di Lidia Cirillo
Sabato 2 marzo 2024, nel cimitero di Lambrate ho salutato per l’ultima volta la mia compagna e amica Rosa Calderazzi. In una Sala Multifunzionale affollata molte persone hanno voluto ricordarla e i frammenti dei discorsi si sono alla fine ricomposti in un ritratto nello stesso tempo incredibile e veritiero. Rosa era una donna di altri tempi e in quei tempi, di persone come lei oggi quasi ottantenni e come me ultraottantenni, c’era una cosa che chiamavamo “militanza”, con un termine discutibile e improprio ma efficace.
Il suo esercizio occupava per intero la nostra vita, anche quando facevamo altro, per esempio lavorare o viaggiare in metropolitana o mangiare con amic* e parenti che bisognava sempre convincere di qualcosa. Poi venne la cosiddetta “crisi della militanza” ma non per Rosa. Per anni ha volantinato ai cancelli delle fabbriche, ha aiutato chi non aveva casa a procurarsi un tetto, ha portato concrete testimonianze di solidarietà in America latina e in altri paesi del mondo.
Una decina di anni fa con un camper e un compagno alla guida girò gran parte dell’Italia per raccogliere fondi e medicinali che portò poi in Grecia, a cui la Triade aveva deciso di “spezzare le reni”. Ma Rosa non era una santa laica dell’ordine di Santa Maria della Rivoluzione. Come se una giornata avesse 48 ore, si concedeva anche svaghi insoliti e impegnativi. Le piaceva viaggiare e andare nei luoghi più lontani possibile senza soldi e senza punti di riferimento o con punti di riferimento evanescenti. In questi viaggi faceva incontri, rivolgeva domande e soprattutto scattava fotografie che esponeva talvolta in qualche mostra. Una volta, incoraggiata dalla sua intraprendenza, le avevo proposto di portarmi in viaggio con lei.
Non ricordo bene le parole, ma il senso della sua risposta fu: “Figurati se mi accollo un impiastro come te!” La conoscevo troppo bene per avere una reazione diversa da quella che ebbi, una sincera risata. Del resto sapevo che mi voleva bene, come io ne volevo a lei.
Qualche giorno prima di morire aveva confidato a un amico comune la sua preoccupazione per il mio stato di salute. Per la sua invece lo era di meno, prendeva un nuovo medicinale e si sentiva decisamente meglio. Un viaggio insieme comunque lo facemmo in una località balneare dietro l’angolo. La prima sera, dopo cena, mi disse che le era venuta voglia di ballare e se ne andò alla ricerca di un posto in cui farlo. Tornò di notte e mi raccontò che aveva sentito provenire musica da un albergo, vi si era infilata e aveva ballato per ore.
Nessun* nella celebrazione al cimitero di Lambrate poteva dire qualcosa che solo io e poche altre persone sapevamo e cioè che Rosa era una lettrice metodica e interessata e, avendo pochissimi soldi, prendeva libri in prestito da compagn* e biblioteche. L’ultima volta che ci siamo viste, un paio di settimane prima della sua morte, era venuta a riportarmi un libro che le avevo prestato: “Portrait du pauvre en habit de Vaurien” e vaurien vuol dire qualcosa tra poco di buono e buono a nulla. Il libro è una ricerca di Michel Husson sulle ideologie che nel tempo, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, hanno tentato di spiegare la povertà e la disoccupazione.
Ma ciò che più di ogni altra cosa distingueva Rosa era la sua passione femminista. Su questo terreno era avvenuto il nostro incontro dopo una decina di anni di rapporti cordiali ma di interessi e luoghi di intervento diversi. Costituimmo insieme ad altre i Quaderni Viola, che oggi si possono leggere nella sede della biblioteca dell’Unione Femminile e che tra un po’ avranno un loro sito d’archivio.
Lavorammo con Nadia De Mond per estendere all’Italia la Marcia Mondiale delle Donne, sperimentando l’unico modo sensato di accostarsi a donne di paesi con una storia di colonizzazione, lottare insieme. E non cospargersi il capo di cenere per la colpa di essere bianche e occidentali, cosa per Rosa e per me opinabile perché, come meridionali, abbiamo certo una forte componente africana.
Creammo con Nicoletta Pirotta e con altre “Donne nella crisi”, la rete che raccolse fondi e medicinali per le donne greche. E insieme ci siamo innamorate di NonUnaDiMeno. Poi il mio stato di salute e la mia età ci hanno politicamente separate. Ma abbiamo continuato a incontrarci assai spesso perché abitavamo a pochi metri di distanza. Qualche volta ci sedevamo per qualche minuto al bar: lei un cappuccino, io un caffè d’orzo macchiato.
Rosetta, che tristezza!