di Antonella Polisena.
La premessa suonerà come una captatio benevolentiae, ma è bene dirlo: considero Propaganda Live la cosa migliore che avviene attualmente in televisione. Lo guardo con religiosa puntualità, mi piace molto.
Quando ho letto la dichiarazione di Rula Jebreal in cui declinava l’invito di Diego Bianchi a partecipare alla trasmissione perché, dei sette ospiti invitati, lei sarebbe stata l’unica donna, ho alzato gli occhi al cielo: figuriamoci, me ne sarei accorta se il mio programma preferito non fosse inclusivo. In trasmissione ci sono, fisse, due donne su quattro opinionisti (le giornaliste Constanze Reuscher e Francesca Schianchi) e diverse ospiti donne.
Nella puntata del 14 maggio, il conduttore Diego Bianchi fa accenno alla vicenda e dice “La nostra forma mentis consiste nell’invitare una donna o un uomo perché competenti… Non avevamo chiamato Rula perché donna ma perché, visto quello che sta succedendo, ci sembrava la persona adatta”. Ah. Quest’affermazione ha risvegliato in me qualche dubbio.
È proprio la stessa retorica trita e ritrita degli argomenti contro le “quote rosa”, che andrebbero a scapito di una valutazione di merito. Quello che ha sostenuto Diego Bianchi: la giornalista Rula Jebreal era stata invitata solo sulla base della sua competenza, come avviene per tutti gli ospiti, senza considerarne il genere. Quindi, seguendo il filo di Arianna a ritroso nel labirinto, arriviamo al Minotauro, che è una supposizione: il rapporto competenza uomo-donna sarebbe quindi, nel caso, sette a uno?
Innanzi tutto Rula Jebreal ha fatto in modo che di rappresentanza si parlasse e che la si mettesse in discussione senza darla per scontata. Inoltre ha tutto il diritto di esprimere il suo personale disagio. Quell’inadeguatezza del trovarci a una festa, nel nostro miglior vestito, con un dente colorato di rossetto.
Propaganda non è una trasmissione sessista ma finisce comunque col peccare di mancanza di inclusività. Perché no, non abbiamo bisogno che qualcuno imponga la nostra presenza e se la valutazione fosse davvero meritocratica, quei posti li occuperemmo senza sforzo alcuno. Ma per riscattarci da anni passati nell’ombra, in cui le nostre competenze le abbiamo maturate, sviluppate e accresciute ma pur sempre nell’ombra sono rimaste, la pretesa di una nostra inclusione è dovuta.
Esprimere un’opinione corretta è quanto mai complesso, ben oltre il bilateralismo del tifo da stadio di cui non abbiamo in alcun modo bisogno.