di Marinella Sanvito.

Alle 10:20 del 9 novembre 2024 la sala è già quasi piena, le sedie messe a circolo sono una trentina. Ci guardiamo negli occhi: velocemente Piera e, insieme a lei, noi tutte ci precipitiamo a cambiare lo scenario, le sedie vengono allineate in un grande rettangolo e subito tutte occupate dalle persone presenti. Alle ore 10:30 lo Spazio da Vivere è pieno, diverse persone sono in piedi.

Maria Nadotti avvia l’incontro: in Occidente sappiamo tutto di come si muore in Palestina ma non come si vive. Da Samah Jabr, psichiatra psicoterapeuta e capo del Dipartimento della salute mentale in Palestina, vogliamo sapere come funziona il Ministero della salute, soprattutto dopo che nel 2006 è diviso in due parti, Cisgiordania e Gaza.

Samah risponde sottolineando le parole chiave utili a comprendere la vita a Gaza: colonizzazione, frammentazione geografica, divisione della comunità, isolamento, tensione, diverso peso della mortalità tra Cisgiordania e Gaza. Tutti elementi che rendono impossibile la quotidianità, la vita di donne, uomini, bambini, bambine. Carlotta traduce con precisione e passione tutto ciò che Samah racconta, concetti complessi che spaziano dalla condizione del popolo palestinese a precisi riferimenti di psichiatria.

Una passeggiata per Gerusalemme è emblematica, antichi palazzi con evidenti segni di architettura palestinese interamente coperti da simboli e bandiere israeliane, spazio sociale sottratto che cambia la percezione del proprio spazio geografico da un giorno all’altro e che produce spaesamento, non riconoscimento del luogo dove si vive. Confini realissimi e immaginari che rendono arduo e surreale spostarsi da un pezzo all’altro della Palestina, a volte possibile solo grazie a certificati di Organizzazioni internazionali.

E poi parlando del suo lavoro di psichiatra, Samah ci offre una prospettiva del tutto nuova per noi: il trauma palestinese è un trauma collettivo intergenerazionale, è infatti dalla dichiarazione di Balfour del 1917 che i palestinesi vengono continuamente “deportati” e sottoposti a un regime di apartheid e vivono in un contesto traumagenico. Più di cento anni di occupazione hanno prodotto un trauma che non è individuale e sarebbe fuorviante leggere Ia sofferenza psichica dei palestinesi solo sul piano della patologia del singolo individuo.

Ad esempio i disturbi alimentari e di attenzione che presentano i ragazzi e le ragazze palestinesi spesso hanno origine del tutto diverse da quelli presentati dagli adolescenti europei, occidentali. La bambina che non mangia perché sente un groppo alla gola quando le presentano il cibo è spaventata dal fatto che la mancanza di farina e di pane che c’è a Gaza potrà arrivare anche in Cisgiordania; la donna incinta o che ha appena partorito devastata dalla depressione, si sente in realtà profondamente colpevole di aver generato un bambino in una situazione così terribile e che domani potrà morire!

Nel ragazzo con presunto disturbo di attenzione si scopre che semplicemente si rifiuta di seguire il curricolo scolastico israeliano che la scuola è stata costretta ad attuare. Il terapeuta in Palestina deve tenere in massimo conto questa peculiarità specifica del trauma del popolo palestinese e da qui partire per affrontare i problemi delle singole persone.

Il trauma palestinese genera un trauma vicario che colpisce i popoli che hanno subito esperienze simili, come i sudafricani, ma riguarda anche noi europei, forse il mondo intero. Tutte le persone che amano i diritti umani e che di questo amore hanno fatto la loro personale religione vengono colpiti da una vibrazione globale di lutto alla quale, come ad ogni trauma, si può rispondere fuggendo, combattendo, bloccandosi o cercando di blandire e far piacere al carnefice.

Questi e altri interessanti concetti Samah ci racconta con una generosità, con una chiarezza e una serenità disarmanti: giornata ricca di emozioni e di saperi, che ci offre l’opportunità di coglierli, farli nostri e di trasformarli nel nostro personale Sumud, capacità di resistere e dare un senso vitale alle nostre esistenze.

Al termine dell’incontro abbiamo gustato insieme un piatto di pasta al pomodoro, insalata con ceci e salsa di sesamo, uno strudel cucinati dalla cuoca Antonella

Photo @Carla Bottazzi

per chi non ha potuto esserci, qui la registrazione dell’incontro