Quest’anno, dopo alcuni anni di assenza, la Casa delle Donne di Milano ha ospitato due eventi del Tempo delle Donne, la serie di incontri che vengono organizzati in settembre dalla 27a Ora/Corriere della Sera. È una sorta di festa-festival che attira un pubblico numeroso: quest’anno in cui festeggiava il suo decennale, 32 mila persone, tra eventi alla Triennale ed eventi “diffusi” come quelli alla Casa delle Donne. La parola d’ordine di questa edizione era Libertà.
Abbiamo deciso di partecipare al Tempo delle Donne con due incontri nella nostra sede di via Marsala. Nel primo, il 6 settembre 23, ci siamo presentate, raccontando che cos’è la Casa delle Donne di Milano, come lavora da quasi dieci anni (sì, presto sarà anche il nostro decennale) e, soprattutto, invitando a riflettere su che cosa significa per le donne e per il femminismo la parola libertà. Nel secondo, il 7 settembre 23, abbiamo ospitato un’iniziativa sul tema “Libere da-libere di”, su cui potete leggere l’articolo di Valeria Russo, una delle ospiti.
Carlotta Cossutta, copresidente e responsabile legale della Casa delle Donne di Milano, nella sua introduzione del 6 settembre ha così definito che cosa intendiamo: “Vogliamo far uscire la parola libertà dal vuoto, da un significato che spesso allude più al mercato e all’assenza di vincoli che all’autodeterminazione. Per noi la libertà delle donne è un’esperienza di liberazione collettiva, legata anche alle condizioni materiali, in un intreccio non scontato tra autonomia e relazione tra donne. Dunque non un obiettivo ma un lungo percorso da fare insieme, dove la mappa delle cose da cui liberarci cambia continuamente”.
Anita Sonego, presidente onoraria, ha sottolineato che libertà, fuori da un contesto, può essere anche una parola pericolosa perché può essere collegata al ” liberismo” o al concetto sotteso alla “Casa delle libertà”. Nel nostro caso, come in molti altri Luoghi delle donne, è interpretata come una “battaglia collettiva che intreccia diritti e lotta alle discriminazioni, lavoro e ambiente”.
Floriana Lipparini ha ricordato che per le donne libertà significa anche essere “eretiche”, parlare di temi tabu e andare contro i poteri, per esempio in questo periodo affrontare la “narrazione tossica” che da tutte le parti ci viene proposta sulla guerra. “Anche la parola pace può diventare vuota se non la riempiamo di contenuti, come l’antimilitarismo, l’opposizione alla produzione di armi e alla politica dei confini chiusi e delle violenze contro I migranti. Chiediamoci dove e perché nascono i conflitti, che cosa significano i confini, che non possono diventare luoghi di tortura e violazione dei diritti umani.”
Tra gli interventi e le testimonianze che sono seguite, alcune sono arrivate da donne che non conoscevano la Casa. Come Maura, che si è commossa e ci ha commosso dicendo che “qui ho sentito parole che non sentivo da secoli e che mi hanno dato grande emozione”.