di Judith Butler
(Mimesis Edizioni, 2014)

“Undoing gender” (2004) è il titolo originale del libro di Judith Butler, che diviene nella prima traduzione italiana del 2006  “La disfatta del genere” e “Fare e disfare il genere” in questa Edizione Mimesis del 2014, ponendo qui l’accento non solo sull’aspetto de-costruttivo ma anche creativo dell’esperienza del ‘disfacimento del genere’, un processo dove il disfare può seguire o precedere il fare, in una circolarità mai conclusa.

Una de-costruzione a partire da quella filosofica che dalla Fenomenologia dello spirito di Hegel arriva alla teoria francofortese, Butler dissente sul fatto che la relazione debba presupporre sempre un termine medio, un terzo, un mediatore fra le parti come posto dalla metodologia hegeliana ma anche strutturalista e psicanalitica, mettendo in discussione in primis il complesso di Edipo e i presupposti psichiatrici quali disturbo di identità di genere.

Butler non discosta la teoria dalla pratica della vita reale e concreta, nei saggi qui raccolti l’autrice continua la riflessione sulla differenza sessuale, il genere, la sessualità, anche nell’aspetto legale e  medico, ripensando in modo più creativo e fluido alcune posizioni già contenute in Gender Trouble (1990) – Questioni di genere (2004). Se tali categorie sono concezioni socialmente acquisite e riperformate acriticamente che ‘normalizzano’ la vita e i generi sessuali, punto di svolta è l’essere critico e trasformativo, nel porre il riconoscimento di nuove soggettività, della persona in tutte le sue scelte di vita e di genere, e punto di forza nel femminismo la capacità di contenere le diverse visioni, giocate in modo da riappropriarsi e costruire il ‘possibile’ e il ‘vivibile’. Possibilità concrete e immaginarie, corporee e simboliche che urgono verso un reale più vasto e libero da ogni violenza: la pratica di fare e disfare il genere è modalità di azione creativa e politica individuale e collettiva, il genere essendo, come già messo in luce da Foucault, dentro più che mai al binomio sapere/potere e il corpo nella sua esistenza sociale sempre sessuato e sottoposto ad assoggettamento normativo.

Il transgender rientra nella sfera politica, mette in discussione le attuali concezioni della realtà e apre l’urgenza di definirne di nuove. Butler pone la fantasia come forza alla base non solo dell’aspetto cognitivo interiore ma come struttura della relazionalità, partecipe alla stilizzazione dell’incarnazione stessa. La differenza sessuale non è né totalmente data né totalmente costruita e non è possibile istituire un confine tra biologico e psichico, tra discorsivo e sociale. I corpi non sono solo spazialità date, la corporeità può occupare la norma, o eccederla, rielaborarla o trasformarla, serve un linguaggio che dia loro accesso ‘…un nuovo lessico, nell’ambito della legge, della psichiatria, della sociologia e della teoria letteraria, che legittimi la complessità cha da molto tempo stiamo vivendo’. E insieme che non venga ‘addomesticata’, sia nel desiderio, da riconoscersi  come ‘nomade’, fluttuante, trans-gender (in senso letterale), il termine Queer ne esprime la direzione liberatoria, sia nell’apparato, per cui al concetto di una impossibile totemica sovranità, Butler oppone  quello di esistenza precaria, sia del soggetto che delle comunità politiche. Nella consapevolezza della vulnerabilità e dell’apertura all’altra/o, ‘siamo disfatti gli uni dagli altri’ e nell’interdipendenza ‘luoghi di crisi e di resistenza’.

E mai pare così evidente come in questo nostro periodo storico.

Judith Butler (1956) filosofa poststrutturalista, femminista e Queer, dal ‘93 docente all’Università di Berkeley, California dove insegna Retorica, Letteratura comparata e Women’s Studies. Ultimi libri “L’alleanza dei corpi. Note per una teoria performativa dell’azione collettiva”(2015), “La forza della nonviolenza. Un vincolo etico-politico”(2020).

Rita Bonfiglio