di Vittoria Longoni

La sentiamo come un’amica, una compagna, una “sorella di anima”, una grande protagonista della cultura contemporanea.  Femminista, coraggiosa nell’uso del linguaggio e dei temi, scrittrice, blogger (a partire dal primo blog Il Mio Sinis), attivista, opinionista, drammaturga, determinata nel vivere con coerenza e straordinaria serenità la malattia e l’approssimarsi della morte.

Il suo premiatissimo romanzo Accabadora del 2009, incentrato sulla figura tradizionale sarda della benefica donna che si fa dispensatrice di morte a chi soffre una lunga agonia, è dedicato ai fillus de anima, i “figli di anima”, come lei stessa era, “adottata” a 18 anni da una zia che ha valorizzato il suo talento.

Michela ha sempre tratto il meglio dalle numerose culture che ha attraversato. Sarda di origine e di affezione, il suo impegno era iniziato con un attivismo autonomo nell’Azione Cattolica (le nostre amiche del Coordinamento Teologhe Italiane la ricordano come una di loro), poi con i suoi scritti e prese di posizione ha condiviso tutte le lotte degli ultimi trent’anni contro il lavoro sfruttato e precario, per il  femminismo, la laicità, contro le prevaricazioni governative, il fascismo  e la violenza di genere,  per i diritti dei mondi LGBTQI+ e queer.

Tra i suoi scritti, sempre impegnati e controcorrente anche nel linguaggio, ricordiamo Ave Mary. E la chiesa inventò la donna, Chirú, Futuro Interiore, Istruzioni per diventare fascisti, L’ho uccisa perché l’amavo: falso! (con Loredana Lipperini),Morgana, Storie di ragazze che tua madre non approverebbe, God save the queer, la raccolta di storie illustrate Noi siamo tempesta. Fino all’ultimo uscito, la raccolta di racconti Tre ciotole. Ha animato dibattiti, collaborato con il cinema, il teatro e con trasmissioni televisive. Instancabile, diretta, autonoma.

Quello che ci ha colpito di più è stato il suo modo di dare l’annuncio del cancro incurabile che l’aveva colpita (non “Perché proprio a me?” ma “Perché non a me?) e di vivere i suoi ultimi mesi di vita, all’interno di un’ampia “famiglia queer” che superava i rapporti di sangue. Un fine vita ricco di impegno, in piena coerenza con le lotte che aveva sostenuto, trasmettendo messaggi di serenità. Come per molte altre nostre compagne, possiamo proprio dire che Michela Murgia continua a vivere e a comunicare con noi. I suoi molti messaggi ci accompagneranno a lungo.