di Grazia Longoni

“Hasta encontrarte” (Fino a quando ti incontrerò) è il nome di un collettivo di una settantina di donne messicane che cercano i loro famigliari scomparsi. Una di loro, Bibiana Mendoza, 38 anni, un bel viso aperto e combattivo, da sette anni alla ricerca di suo fratello Manuel (foto Amnesty International) è stata ospite alla Casa delle Donne il 20 gennaio 2025 insieme alla delegazione di Amnesty International che sta girando l’Europa per sensibilizzare sulla campagna “Buscar sin miedo”, “Cercare senza paura”.

L'incontro del 20.1.25 alla Casa delle Donne

Alba Bonetti (a destra) presidente di Amnesty International Italia introduce l’incontro.

È stato un incontro importante ed emozionante. “Spesso la gente mi chiede perché continuo a cercare mio fratello sapendo che è molto pericoloso e che 13 buscadoras (le donne che cercano) sono state uccise. Tra queste almeno sei, forse di più, nello Stato di Guanajuato dove vivo” ha detto Bibiana.

Perché continuare a buscar? “Perché cercando i nostri famigliari difendiamo la nostra umanità” ha risposto con le lacrime agli occhi. “Cercare cadaveri nelle fosse comuni, trovarli sfigurati dalle violenze subite, pensare che questo succede a chi scompare oggi, è una cosa che non si può descrivere. Ma io voglio dare dignità alla parola amore, voglio dire ai miei due figli piccoli che l’amore significa anche cercare tuo fratello a rischio della tua vita”.

Sulla realtà drammatica delle 30 persone che ogni giorno scompaiono in Messico (120 mila negli ultimi decenni, la maggioranza negli ultimi vent’anni) si è inserito un altro tema: quello delle donne che corrono rischi gravissimi solo per il fatto di “cercare”. “La stragrande maggioranza degli scomparsi sono uomini e la stragrande maggioranza di chi li cerca – oltre il 90% – sono madri, figlie, sorelle, zie” ha detto Edith Olivares Ferreto, direttrice di Amnesty International Mexico. “Noi vogliamo rendere visibile il fatto che è un tema di genere. Per questo siamo alla Casa delle Donne”.

Il simbolo della campagna Buscar sin miedo (Cercare senza paura).

La campagna “Cercare senza paura” è stata lanciata da Amnesty International lo scorso agosto con la richiesta di definire standard internazionali per la protezione delle donne che fanno le ricerche in America Latina.

Si parte da due considerazioni. La prima è che le “sparizioni forzate” sono un gravissimo caso di violazione dei diritti umani, legato al narcotraffico, alle lotte tra bande, al contrasto alla migrazione, alla corruzione e alla violenza che hanno accompagnato la militarizzazione della sicurezza pubblica soprattutto negli ultimi vent’anni: in Messico non esiste una polizia sotto il controllo di un’istituzione civile, esiste solo l’esercito.  La seconda è che Stati come il Messico, la Colombia e altri dell’America Latina, che pure avrebbero i mezzi e le risorse per cercare le persone scomparse, non lo fanno.

Thomas Aureliani, ricercatore dell’Università Statale che ha condotto in Messico una ricerca durata mesi e che su questo ha recentemente pubblicato un libro (Vivi li rivogliamo! La mobilitazione dei famigliari dei desaparecidos in Messico) nel suo documentato intervento ha denunciato tra l’altro l’impunità che circonda le violenze. Su circa 70 mila sparizioni degli ultimi vent’anni si contano sulle dita i casi di condanne definitive seguite a un processo.

Quali le richieste lanciate da Amnesty? La prima è agli Stati, perché cerchino le persone scomparse con impegno e con un approccio che tenga conto dell’identità delle vittime. In secondo luogo si chiede che famiglie e comunità possano partecipare, in condizioni appropriate, alle ricerche. Infine, si chiede che, in assenza dell’intervento statale, sia riconosciuto il diritto individuale a fare ricerche e che le persone che le fanno siano difese e protette. E questo vale soprattutto per le donne.

“Molti sono i pericoli che le buscadoras affrontano” ha detto ancora Olivares Ferreto. “È a rischio l’integrità fisica, perché le donne possono essere uccise o a loro volta fatte sparire. Ci sono problemi per la loro salute, dovuti alla riesumazione di corpi nelle fosse comuni e allo stress psicologico. C’è un rischio impoverimento, perché la ricerca richiede tempi lunghi, spostamenti, attrezzature, quindi costi e a volte rinuncia al lavoro. E c’è un problema politico, dovuto allo stigma sociale, il sospetto sugli scomparsi, la diffidenza a volte nelle loro stesse famiglie”.

Nel simbolo della campagna è disegnata una donna con una pala in mano: è la rappresentazione della solitudine di chi si organizza autonomamente per cercare. Un filmato da brivido, che è stato proiettato alla Casa delle Donne, ha registrato la giornata di un gruppo che cerca, scava e alla fine trova un cadavere nascosto sotto il pavimento di una casa abbandonata.

Da sinistra Edith Olivares Ferreto, Paola Ramello attivista e traduttrice, Bibiana Mendoza, Thomas Aureliani.

Quando c’è un ritrovamento, inizia un altro complesso e dolorosissimo iter, quello dell’identificazione. L’analisi del Dna è costosa e non sempre possibile. “Fondamentali sono ora le reti sociali” ha detto Bibiana. “Pubblichiamo dati sui cadaveri trovati, indicazioni come i tatuaggi o i vestiti, i famigliari spesso rispondono, c’è empatia, le informazioni che ci arrivano e che facciamo circolare ci sostengono. Anche perché le autorità sono sensibili ai commenti sui social”.

Quello che si è creato in Messico, con circa 200 collettivi come Hasta encontrarte, è un movimento simile a quello delle Madri di Plaza de Mayo in Argentina negli anni Settanta, tuttora attivo con il nome di Abuelas de Plaza de Mayo, le nonne che ancora cercano i nipoti fatti sparire dalla dittatura militare tra il 1976 e il 1983.

Come in Argentina, anche in Messico sono le donne protagoniste della coraggiosa denuncia. E a loro va la nostra solidarietà di donne e di femministe.

“I nostri familiari scomparsi, causa di tanto dolore nelle nostre vite, ci hanno però fatto un regalo” ha concluso Bibiana Mendoza. “Quello di scoprire noi stesse, di vedere la violenza da un altro punto di vista, in cui crimine organizzato e Stato, classismo e razzismo sono collegati. Siamo povere, scure di pelle, ma unite. Non vogliamo essere martiri. Se uccidono una di noi è come se ci uccidessero tutte”.