Oggi proponiamo tre testi narrativi sull’adolescenza e sui problemi delle giovani donne. Rosaura Galbiati, nel romanzo Il quindicesimo compleanno (Transeuropa, 2024) costruisce con grande sensibilità il percorso interiore di una quindicenne che si affaccia all’autonomia e alle relazioni d’amore. Olivia Ninotti, nel suo nuovo ritratto di vita familiare Sembrava un British invece era un Merdish 2. Saluto alla regina (Scatole parlanti, 2023) presenta con molto umorismo la crescita dei suoi tre figli, visti dalla gatta di casa. Il romanzo di Francesca Manfredi, Il periodo del silenzio (La Nave di Teseo, 2024) ha come protagonista una giovane donna di oggi alle prese coi lavori precari e coi social, da cui decide di tagliarsi fuori.
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Rosaura Galbiati
Il quindicesimo compleanno
Transeuropa, 2023
Pochi racconti riescono, come questo, a immergere chi legge nella trama sottile e inquieta dell’interiorità insieme mentale e corporea di una ragazza che vive emozioni, sensazioni, pensieri e paure, cambiamenti, difficoltà e scoperte in una vacanza al mare; il tutto si svolge intorno al festeggiamento dei suoi quindici anni, un passaggio delicato e fondamentale.

Intorno a lei la spiaggia e il mare, i genitori, il cane, le amiche e il gruppo degli amici. In lei i nuovi trasalimenti dell’amore, la scoperta di un corpo che cambia, la volontà di rendersi indipendente dal contesto familiare, le relazioni di amicizia, il bisogno di solitudine e autonomia e gli ostacoli delle prime incomprensioni e delusioni. Quindi entusiasmi e malesseri, il bisogno di affetto e riconoscimento e le fragilità di una persona che si offre, ancora inesperta e indifesa, alle possibili ferite da parte degli altri.

Apparentemente, il testo riprende nei piccoli dettagli una vacanza come tante, vissuta a quindici anni col suo corredo di vicende, comuni a tante ragazze. Molte di noi, anche un po’ avanti negli anni, hanno vissuto nella propria adolescenza le giornate estive al mare, dopo le costrizioni della scuola; la gioia dei corpi a contatto con l’acqua e la sabbia, i giochi di gruppo, il rilassamento, la vicinanza rassicurante e spesso seccante di genitori anch’essi in vacanza; qualche permesso nuovo, le compagnie, le prime dinamiche di amore e di scoperta della sessualità… Probabilmente questo succede ancora a tante quindicenni, che vanno in vacanza con la famiglia forse per l’ultima volta, dato che sono molto più precoci di come eravamo noi. Nella scrittura sensibile e profonda di Rosaura Galbiati, il resoconto di questa vacanza estiva e di questo compleanno va più a fondo, aiuta a riscoprirne l’intensità, diventa una forma particolare di romanzo di formazione e di esperienza. Si verifica  un’essenziale scoperta di sé che viene narrata nei suoi risvolti intimi , “là dove corpo e anima non sono ancora distinti” (parole di Christa Wolf).

La protagonista comprende l’origine del suo particolare bisogno di amore ripercorrendo le proprie esperienze relative alla nascita e alla prima infanzia, che in un momento particolare aveva messo per iscritto e ora ritrova. Non a caso, le capita tra le mani il suo scritto nel momento in cui, al ritorno dalla vacanza al mare, la sua bruciante delusione d’amore la fa ancora soffrire. Ma, cercandone le ragioni, comprende perché il ragazzo desiderato si è chiuso in un’improvvisa, dura ostilità che la respinge e le fa tanto male. Anche per lui, le radici delle difficoltà e della diffidenza stanno in una mancanza irrisolta, in un vuoto nelle relazioni della prima infanzia, un rischio di abbandono che teme possa riprodursi.

La delusione del primo amore diventa quindi per la quindicenne l’occasione per una scoperta profonda di sé, dell’altro e dell’umanità, e fa emergere una nuova grande risorsa, la scrittura. Un’attività che d’ora in poi sarà sempre a sua disposizione, per comprendere sé stessa, gli altri e il mondo e mitigare il dolore; forse anche la prima espressione di ciò che può diventare una forte motivazione professionale.

Rosaura Galbiati scrive molto bene, con passione e grande sensibilità, facendo scoprire risvolti nuovi e impensati nelle esperienze narrate, nelle relazioni interpersonali e nelle parole che le raccontano. Nei suoi racconti e romanzi, molti di quali ancora inediti, costruisce figure e personaggi indimenticabili, esplorati nella loro intimità profonda con un insolito lavoro di scavo nelle parole. Invita chi legge a ritrovare e a raccontare nelle esperienze proprie e altrui, spesso banalizzate e standardizzate nella comunicazione quotidiana, angolature nascoste e preziose. Aspettiamo di leggere molti altri suoi testi. Auguri, Rosaura!

Vittoria Longoni


Olivia Ninotti
Sembrava un British invece era un Merdish 2. Saluto alla regina
Scatole parlanti, 2023
La gatta Luna, giunta nella famiglia adottiva nel corso del primo libro, osserva con ironia i suoi cinque coinquilini umani e i due felini. I due adulti (la BUA, bipede umana adulta, e il BUA, bipede umano adulto) sono circondati dai tre bubbi (bipedi umani bambini), una ragazzina, detta la 1, e i due maschi, in scala il 2 e il 3.

“All’inizio del mio arrivo pensavo davvero che fossero un branco di matti. Come ritenevo in generale, i BUA non sono matti. I BUA vogliono animali in casa e si convincono che tutto andrà bene. Fanno anche i figli con la stessa fede. Ma non è vero. Ai BUA piace tanto raccontarsi le cose anche quando non ci credono fino in fondo”. Così iniziava il racconto di Luna nel libro Sembrava un British invece era un Merdish 1, che abbiamo già recensito in questa rubrica. Ora, a distanza di due anni, ecco il sequel, il numero 2: stessa autrice, stesso stile, stessi personaggi, stessa voce narrante (Luna) ma cresciuti di circa due anni. La differenza c’è e si sente. Eccome.

La gatta Luna ora è perfettamente ambientata. Con la sua intelligenza acuta e sarcastica osserva e registra cambiamenti e scene tipiche. La gatta anziana, detta Morgana o Occhio di Sauron, è ancora più anziana e più acciaccata, ma benintenzionata a vivere, anche se si muove pochissimo. Il giovane gatto British – detto anche Stecca, Bisteccone, Sacco di patate, Boiler o Pupazzone – è diventato un enorme e grasso Cuor contento col carattere di un cane. Un po’ fesso, starnutisce e smoccola a ogni imprevisto domestico. La Uno ora frequenta la seconda media, è un’adolescente molto sveglia e un po’ lunatica e abita una piccola stanza in fondo al corridoio, detta sgabuzzino. Il Due va in quinta elementare, è intelligente con algoritmi personali e il suo percorso scolastico è piuttosto imprevedibile. Spesso se ne sta in un suo Altrove. Il Tre dorme nella stessa stanza del Due su un letto a castello e frequenta la seconda elementare. “[…] se riesce a stare fermo è perché è ammalato. Ma non si ammala mai”.

Anche questo secondo libro è scritto con lo stile intelligente, scanzonato e sarcastico che abbiamo conosciuto. Ci si diverte a ogni pagina, tra le imprese dei tre bubbi e quelle dei tre gatti, a base di scontri, scherzi, disastri e scaramucce. Non meno divertenti le imprese quotidiane dei due genitori, entrambi medici, attivamente aiutati dai due nonni che collaborano a complicare le cose in famiglia con le loro improvvisate e i loro commenti poco graditi. Chi legge condivide la loro vita per un altro anno, coi passaggi scolastici connessi.

La vita familiare scorre intensa e scombinata, non c’è da annoiarsi. Luna è diventata più matura e ora osserva i due genitori con una maggiore comprensione delle loro difficoltà, quasi per un’identificazione col ruolo adulto. Ogni tanto nella narrazione si affaccia qualche tono più dolente e riflessivo. Si cresce, tutti e tutte. La nonna è convinta che esista la “febbre della crescita” e in effetti capita che i due bubbi maschi riemergano dalle malattie allungati di parecchi centimetri.

C’è posto anche per un inizio di emancipazione: il padre e i bambini per la prima volta vanno in vacanza con vari parenti, ma senza la madre; lei se ne sta a casa, riordina il tutto in modo compulsivo e dovrebbe godersi il suo tempo, ma in realtà “la triste, banalissima verità è che la pazza gioia della Bua è solo quando ci sono i suoi carcerieri affettivi”. Pulisce la casa, nutre i suoi gatti e fa lunghe videochiamate bizzarre; Luna ascolta e vede.

Con tono a volte dimesso, quasi casuale e sempre umoristico seguiamo con l’occhio della gatta le grandi sfide: la crescita, l’adolescenza e il confronto con la vecchiaia e la morte.

“Alla fine, cos’è l’adolescenza se non la vera espressione […] quella più profonda, disordinata e perturbante della volontà di esserci senza l’altro e della prova che non ne possono fare a meno.

L’adolescenza è una malattia che fa assomigliare i bubbi ai Gatti, in particolare ai Merdish.

Merdish che soffiano, vagabondano, sticazzicano e spariscono.

I Bua, una volta grandi, cercano di dimenticarlo”.

La vecchia gatta anche se mangia è molto dimagrita. “Traballa, non sa come rientrare nel trasportino. Probabilmente non si ricorda la sequenza delle zampe. La Bua si accuccia di fianco a lei. Piano le dà una spinta e l’accarezza. La Vecchia alza il muso e sotto quella mano socchiude gli occhi […]. Non ci posso credere. Ama davvero la bua”. Ogni tanto Luna sente un piccolo dolore che non riesce a spiegarsi.

I commenti più profondi, che la gatta ascolta con piacere, avvengono in occasione di una morte, felina o umana. Il bua ha detto: “La nostra vita è basata sull’incontrare e lasciare, ragazzi; in quello spazio in mezzo bisogna volersi tanto bene”.

Questo bel libro, divertente e intelligente, riserva sorprese a ogni pagina; rispecchia lo spessore umano e professionale dell’autrice, neuropsichiatra infantile e madre che a volte rivolta ai figli sbotta: “Io non riesco a educarvi”. Ma alla fine della sua nota sull’adolescenza dice ai genitori: Sopravviverete.

Vittoria Longoni


Francesca Manfredi
Il periodo del silenzio
La Nave di Teseo, 2024
Cristina ha 28 anni ed è una precaria. Ha cambiato un paio di lavori a breve termine ed ora è riuscita ad avere l’incarico di archivista all’università a 900 euro al mese, sempre a termine. Questo le dà il coraggio di prendere in affitto un appartamentino e lasciare la famiglia d’origine. Ha vissuto fino a quel momento con il padre, un tipo taciturno ma sostanzialmente affettuoso, la madre, apparentemente freddina ma di quelle che ti amano senza fronzoli. Ha anche una sorella, Elena, di cinque anni più grande di lei e già sposata con un bambino di quattro anni.

Le due sorelle hanno caratteri completamente diversi ma un bel rapporto affettivo. Ha anche l’amica del cuore, Silvia, anche lei caratterialmente opposta, che la trascina nel vortice della vita sociale fatta di aperitivi, apericene, ubriacature di fine anno e nelle feste comandate. Ha avuto un intenso rapporto sentimentale con Giacomo dal quale, dice, di avere imparato molto ma che, dall’alto della sua funzione taumaturgica, a un certo punto la lascia. Incontra Daniele, più sensibile e rispettoso ma verso il quale non prova la stessa intensità di sentimento che aveva provato per l’altro.

Nella prima parte del romanzo sembra che Cristina si lasci vivere, trascinata da questa o da quella relazione, pur avendo idee precise e stati d’animo sulla vita e sul mondo con i quali ragiona tra sé e che, pur buttandosi nella mischia, le permettono una certa distanza interiore che non la fa partecipare fino in fondo a ciò che fa.

Una sera decide di tagliarsi fuori dai social, che come ogni giovane, aveva usato fino ad allora. Ma alcune settimane dopo decide anche di entrare nel silenzio, proprio di non parlare più. Mentre la decisione di spegnere i social è stata realizzata in un attimo con una serie di elimina, quella di entrare in silenzio viene ponderata e monta come un progetto vero e proprio da programmare e realizzare nei dettagli. E così farà.

“L’inizio del silenzio fu innanzitutto un piano elaborato. Non è qualcosa che si improvvisa, così come non si improvvisa una fuga o un atto di distruzione”. Lo concretizzerà con una serie di stratagemmi o di atti diretti, a seconda delle persone a cui deve annunciare il suo proposito. Lo vivrà in modo integrale insieme agli effetti che questo le produrrà. Ma entrare in silenzio, quando non è un voto o una fuga ma più esattamente una dimensione di vita, lascia perplessi gli altri e così chi legge non solo conosce le metamorfosi di Cristina rispetto al suo stesso silenzio, ma anche le reazioni degli altri al silenzio di lei.

Entrare in silenzio non per lei implica il completo isolamento ma relazioni selettive che la porteranno, inaspettatamente, a diventare esempio per un gruppo di persone che vorranno imitarla. Posteranno sui social il silenzio di Cristina e, nonostante lei, il suo caso diventerà virale con uno stuolo di seguaci. A quel punto ci sarà un’ulteriore svolta e decisione da parte della nostra protagonista.

Raccontato in prima persona tempo dopo i fatti, Il periodo del silenzio è un romanzo originale nel contenuto e dalle tante implicazioni: non è una fuga, non è un rifiuto, non è un atto votivo. È una scelta che ha a che fare con una certa visione di sé rispetto agli altri e a un mondo con le sue regole ferree, che siano quelle tradizionali o quelle più fluide di una contemporaneità chiassosa e frettolosa. Ma non vuole insegnare niente, solo rientrare in sé e, se l’unico modo è zittirsi, visto che non si può zittire il mondo, allora quella è la strada.

Nell’ultima parte del libro è la sorella a raccontarci l’epilogo e, anche se può sembrare punitivo, è dolce, “sa di latte” e potrebbe essere un nuovo inizio, una nuova dimensione “fresca come la neve appena caduta”.

Francesca Manfredi, classe 1988, è laureata al DAMS dell’Università di Torino e diplomata alla Scuola Holden. Nata a Reggio Emilia, vive a Torino, spesso rappresentata nella sua scrittura. Lo stile è scarno, diretto, ironico e lei si dice ispirata dal minimalismo di Raymond Carver. Ha tuttavia un calore e una freschezza tutta giovanile a condire le frasi e i pensieri di una generazione tipicamente italiana.

Angela Giannitrapani

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