Sabato pomeriggio 29 marzo: portone verde della Casa spalancato con il nostro vessillo “Casa delle Donne di Milano”, tenuto fermo alla base da dei sassi, per non farlo cadere al primo soffio di vento.

Che questo sabato pomeriggio sarebbe stato un po’ speciale, noi del “laboratorio interculture” che l’abbiamo organizzato, un po’ lo sapevamo. Intanto, perché era la prima volta che si apriva la Casa dalle 15 alle 18 “per incontrarci davanti a una tazza di tè, per riflettere su cosa significa davvero l’incontro e il dialogo tra noi…”, avevamo scritto in sei lingue nel volantino distribuito da tutte noi in tanti luoghi della città. E sapevamo anche che non poteva risultare un pomeriggio improvvisato, perché l’avevamo preparato con tanto impegno e determinazione. Arredata con sedie e tavoli la nostra stanza più bella, quella con il pianoforte e le tende. Pulito i bagni. Portato tante tazze da casa, ché il tè non ci piace berlo nei bicchieri di plastica. Biscotti, salatini, vino anche, thermos… tutto insomma rigorosamente diviso tra noi. Un sms di mattina, avvertiva: “ho messo la torta nel forno”… Certo, nel preparare tutto ciò, speravamo nell’arrivo di donne migranti, ma ci eravamo dette che, se saremmo state in poche, anche noi siamo “straniere le une alle altre” (come ripetiamo dall’inizio dei nostri incontri) e allora avremmo parlato delle nostre esperienze, delle nostre storie…

Eravamo gioiose.

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Ma, non ci saremmo mai immaginate che pian piano in quelle tre ore, il nostro sabato pomeriggio si sarebbe rivelato “magico” e si fosse trasformato davvero in un “INCONTRO, in quel “ ponte tra culture, linguaggi, vissuti differenti” auspicato nel volantino. Proprio ciò che avevamo desiderato accadesse, è accaduto con tanta naturalezza, leggerezza e profondità di pensieri.

Appena entrate nella nostra stanza piena di sole, ci aveva fatto già ben sperare, l’arrivo di Sonia, una giovane ragazza delle Mauritius, con il nostro volantino in mano: siete voi? Noi che stavamo provando il bollitore e scartando torte e involucri di biscotti, alla sua domanda, abbiamo accennato un applauso. Poi, dopo di lei, sono arrivate in tante: passanti entrate per via del portone spalancato e donne venute proprio al nostro tè, anche straniere…alla fine eravamo una sessantina.

Intanto nella stanza accanto alla nostra continuava il Convegno Nazionale”Donne che sostengono la libertà delle donne”, iniziato già dalle 10,30 …Una Casa molto piena questo sabato 29 marzo…e anche Anita Sonego, Lea Melandri, Marzia Vaccari del Centro Orlando di Bologna e altre sono venute a curiosare. Ma, loro, un biscotto e via per andare a parlare di donne e denaro.

Noi, contente di vederci, contente di ricevere le nuove, spiegare, raccontare. Alcune sedute ai tavoli con le nostre tazze da tè, scompagnate, a ricordare anche la nostra diversità…Altre : vieni, entra, accomodati, vuoi un tè, un caffè, un dolcetto, vuoi fare un giretto della Casa? E loro, sì, hanno accettato di restare, bere qualcosa, mangiucchiare e chiacchierare con noi.

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Poi, un presagio che il pomeriggio già allegro di chiacchiere tra noi, avrebbe preso un andamento speciale, anzi avrebbe subito un sussulto, l’abbiamo capito ascoltando i primi versi di una poesia di Nicoletta Buonapace. Lei leggeva… “un vento… ricorda l’antica legge di un corpo demente…” Noi in cerchio ammutolite, emozionate. Nicoletta è lesbica. Altre del nostro gruppo sono lesbiche. Questa la scelta: dire, nominare, far ex-sistere le diversità. E quella poesia parlava di un disorientamento singolare e personale. Suggestioni e pensieri ci venivano gettati addosso e dentro. Perché, un conto è dire che va bene che siamo diverse, tutte diverse, un altro è ascoltare parole evocatrici che ti spaesano. I suoi versi, per capirli meglio li abbiamo voluti riascoltare letti da Raffaella che fa l’attrice.

E non basta. Loredana ci ha letto di Wislawa Szymborska “Ritratto di donna” e ancora di Emily Dickinson “essa si mostrò all’altezza di lui”. Parole di donne vicine e tanto lontane che Rosa, (arrivata nella Casa solo per chiedere un’informazione per il Consolato dell’Equador, e poi restata sino alla fine) ha sottolineato parlando di cultura, intercultura e del potere della voce delle donne e dell’arte del poetare.

E che, ormai, il nostro percorso si stava facendo straordinario l’abbiamo ancor più percepito quando, Ioana, una giovane donna romena che fa la sarta, con passione ci ha detto nel suo italiano incerto: sono arrivata con marito e figli, ma sono sempre in casa, solo a far la spesa o ad accompagnare i bambini a scuola, poi neanche una parola scambiata. Ho voglia di parlare, parlare e ancora parlare con tutte, ora che vi ho incontrate. Un’altra donna peruviana: dalla finestra ci si guarda, ma le finestre per parlare tra noi vicine di casa non si aprono. Ognuna è chiusa nella sua casa. Emilia, ha raccontato la sua storia, le sue difficoltà di straniera, ma ha tranquillizzato le altre: se stai male, a Milano trovi persone gentili che ti aiutano. Io l’ho trovate.

Sarà sdolcinato e caramelloso, proprio femminile, affermare che eravamo sempre più emozionate? La sensazione era che stavamo ri-nascendo in uno spazio più sconfinato, perché si può nascere più volte se l’orecchio e l’occhio sono aperti. Superando l’isolamento, sofferenza emersa da tutto il nostro discorrere, e aprendo un po’ finestre e porte chiuse vere e metaforiche.

Maria Rosa ha parlato di confini e soglia. Abbiamo anche approfondito… Non solo lì ferme, con il nodo in gola… I confini che ci separano, se si trasformano in soglie,  possono mostrare territori inaspettati e se ci si avventura, ci si mette in cammino, saranno questi  a forgiare una nostra rinata soggettività…

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Ma la certezza, proprio la certezza di aver vissuto un sabato pomeriggio straordinario, l’abbiamo avvertita quando, sciolto il cerchio di sedie, dopo un’ultima tazza di tè, un’ ultima fetta di torta…abbiamo “rigovernato” la stanza tutte insieme, anche con le donne che erano lì per la prima volta. Abbiamo lavato e asciugato tazze, messo via tovaglie e tovaglioli, diviso l’umido dalla carta e dalla plastica. Mara, la più giovane del nostro gruppo se ne è andata con la tovaglia verde e gli strofinacci da lavare e Anna con l’umido raccolto da portare nel bidone di casa sua, perché noi della Casa non abbiamo ancora accordi con chi lo porti fuori alle 5 mattina.

La “casalinghitudine” che non ci abbandona mai, se è un peso a casa propria, nella Casa di tutte si é trasformata in un gioco, in un divertimento, come quando eravamo bambine…

Cosa è stato questo primo pomeriggio interculturale? Alcune hanno scritto:

  • non ho parole per descrivere il beneficio ricevuto;
  • libere di parlare, ascoltare parole piene di significati in cui ci siamo riconosciute;
  • ho scoperto quanto ognuna di noi sia ricca di storie, bellezza e sapienza;
  • ascolto, curiosità, sembrava che ci si conosceva da sempre;
  • che bel dono, questa voglia di incontrarsi;
  • le parole sparse sono diventate trama, ordito, una tela comune;
  • una sorpresa, anche scoprire il piacere di rimettere la stanza in ordine insieme;
  • sono dovuta andar via prima, ma avevo una gran voglia di dire a chi mi stava accanto in treno da dove ero venuta. Loro non potevano immaginarlo.

Francesca Amoni

Referente per il direttivo del laboratorio interculture

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