Chi lo avrebbe mai detto? Alla fine dello scorso anno il Parlamento italiano ha varato una legge fondamentale dello Stato, ossia la legge del 30 dicembre 2020, n. 178, dal titolo “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023”. Per la prima volta nella storia italiana, questa legge prevede concretamente, stanziando dei fondi, di “garantire le attività di promozione della libertà femminile e di genere” oltre che quelle di prevenzione e contrasto delle forme di violenza e discriminazione fondate sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere.

Quando abbiamo letto gli articoli della legge che qui sotto riportiamo siamo rimaste stupefatte. Per più di mezzo secolo le donne hanno dovuto guadagnarsi da sole e faticosamente ogni metro della strada da percorrere per ottenere almeno a livello legislativo l’attuazione dell’articolo 3 della nostra Costituzione. Tuttavia, mai prima d’ora una legge dello Stato aveva riconosciuto ufficialmente l’importanza dell’attività delle donne associate per perseguire e realizzare autonomamente, secondo i loro tempi e le loro priorità, qualcosa di essenziale per conseguire un’effettiva uguaglianza e parità di genere. Proprio per questo sono nate da decenni le Case delle Donne: luoghi in cui, nella (talvolta difficile) relazione con le altre, ogni donna possa rafforzare e attuare la propria personale e libera capacità di scelta.

Ammettendo implicitamente che nel nostro paese la libertà delle donne, quando non conculcata attivamente, certo non è promossa (e men che meno accolta favorevolmente), la legge riconosce per la prima volta il valore sociale e civile delle associazioni di donne che la perseguono. Di conseguenza prevede che le amministrazioni locali concedano loro in comodato d’uso gratuito immobili del patrimonio pubblico in cui possano riunirsi e svolgere le loro attività rivolte al loro interno e alla società tutta.

In Italia decine e decine di Associazioni e Case delle Donne hanno sperimentato in questi ultimi decenni la difficoltà estenuante di strappare alle amministrazioni locali la possibilità di usufruire – con contratti non capestro – di immobili pubblici. Si sono improvvisate giuriste per poter capire, nel labirinto delle leggi, delle delibere e dei regolamenti comunali, a che cosa “appigliarsi” per ottenere dei locali in cui stabilire le loro sedi. I regolamenti dei comuni italiani finora non hanno mai contemplato per le donne in quanto tali, cioè per le cittadine, che costituiscono più della metà della popolazione, lo statuto speciale cui hanno diritto, uno statuto sostanzialmente differente da quello di altre pur fondamentali associazioni di cittadini cui partecipano anche le donne.

Ma, a chi dobbiamo questo cambio di rotta nazionale?

A noi stesse, cioè alle donne. La lunga vicenda della Casa Internazionale delle Donne di Roma che, pur avendo raggiunto il risultato del ripianamento del debito con il Comune di Roma, è ben lontana dal concludersi, ha mobilitato tutte le Associazioni e le Case delle donne italiane che hanno ritrovato la voglia di parlarsi, collegarsi, scambiarsi esperienze. A loro si sono affiancate le parlamentari del PD, del Movimento 5 Stelle, di Italia Viva. È grazie al loro voto che nella Legge di Bilancio per il 2021 sono stati inseriti gli articoli di cui stiamo parlando.

Ora si tratta di fare in modo che ne vengano approvati i decreti attuativi. Si tratta di consolidare i rapporti tra le Case delle Donne di tutta Italia creatisi in questi mesi in modo da ottenere nei Comuni italiani l’attuazione di quanto previsto dalla legge. L’incontro del 26 marzo 2021, promosso dalle donne della Cgil, al quale hanno partecipato numerose Case, è stato un primo e importante passo in questa direzione e ha indicato anche prospettive ulteriori (si veda al proposito l’articolo di Grazia Longoni).

Paola Redaelli

Ecco gli articoli ai quali ci riferiamo:

  1. Al fine di garantire le attività di promozione della libertà femminile e di genere e le attività di prevenzione e contrasto delle forme di violenza e discriminazione fondate sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità ai sensi degli articoli 1 e 3 della Costituzione, nonché della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n. 77, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, è istituito un fondo denominato « Fondo contro le discriminazioni e la violenza di genere », con una dotazione di 2.000.000 di euro annui per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023.
  2. Sono destinatarie delle risorse del Fondo di cui al comma 1134 le associazioni del Terzo settore, come definite ai sensi del codice di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, che: a) rechino nello statuto finalità e obiettivi rivolti alla promozione della libertà femminile e di genere e alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni di genere; b) svolgano la propria attività da almeno tre anni e presentino un curriculum dal quale risulti lo svolgimento di attività documentate in attuazione delle finalità di cui alla lettera a).
  3. Il Fondo di cui al comma 1134 è destinato al sostegno delle spese di funzionamento e di gestione delle associazioni di cui al comma 1135, comprese le spese per il personale formato e qualificato, nonché al recupero e alla rieducazione dei soggetti maltrattanti.
  4. Le amministrazioni competenti concedono l’utilizzo collettivo di beni immobili appartenenti al patrimonio pubblico in comodato d’uso gratuito alle associazioni di cui al comma 1135 che gestiscono luoghi fisici di incontro, relazione e libera costruzione della cittadinanza, fruibili per tutte le donne e in cui si svolgano attività di promozione di attività socio-aggregative, autoimprenditoriali per l’autonomia in uscita dalla violenza e culturali dedicate alle questioni di genere e di erogazione di servizi gratuiti alla comunità di riferimento.
  5. Il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, entro il 31 marzo di ogni anno, disciplina modalità e criteri di erogazione delle risorse di cui al comma 1134.
  6. Il Ministro per le pari opportunità e la famiglia ovvero, nel caso in cui non sia nominato, il Presidente del Consiglio dei ministri, entro il 31 marzo di ogni anno, con proprio decreto, individua le modalità di ripartizione delle risorse del Fondo di cui al comma 1134 tra le associazioni aventi diritto.