di Vittoria Longoni e Marilena Salvarezza.
Potremo vedere e dialogare con la grande poetessa e scrittrice, attiva in molti campi, che sarà collegata con noi giovedì 13 febbraio dalle 18 alle 20. Le raccolte poetiche di Maria Grazia Calandrone hanno avuto molti riconoscimenti; i suoi romanzi Splendi come vita e Dove non mi hai portata, dedicati alla madre adottiva e alla madre naturale, sono stati entrambi semifinalisti al Premio Strega.
Con lei dialogheremo sui suoi testi in poesia e in prosa, soprattutto sul suo ultimo romanzo Magnifico e tremendo stava l’amore (Einaudi, 2024). Il romanzo parte da un reale fatto di cronaca: il caso “Cristallo”. La tragedia di una giovane donna, Luciana Cristallo, del suo precoce matrimonio d’amore con Domenico Bruno, dei loro quattro figli e dei tradimenti e violenze di lui, ossessionato dall’apparire a discapito dei suoi molti fallimenti, mentre la moglie cerca la propria indipendenza.
Si ripetono gravissime aggressioni sulla donna da parte di lui. Nel 2004, dopo la separazione finalmente voluta da lei, in un ultimo incontro Bruno aggredisce più violentemente Luciana, che per difendersi lo uccide a coltellate. Nel processo a carico della donna e del suo nuovo compagno, accusati di omicidio e occultamento di cadavere, Luciana viene assolta per aver agito in stato di legittima difesa. Si apre così la strada alla legge sullo stalking, che viene approvata nel 2009.
Maria Grazia Calandrone approfondisce la relazione tra Luciana e Domenico con una ricerca documentaria appassionata e la mette in rapporto con le vicende e la cultura italiana di quegli anni. Questa storia di “amore marcito” fa riflettere sulle energie primordiali che animano i protagonisti.
Come ha osservato Luciana Cristallo, se la legge sullo stalking fosse stata approvata un decennio prima, forse Domenico non sarebbe morto. L’autrice scava con acuta sensibilità nella vita, nei sentimenti e nei pensieri della donna intrappolata nel rapporto e del marito violento, li ricostruisce quando non sono documentati. Cerca di comprendere la genesi e la ragione dei loro atti; la narrazione sfocia spesso con naturalezza in versi e testi poetici che danno ai tragici fatti una valenza universale.
Nei romanzi di Calandrone la prosa slitta nella poesia, e ciò conferisce alla sua scrittura fascino e profondità. Il linguaggio poetico è una “necessità”, etica prima che letteraria, per esprimere la visione che Calandrone ha del mondo. Anche la materia prima delle sue opere in prosa e in poesia è la stessa. Una materia dolorosa, aspra e scabra ma che ha al suo cuore pepite preziose di vita.
La parola non redime, come dice l’autrice stessa, ma può coprire di una trama pietosa che ripulisce e fa splendere le ferite, ricevute e inflitte, le azioni cieche che diventano destini. Chiusi in labirinti emotivi e culturali, i protagonisti cercano liberazioni autodistruttive. Fuori, e Maria Grazia Calandrone riesce a renderla con pochi e sapienti tocchi, c’è una società cieca al dolore che rinforza le sbarre di cui queste creature sono prigioniere.
L’energia amorosa stravolta, maltrattata e malata, in qualche forma sopravvive, scabra e ripulita alle sue carneficine. Chi fa quest’opera alchemica è il linguaggio poetico che ci offre ciò che del mondo resta, dopo che tutte le scorie sono state filtrate, dopo che è finito il rumore e il tempo può lenire se non annullare i traumi dell’anima. Così il dolore di quell’“animale metafisico” che è l’essere umano, viene trasmutato in bellezza. Nel mondo dell’autrice fioriscono la “pietas” e la riconoscenza verso la vita.
Nel suo ultimo libro di poesie, Giardino della gioia, fa crescere e armonizzare come alberi rigogliosi tutte le sue contraddizioni. La vita nella sua solitudine ontologica ma nella continua ricerca di legami, le infinite ambivalenti forme dell’amore, della gioia e del dolore, la pasta corruttibile dei corpi e la trascendenza del desiderio, la violenza e la pacificazione. Un mondo, proprio per le sue contraddizioni “radioso e gentile – e così / bello, privo di senso perfetto”. È perché la realtà è così grande che c’è la poesia. gentile