Siamo andate a cantare in giardino sotto la nostra rosa rossa fiorita. La chitarra di Nicoletta, i testi delle canzoni concordate alla mano e un puro divertimento per le stonature, le interruzioni, i momenti esaltanti in cui sembravamo davvero un coro. “Potremmo diventare il coro della Casa delle Donne”, ci dicevamo, prendendoci in giro, ridendo.
Rientrate nella nostra aula- soggiorno col tavolo apparecchiato dei nostri buoni mangiarini sempre più stuzzicanti, abbiamo iniziato a svolgere il nostro “compito”: raccontarci “un viaggio” interiore o reale che riteniamo importante. Perché, se è una festa incontrarci, ci riserviamo sempre uno spazio di riflessione con obiettivi e temi concordati.
E per la terza volta, tanti sono stati sinora i “nostri sabati”, al levarsi della voce, anche emozionata, di ciascuna che dice un pezzetto della sua vita, si è creata quell’atmosfera “magica” di ascolto, di silenzio pensoso, di “incontro” con altre vite e altri mondi. Uno “spaesare” da sé per “appaesarsi” in realtà sconosciute, nelle vite di ciascuna di noi che, anche attraverso piccoli racconti, ci diventano pian piano familiari: ci pare sia proprio questa la modalità del creare “intercultura” tra noi…
Ma dove ci hanno portato i nostri “viaggi”?
Abbiamo rimbalzato qua e là: dalle piccole nostre micro storie alla Storia che, si sa, tutte le comprende, fingendo di non saperlo.
Da Pinerolo negli anni ’80 in un incontro tra femministe dove Nicoletta consapevole del suo amore per le donne, impossibile da manifestare nel suo paese d’origine, scopre che si poteva parlare con naturalezza dell’essere lesbiche, al Sud Africa a metà anni ’90 con Anna che, dopo una grave malattia, decide di fare un viaggio da sola con sua madre. Le peripezie, gli incontri, compreso quello con sua madre: una sfida ai pericoli. “Ma cosa ti può succedere dopo una malattia che ti ha sconvolto la vita?”
E siamo state anche in tram con Candy che, entrata in menopausa, va all’ospedale Niguarda a farsi la Moc. Accanto a lei seduto, si trova un bel ragazzo. Che bel ragazzo, pensa. E nel viaggio, per tutto il tempo sente un calore sulla coscia coperta dal golf che si era tolta per il caldo…invece scopre che era la mano del giovanotto. Lo stupore, lo sdegno, la scenata, la complicità con due donne compagne di viaggio e anche…allora non sono così vecchia…E ancora ad inizio anni ‘70 sul tram 33, sino all’alba con Francesca a macinare una scelta, una cesura.
Il viaggiare comporta rischi, sorprese, percorsi non scelti, si sa.
E così Natalia ci ha portato in Ucraina, il suo paese “con una guerra civile che non finisce più”, dice e “l’indipendenza che non arriva, mentre il suo popolo la desidera da secoli.Tutta colpa del comunismo”, continua. E anche Carmen, rumena, si dice stupefatta di non aver capito sino a vent’anni in che mondo viveva, senza possibilità di scegliere, senza alcuna libertà. Anzi, racconta che un giorno tutta contenta assume un incarico dal Partito, ha in mano il suo bel libro “rosso” di Ceausescu, ma sul tram incontra un amico che le dice: dove vai ora con quel libro e il tuo impegno politico che il “comunismo” è caduto: era il 1989. Io, dice lei, dopo ho capito.
Noi tutte, ad ascoltarle, ci sentiamo smarrite e catapultate nella Storia. Non possiamo affrontare, in questo pomeriggio di sole, con le torte che aspettano di essere mangiate e il cioccolato fatto da Giovanna che si sta squagliando, temi tanto complessi. Lo diciamo.
Ma il “comunismo”, detto così, non ci piace. Una qualche idea di “comunismo”, malgrado l’inattualità della parola, l’abbiamo ancora in cuore, almeno come aspirazione alla giustizia, alla libertà, ad una felicità condivisa. E, allora Gianna racconta che lei nel ’64 va a Pisa all’Università e lì si trova ad ascoltare Adriano Sofri, giovanissimo. Per la prima volta viene in contatto con idee di “sinistra” e a lei, ragazza vissuta in un ambiente “ovattato”, si spalanca un mondo nuovo tutto da scoprire. Marisa, invece, sottolinea come nell’Italia degli anni ’60 essere “comunista” voleva dire essere “brutta e cattiva”. Perché arrivata al Nord da Napoli ad insegnare, ed essendosi iscritta alla Cgil, si sente dire dalla Preside: sei così gentile, carina…non hai la faccia da comunista”.
Il tempo è volato. E’ tardi. Approfondiremo, ci siamo dette, ne riparleremo…e abbiamo dato inizio al nostro banchetto. Ci rivedremo anche sabato 14 giugno, perché i nostri sabati raddoppiano: abbiamo troppo da raccontarci per aspettare ancora un mese.
Francesca Amoni
Laboratorio “Interculture”