“Quello che succede in Val di Susa ha del miracoloso” esordisce Xenia Chiaramonte, autrice del libro Governare il conflitto. “Il movimento resiste, non si è istituzionalizzato, non si è dato alla violenza e sta portando avanti da quasi trent’anni una titanica lotta per il diritto”. Anita Sonego, introducendo l’incontro dello scorso 21 gennaio alla Casa delle Donne, ha sottolineato il lavoro enorme e appassionato che, partendo da una ricerca di dottorato, si è tradotto in volume. “Il tema sono i dispositivi mediatici e legali messi in atto per criminalizzare l’opposizione al progetto del Treno ad Alta Velocità Torino-Lione.
Xenia racconta passo passo come viene costruita questa criminalizzazione, dalle prime campagne sui giornali fino al maxi processo (nel 2018 la Cassazione ha annullato in buona parte le condanne di primo grado e di appello). Il suo è un racconto da dentro. Lei partecipa alla vita della valle, conosce le persone, ne intervista tantissime”.
Fin dall’inizio della serata è emersa con forza l’eccezionalità di un movimento contro il quale si è scatenato un gigantesco apparato repressivo (più di 1500 indagati, 50 procedimenti penali, un maxi processo per svolgere il quale è stata riaperta l’aula bunker nel carcere di Torino, un pool di magistrati dedicato a indagare solo sui No Tav) e che tuttavia ha retto, è ancora vivo, ha creato legami di affetti, solidarietà, volontà comune. Questo popolo ha finora impedito che cominciasse il vero scavo per la ferrovia Torino-Lione. Lo ha impedito fisicamente, opponendo i corpi. E moltissimi erano corpi di donne.
Il filo rosso del dibattito è stato proprio questo: lo stretto legame tra l’opposizione alle logiche neo-liberiste e il femminismo.
Ermelinda Varrese, una delle tante militanti venute apposta dalla Val di Susa, ha cominciato il suo appassionato intervento dichiarandosi vecchia femminista: “Le prime a rimanere ferite, già nel lontano 2005, sono state donne. In questi anni siamo cambiate tantissimo. Siamo partite, se vogliamo, da un cliché femminile, la cura. Cucinavamo, preparavamo i tè caldi, distribuivamo coperte ai picchetti. Man mano però abbiamo cercato anche spazi separati. Quando ci sono iniziative da prendere, valutiamo le modalità e cerchiamo quelle che come donne ci facciano sentire più a nostro agio. D’altra parte in valle niente viene calato dall’alto. E non si decide per alzata di mano, ma si discute e si cerca una sintesi. Noi lo chiamiamo votare all’umanità”.
Corpi di donne e scambio di affetti, a contrastare una repressione che, secondo Cristina Morini di Rete Effimera, “scandaglia le vite, le controlla capillarmente. Chi disattende le norme viene considerato perciò stesso imputabile. Difendere la società dai comportamenti che eccedono: non è solo un disegno repressivo, è il monitoraggio di un’intera area politica”. “Si sta diffondendo un discorso pubblico dai tratti moralistici” aggiunge Veronica Percile, dottoranda in diritto e scienze sociali. “Si vuole tracciare un solco tra buoni e cattivi”.
Lucia Amorosi di Non Una Di Meno Milano ha sottolineato i punti di contatto tra femminismo e movimento: “Non esiste solo la violenza diretta dell’uomo contro la donna, anche la violenza economica e la violenza ambientale viene esercitata sui nostri corpi. I corpi delle donne non sono scissi dagli spazi che abitano, dai territori che attraversano, dalle relazioni che intessono… Immaginare collettivamente alternative a questo sistema economico è quindi un compito delle femministe”. Xenia Chiaramonte: “L’ecofemminismo è attualmente uno dei miei interessi principali. Mettere in relazione i corpi delle donne con i concetti di madre, di madre natura…”.
Alcune parole chiave sono rimbalzate tra ricercatrici e femministe in una serata ad alto tasso emotivo unito a grande tensione intellettuale. L’estrattivismo per esempio. Inteso come la pratica di prelevare risorse di una regione, a scapito dell’ambiente e delle popolazioni locali, utilizzando la forza della repressione. O la governamentalità, cioè il modo in cui i governi cercano di produrre cittadini più adatti a soddisfare le loro politiche e per questo mettono in atto una vasta gamma di forme di controllo.
Fogli di via, obbligo di soggiorno, sorveglianza speciale e carcere. Tutto ciò si è abbattuto in questi anni sulla comunità della Val di Susa e su molte delle sue donne.
Travolgente a questo proposito, per franchezza e spontaneità è stato l’intervento di Loredana Bellone, sindaca di San Didero dal 2004 al 2019. Loredana, insieme ad altri due militanti, è stata denunciata per aver impedito un carotaggio a Susa, nel 2010.
“Una telefonata nel cuore della notte mi aveva avvertito che arrivavano le trivelle. Siamo accorsi a Susa. Alcuni uomini della Digos hanno preso i nostri nomi e ci hanno chiesto se eravamo consapevoli di quello che stavamo facendo. Certo! Abbiamo risposto. Dopo un bel po’, nel 2014, ho capito quello che intendevano. Ci è arrivata la multa: 235.000 euro!!! La cosa che mi preoccupava di più era dirlo a mio marito, che era sempre stato contrario al mio impegno. Infatti l’ha presa proprio tragicamente. Ripeteva: e adesso? come faremo? e il mutuo? hai visto, te l’avevo detto che andava a finire così! Ma dopo poco – e mi commuovo ancora mentre lo racconto – ho capito cosa significa davvero la parola solidarietà. I valsusini (ma anche tanti altri, da tutta Italia) hanno fatto una colletta e hanno raccolto ben più di 235.000 euro! Allora è stato il mio turno di dire al marito: hai visto??”.
Un incontro così non si sarebbe potuto concludere senza parlare di Nicoletta Dosio, 72 anni, ex insegnante di latino e greco, storica esponente del movimento No Tav e, secondo le parole di Ermelinda “un esempio luminoso di coraggio e coerenza”.
L’hanno condannata a un anno perché, insieme ad altri, nel 2012, ha occupato i caselli dell’autostrada e fatto passare gratis gli automobilisti. Avrebbe potuto facilmente accettare l’affidamento ai servizi sociali. Ma ha scelto la prigione, per non lasciare soli gli altri 11 denunciati e fare del suo un caso esemplare. “Andrò in carcere” ha dichiarato prima dell’arresto “perché di No Tav non si parla più. Lo si considera un capitolo chiuso. E quindi con il mio corpo dietro le sbarre voglio riaprire questa storia indecente”.
Liliana Belletti