il velo per strada sventolandolo come una bandiera: “Il sistema giudiziario – dichiarò in quell’occasione – approva sentenze di durezza sorprendente contro queste donne ma le proteste continueranno”.
“È sconvolgente che Nasrin Sotoudeh vada incontro a quasi quattro decenni di carcere e a 148 frustate a causa del suo lavoro pacifico in favore dei diritti umani, compresa la difesa legale di donne sotto processo per aver sfidato le degradanti leggi sull’obbligo del velo”, ha detto Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e sull’Africa del Nord di Amnesty International. L’associazione ha spiegato che si tratta della pena più severa per un difensore dei diritti umani in Iran negli ultimi anni e lancia un appello per la sua liberazione che la Casa delle Donne condivide e cerca di diffondere. In un’intervista al Corriere della Sera nel gennaio 2018, Nasrin chiedeva all’Unione Europea di intervenire per aiutare i manifestanti arrestati nel suo Paese. Lo stesso appello che il mondo civile rivolge, oggi, per lei all’Unione Europea.
Il volto di questa leader dei diritti umani compariva anche nel film “Taxi Tehran” (Orso d’oro alla Biennale del 2015) del regista iraniano Panahi, autoprodotto e girato con pochissimi mezzi per l’ostracismo del regime verso Panahi accusato di propaganda anti-islamica. Una telecamera sul cruscotto riprende le discussioni fra il tassista, lo stesso regista, e i suoi passeggeri, nascono così storie che ricostruiscono la storia passata e presente dell’Iran: su quel taxi sale anche Nasrin che, già sotto pesante attacco, non ha nessuna paura di esporsi raccontando del suo lavoro e dei diritti dei suoi clienti. Un altro atto di clamoroso coraggio.
Firma l’appello di Amnesty International