I pubblicitari e tutto l’apparato comunicativo che si muove intorno a loro hanno avuto, nel corso del tempo, alterne fortune. Osannati in prima generazione come geni della comunicazione, negli anni del boom e ancora negli anni ’80 erano dei veri e propri Re Mida dei consumi. A seguire, e a volte contemporaneamente, sono stati accusati di plagio e manipolazione, individuati come mittenti di messaggi subliminali collettivi e sospettati di manipolazione di menti, azioni e consumi a distanza. Per finire, spesso devono rispondere di una rappresentazione (o presunta volontà di) della realtà che, pare, debba essere da loro fatta con coscienza. Disturbi alimentari e razzismo, l’immagine della donna e il concetto di famiglia, stili di vita e psiche dei bambini, sembra che ormai niente di ciò che passa in pubblicità possa essere considerato soltanto uno spot ma, anzi, siccome ogni immagine porta con sé significati e simboli, l’analisi della materia apre infiniti percorsi di riflessione sulla società odierna e i suoi abitanti, siano essi imprenditori e committenti, pubblicitari e quindi agenti, o utenti finali e perciò destinatari del messaggio pubblicitario.
Necrologhi – pamphlet sull’arte di consumare (ed. Il Saggiatore) è la ricca riflessione di un’appassionata del tema e addetta ai lavori. Giornalista, traduttrice e saggista, nonché implacabile osservatrice, Maria Nadotti ci mette davanti all’evidenza delle logiche del linguaggio pubblicitario e delle sue contraddizioni, evidenziando e giustapponendo concetti e immagini, senza colpevolizzare né assolvere nessuno. Lei suggerisce e in qualche caso mostra, al massimo chiede. Il resto, conclusioni e risposte certe, lo lascia a noi.
“…La pubblicità inventa o segue a ruota?”.
La donna “variamente intesa come vittima, valore e risorsa”.
Dalle immagini che evocano Abu Ghraib al sandalo tacco 12 in posa sulle macerie di un sisma, in Necrologhi trovano spazio tutti: Matteo Renzi e Darwin, Goya e Ratzinger, la saponificatrice di Correggio e Che Guevara, Engels e i No Tav, Wallace e Toscani, il femminismo e la mitologia.
Nadotti affronta con determinazione le responsabilità dell’utente finale, ovvero noi tutti, per niente vittima ma spesso inerte o ignavo, inteso prima di tutto come persona che guarda, e dotato quindi di tutti gli strumenti necessari alla comprensione – eventualmente critica – del messaggio proposto.
“Se in Italia non si può vendere neanche un biscotto o uno strofinaccio senza abbinarlo a un corpo femminile o femminilizzato… Qualche ragione che riguarda noi… dovrà pur esserci”
“Per vendere il valore-donna, in occidente, non si è forse dovuto premere sul pulsante ‘femminicidio’, una benevola lucina rossa che cancella l’intima complessità del reale?”
L’autrice analizza però senza sconti anche il gigantesco ingranaggio chiamato pubblicità che, lungi dall’essere un mondo di carta, è un sistema complesso che inizia in una fabbrica, atterra sul fianco di un grattacielo e termina direttamente dentro le nostre case, rimbalzando senza troppi giri nel nostro mondo interiore, a partire dai bisogni primari emotivi.
“…La storia, le guerre, la devastazione ambientale, il degrado urbano. La paura, l’ansia sociale usati come fondale. …Per ricordarci che siamo ancora vivi, ma a termine, e che la fine è vicina, e può arrivare improvvisa e violenta”.
“…il suo compito è di farci intravedere quel che potremmo diventare, …Di tenere in esercizio il nostro desiderio di volerci diversi e migliori di quel che siamo”.
Che fare quindi?
Aprire gli occhi, risponde Nadotti. E tenerli aperti, pensando a ciò che vediamo e osservando quel che notiamo.
Michela Pagarini
Martedì 19 aprile alle 18.30 alla Casa delle donne di Milano ne parleremo con l’autrice.
Condurranno l’incontro Alessandra Ghimenti, videomaker e Michela Pagarini, copresidente Casa delle Donne di Milano.