“Noi femministe vogliamo prendere la parola in questo momento cruciale per la vita democratica del nostro paese”: pubblichiamo il documento delle Assemblee promosse dalla Casa Internazionale delle Donne di Roma e dalla Casa delle Donne di Milano, 18 gennaio 2022.

La  discussione sull’elezione del Presidente della  Repubblica riguarda la natura e le forme della democrazia e il significato della Costituzione. È la Costituzione che stabilisce il ruolo del Presidente quale coordinatoredell’equilibrio dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario e deve rappresentare e garantire l’unità nazionale.

Servirebbe un dibattito alto, rigoroso, un ancoraggio solido alla cultura costituzionale, ai suoi principi e ai suoi valori, al nesso inscindibile tra promozione della democrazia (che non è malata di conflitto ma di rappresentanza), promozione dell’uguaglianza dei diritti (nel riconoscimento delle differenze) e difesa della laicità (che non è relativismo etico ma un pensiero forte che riconosce che principi ordinatori delle leggi non debbono seguire i valori etico confessionali).

Servirebbe una discussione che non rimuovesse le fatiche, le sofferenze, le disperazioni, le solitudini che la follia e l’ingiustizia di questo sistema economico continuamente producono.

Servirebbe una discussione che promuovesse fiducia, speranza, soprattutto oggi, in piena nuova ondata Covid, in questo tempo di incertezza e disorientamento in cui la “cura”, che dovrebbe essere base di ogni scelta politica, è diventata una “cosa da donne” o da “anime pie”.


L’elezione del Presidente riguarda certamente il voto dei “grandi elettori”, ma la figura del Presidente deve essere riconosciuta dalla società, rappresentante simbolico dei bisogni delle vite di tutte e di tutti, dal nord al sud, in tutto il territorio nazionale.

La miseria del dibattito politico rischia di aumentare lo scarto, lo scollamento tra cittadine, cittadini e politica, partiti, istituzioni, spingendo ancora di più verso un populismo che sceglie soluzioni autoritarie, come il presidenzialismo. Il presidenzialismo è infatti il convitato di pietra: non aumenterà la sovranità popolare, ma cancellerà la democrazia parlamentare rappresentativa, sovvertendo il dettato costituzionale.

La percezione di un pericolo per la democrazia è suffragata dalla candidatura di Berlusconi che è inaccettabile, irricevibile, indecente, ma senza sufficiente scandalo istituzionale.

Berlusconi è quello del conflitto di interessi, dei rapporti con la mafia e la P2; dei reati contro lo Stato passati in giudicato, dei 36 processi, della condanna per frode fiscale, delle leggi ad personam. È colui che ha sdoganato i fascisti, che ha sovvertito il dettato costituzionale con le scelte eversive sulla sanità, con l’ubriacatura individualisticadell’uomo solo al comando, della  supremazia dell’impresa rispetto ai diritti costituzionalmente esigibili. È il simbolo del più becero maschilismo, del sistema di scambio tra sesso, denaro e potere. Questa candidatura è una vergogna per chi la propone ma denuncia l’intero sistema politico italiano (quando accetta e non espelle corruzione, legami criminali, opportunismi), la cultura politica (quando è contigua al neoliberismo, alimenta il revisionismo culturale e storico), il sessismo (che pervade politiche, linguaggi, comportamenti).

Berlusconi è stato e continua a essere il primo cavaliere del presidenzialismo.

L’altro candidato in campo è Draghi, l’uomo dei poteri forti, delle banche, delle élites, che sta governando come il salvatore del paese, quale garante in Italia e in Europa delle risorse del PNRR. Ma è soprattutto il garante degli obblighi europei in materia di riforme da attuare, come quella sulla concorrenza, che stravolge la titolarità pubblica dei servizi affidandoli al mercato. Draghi attenta al sistema universalistico dei diritti previsto dalla Costituzione, con il provvedimento sull’autonomia differenziata. Sebbene mai votato, gode di immunità mediatica e la sua candidatura è un’anomalia che azzera il ruolo della politica e dei partiti, rendendo di fatto operativa la Repubblica presidenziale.

Una donna al Quirinale?

Molte e molti si chiedono se sia il momento di proporre una donna al Quirinale.

L’esclusione delle donne dalle istituzioni è un problema grave della nostra democrazia, che le battaglie per la parità, le azioni positive e le norme antidiscriminatorie non hanno certo colmato. E siamo consapevoli che la riduzione del numero dei parlamentari, oltre a rimuovere il ruolo delle opposizioni, delle minoranze e del conflitto, peggiorerà la presenza delle donne nel Parlamento, perché decideranno le segreterie dei partiti. Saranno premiati i fedeli e le ancillae domini. Vinceranno le caste, le lobbies – in primis quella degli uomini contro le donne – in un paese profondamente maschilista.

Senza affrontare queste criticità, appare strumentale e anche ipocrita il dibattito su “una donna al Quirinale”. E poi, perché “una” donna? Senza un nome e un cognome? Quasi che la donna giusta sia quella senza un volto? Quale donna? Una donna qualunque? Anche una donna di destra? Anche una donna pur autorevole ma non laica?

Non possiamo annacquare la singolarità delle storie e delle personalità politiche femminili nell’indistinto della categoria di  genere. Non può essere che una donna valga l’altra. C’è indubbiamente una questione di rappresentazione della realtà della vita, fatta da donne e uomini e sarebbe simbolicamente significativo che anche nelle istituzioni venga rappresentato un paese reale, fatto di donne e uomini. Ma c’è anche la questione della rappresentanza politica di genere, che certo non può identificarsi con il protagonismo delle donne di destra, che rivendicano il ruolo patriarcale della donna all’interno della famiglia e della società, sposano l’emancipazione individualistica, accettando persino di piegare la biologia agli interessi dell’impresa, in nome di una conciliazione tra carriera e maternità.

Per la carica di Presidente della Repubblica proponiamo oggi un preciso profilo, di donna autorevole, di robusta formazione costituzionale, antifascista e garantista, di esperienza istituzionale, profondamente democratica e laica. Soprattutto che sia capace di porre la propria individualità con la consapevolezza di ciò che ha significato e continua a significare appartenere a un genere.