di Giuseppina Norcia
(Vanda Edizioni, 2020)
Narrazione polifonica che unisce saggio, racconto, teatro – si legge in copertina – alla scoperta di un’altra bellezza… Così è il percorso di questo libro prezioso, già dall’inizio innamorato di un’altra Elena, non colei che è visione e rapimento per il potere e in lui distorta, ma l’orizzonte di magnificenza del mondo, che apra anche a noi nuova possibile grazia…
L’incantamento da lei prodotto è un oltre alla seduzione, ne rivela virtù sensibili e sovrasensibili… “Somiglia alle immortali terribilmente…” dicono i vecchi di Troia nell’Iliade, guardandola con la veste bianca camminare sulle mura della loro città, ne sono impauriti. Figlia in effetti di Zeus ma attraverso la violenza su Leda, il cui nome significa ‘Donna’, e nata dal suo uovo di ‘cigna’, quindi in realtà nel perno creativo della Madre, un discernimento. “Nessuna come lei è capace di svelare, come un potente specchio, il pensiero degli altri” scrive l’autrice, immagine che irretisce la mente, che riveste di meraviglie la violenza, giustifica la guerra in nome di un corpo perfetto. Perfezione a cui tendevano i Greci, di cui si pensavano portatori, insidiosa deriva del sé egoico in Occidente, in questa visione maschile a divenire Elena figura di un’illusione, in realtà un mancare a sé, inseguendo la sua apparenza leggiadra fino alla distruzione o forse, dice Calasso, pensando di “costringere la necessità a generare la bellezza”. Mentre “Lei, la multiforme, la mutaforme, sa bene di essere molte cose, vittima e maestra di contemplazione, oggetto del desiderio e tessitrice visionaria chiamata a rappresentare la sua stessa storia… e la storia del mondo” scrive Norcia. “Vorrei che tu fossi morto” dice a Paride nell’Iliade, scampato in un duello ma solo per magia della dea, Paride, anche lui il ‘bello’, non il forte, a cui fu data in premio da Afrodite perchè l’aveva prescelta con la mela d’oro. Elena è una sorte sulla bocca di tutti, non sulla sua, e porta all’abissale tema della responsabilità e dell’offesa, gettata dal cielo sull’umano e dall’uomo sulla donna… Colpa il fascino, la bellezza? Se già a dodici anni mentre gioca a gambe nude fra i ragazzi e le ragazze di Sparta, Teseo, l’eroe, per lei si fa rapitore di bambine? E solo i fratelli, Castore e Polluce, nati dallo stesso uovo, riescono a ritrovarla… perchè diventi poi destino dei Greci? Ma loro, forze della gemellanza, sono i bagliori bianchi e bluastri che guidano i naviganti nella tempesta ed Elena, helene in greco, è la fiaccola, ed anche quel singolo bagliore, luminescenza salvifica nella notte che l’apparenta già a Selene, la dea luna e ad Artemide che illumina con la sua torcia la natura, le iniziazioni femminili e i parti. La sua bellezza è visione, ma antica-nuova di splendore, luce, ‘Phos’, che appare, non parvenza in fuga, ma vita e segno di un altrove della parola che parla di un logos amoroso, se stessa alfine, portatrice forse di pace se, suggerisce l’autrice citando Carla Lonzi… “Approfittiamo della differenza”, della nostra assenza dalla storia per creare una nuova storia. Forse, ricorda ancora l’autrice, come Virginia Woolf che sotto le bombe, agosto 1940 compone nella sua mente il suo ultimo saggio “ Pensare la pace durante un raid aereo” .
Giuseppina Norcia, 1973 Siracusa, grecista, cura itinerari, drammaturgie e narrazioni con particolare riferimento al mito e all’anima di luoghi.