di Carolina Capria
(Effequ, 2021)

Ho cominciato a sentirmi ospite all’interno del mio corpo, che non era mio davvero, altrimenti avrei potuto farne quello che volevo senza essere giudicata. Io ero semplicemente la persona che se ne doveva occupare. Come una guardiana, una custode, una governante

Ospite. Questo sostantivo racchiude nella sua sfumatura semantica così essenziale il ruolo che ricopre la donna, secondo la società, rispetto il suo corpo. Un ospite, una custode, una governante: la donna ha come ruolo principale quello di tenere in ordine il proprio corpo, renderlo gradevole alla vista, curarne ogni dettaglio al punto tale da rendersi complice di una visione oggettificante di esso. Il corpo femminile, uno spazio di contesa, un campo di battaglia in cui si combatte un conflitto permanente.
Capria in questo agile saggio, uscito per i tipi di Effequ a novembre 2021, ripercorre l’anatomia del corpo femminile dalla giovane età alla vecchiaia spiegando come ogni tassello della crescita della donna passi al vaglio di un controllo da parte della società in maniera più o meno evidente.
Quale è quindi il miglior modo per rendere le donne spettatrici del proprio corpo?
La prima operazione che prende piede fin dalla giovane età è quella di frammentare il corpo femminile, suddividerlo in tanti piccoli pezzi al punto tale da obbligare il soggetto femminile ad una revisione costante di ogni elemento corporeo: nascondere il sangue mestruale, lenire l’avvento delle rughe, tenersi in ordine e compiacenti, assottigliare le proprie linee morbide. E infine, dopo aver passato un’esistenza intera a controllare il proprio aspetto, la condizione che riunisce ogni donna che varca l’età della maturità è quella di essere dimenticata, messa da parte.
Esaurito il proprio potenziale di bellezza e vanità non serviamo più, avanti le donne giovani, che la ruota della beautymania continui a girare.
L’immagine con cui apre il saggio la scrittrice è quella fornita dal romanzo della Atwood, Il racconto dell’ancella: in un futuro distopico, nella Repubblica di Gilead, le poche donne rimaste fertili sono ridotte al mero ruolo di ancelle, sottoposte ad una violenza permanente del loro corpo, utile per essere fecondato e controllato dal conclave di uomini di un regime totalitario teocratico.
La realtà che descrive la Atwood e il lavoro minuzioso di descrizione del soggetto femminile dedito alla propria cura estetica nonostante sia ridotto ad oggetto funzionale al solo accrescimento demografico del paese, è l’estrema proiezione del mondo in cui viviamo, in cui le donne sono costrette a prendersi cura di sé nonostante l’erosione costante dei loro diritti, pena l’emarginazione e l’esclusione dalla società.

Il sacrificio costante in favore di un corpo sotto controllo, pulito, sodo, tonico, bello è ciò che non solo permette l’assoggettamento del soggetto femminile tramite una serie di pratiche legate al culto della bellezza ma che contribuisce alla formazione di disturbi, tra cui quelli del comportamento alimentare. Il body monitoring, il controllo ossessivo e costante di ogni aspetto del proprio corpo è un pratica che ha origini molto profonde e che trae la propria linfa un sistema patriarcale e sessista. Ovviamente tale pratica designa il teatro della vita in cui gli uomini sono protagonisti attivi e le donne esistono come oggetti, passive, con il ruolo di compiacere lo sguardo maschile, il male gaze, così chiamato secondo il linguaggio dei media e delle arti visive. La conseguenza è l’obbligo per le donne di guardarsi secondo una prospettiva esterna, interiorizzando così lo sguardo maschile giudicante. Le donne vivono al di fuori di loro stesse, definendosi in base alla propria percezione sociale e non in base al loro essere, smettendo di abitare il proprio corpo e mettendo la propria soggettività in secondo piano. Le ricadute prettamente pratiche possono inficiare nella formazione, per l’appunto, di disturbi del comportamento alimentare e in una vita sessuale poco soddisfacente poiché votata alla ricerca di una performance perfetta, così come il proprio corpo.

Il libro di Capria è quindi un utile alleato per poter comprendere come le lotte legate al corpo delle donne siano un racconto polifonico di tante donne, un racconto intersezionale della possibilità di poterci liberare coltivando lo strumento della sorellanza: allargare le braccia, tendere le proprie mani verso quelle di altre donne, stringere legami e crescere, profondamente e con consapevolezza, per pensarci libere e, infine, liberarci tutte.

Giulia Tenenti