di Paola Redaelli.
Da una settimana mi sto tormentando su cosa scrivere a proposito di quanto sta accadendo a Gaza. Di una cosa io sono certa: il genocidio programmato da Israele è in atto ed è impossibile usare una parola diversa da genocidio, come in un articolo del mese scorso ha argomentato il professore Amos Goldberg del Dipartimento di Storia ebraica ed Ebraismo contemporaneo dell’Università ebraica di Gerusalemme.
Scriveva il 27 maggio 2024 Amnesty International: “Dalle nostre ricerche sono emerse prove conclusive di attacchi illegali delle forze israeliane […] proprio mentre il procuratore della Corte penale internazionale chiedeva mandati di cattura per alti dirigenti di Hamas e di Israele, compreso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu”.
Dall’ottobre 2023 Amnesty International ha condotto indagini approfondite su 16 attacchi aerei delle forze israeliane che hanno ucciso 370 civili, tra cui 159 bambini, e ferito altre centinaia di persone, riscontrando prove di crimini di guerra israeliani: attacchi diretti contro civili, attacchi indiscriminati illegali, punizioni collettive nei confronti della popolazione civile della Striscia di Gaza.
Così commentava l’indagine Erika Guevara Rosas, direttrice delle ricerche di Amnesty International:
“Quelli che abbiamo documentato illustrano uno schema palese, attuato negli ultimi sette mesi, di attacchi israeliani contrari al diritto internazionale che hanno ucciso civili palestinesi nella totale impunità e che hanno mostrato uno spietato disprezzo per la vita umana”.
Sempre del 27 maggio è la notizia di 45 palestinesi morti (uccisi per “errore”, molti bruciati vivi) e di almeno 270 feriti a Rafah dove erano accampati. Per la stragrande maggioranza donne e bambini.
A proposito dei fatti di Rafah del 27 maggio ha scritto il giorno dopo la coraggiosa giornalista Amira Hass sul quotidiano israeliano “Haaretz”:
“Lunedì pomeriggio le autorità hanno affermato che le Forze di difesa israeliane non si aspettavano né prevedevano che nell’attacco a Rafah sarebbero stati colpiti dei civili. Un’affermazione così falsa può essere fatta solo a beneficio degli utenti di quei media che per sette mesi hanno nascosto cifre insopportabilmente alte e fotografie sconvolgenti di bambini uccisi o feriti in ogni attacco israeliano sulla Striscia di Gaza”.
L’articolo di Hass prosegue raccontando che, secondo l’esercito israeliano, il bombardamento del campo di Rafah aveva lo scopo di uccidere 2 persone (Abu Rabia e Al-Najjar) ritenute responsabili di aggressioni che avevano provocato delle vittime sia nell’esercito sia tra i civili israeliani all’inizio degli anni 2000. Il comunicato dell’esercito non rivelava peraltro che i due uomini erano stati rilasciati dalle prigioni israeliane in seguito ad un accordo per liberare il soldato rapito Gilad Shalit nel 2011.
Dunque nessun tragico errore, dice Hass, ma un ennesimo e previsto massacro di civili.
Già un paio di mesi fa Philippe Lazzarini, a capo dell’UNRWA, avvertiva che il numero dei bambini palestinesi morti in 5 mesi nella guerra israeliana “contro Hamas” aveva superato quello dei bambini morti in 4 anni in tutte le guerre del mondo. Altrettanto sconvolgente era già allora il numero delle donne morte.
Sulle ragioni di questa strage di innocenti una delle risposte possibili è stata data da un’approfondita inchiesta (pubblicata all’inizio di aprile) – citata anche da Amira Hass – della rivista online indipendente israelo-palestinese “+ 972 Magazine” che ha intervistato anche sei ufficiali dell’intelligence israeliana che hanno prestato servizio nell’esercito durante l’attuale guerra contro la Striscia di Gaza.
Da questa inchiesta emerge con chiarezza che l’esercito israeliano non bombarda “alla cieca”, come noi potremmo essere indotte a pensare, e nemmeno fa “sbagli”, ma opera secondo una precisa strategia.
Per la localizzazione della maggior parte dei “bersagli” – cioè non dei capi importanti di Hamas ma delle 3 o 4 decine di migliaia di militanti di rango inferiore (militanti di base attuali o addirittura solo un tempo militanti di Hamas), questa strategia si avvale di un sistema di intelligenza artificiale denominato Lavender, sviluppato proprio per “creare obiettivi umani” nella guerra in corso.
Quando si tratta di colpire questi presunti militanti individuati dal sistema, l’esercito preferisce usare solo missili non guidati (noti come bombe “silenziose”, in contrasto con le bombe di precisione “intelligenti”), che possono distruggere interi edifici con i loro occupanti e causare un altissimo numero di vittime.
“Non si vogliono sprecare bombe costose per persone non importanti”, ha detto un ufficiale.
Inoltre, affermano sempre le fonti israeliane intervistate da “+972 Magazine”, diversamente dal passato, ogni persona che ha indossato un’uniforme di Hamas negli ultimi due anni può essere bersaglio di un bombardamento con un “danno collaterale di 20 civili uccisi”. Nel corso di questi mesi si è stabilito che i “civili” potevano essere anche bambini.
Per uccidere invece un comandante di alto grado di Hamas l’esercito autorizza anche l’uccisione di “centinaia” di civili – una politica ufficiale per la quale (dicono i redattori dell’inchiesta di “+972 Magazine”) non ci sono precedenti storici in Israele, o anche nelle recenti operazioni militari statunitensi.
Risparmio, innanzitutto a me stessa, di riportare qui la descrizione del secondo sistema utilizzato dall’esercito israeliano per la localizzazione dei militanti di Hamas (dal terrificante nome “Dov’è papà?”), che ha portato alla distruzione di migliaia di famiglie nei palazzi in cui abitavano, spessissimo senza uccidere proprio chi si voleva uccidere.
Per concludere, anche se forse c’entra poco, copio qui il titolo struggente di un bell’articolo pubblicato da Amira Hass sempre su “Haaretz” del 20 maggio 2024: “Come si chiama chi combatte nella propria terra contro soldati stranieri?”