carte_interna“Nel cuore di Milano c’è una stanza tutta per me piena di donne … la sua porta è aperta alla città, alle donne della città e non solo a quelle…” 

Le parole di Antonella Ortelli girano nella mia mente mentre l’arioso Spazio da vivere viene allestito per il primo di tre incontri “Donne e percorsi di autenticità” che presenta la pratica dell’Autocoscienza. Si, perché Daniela Pellegrini che ha iniziato e voluto fortemente portare questa pratica nella Casa delle Donne ci ha interpellate: “Raccontate questa esperienza illuminante, solleciterà altre esperienze”.

Sapere di sé e riconoscersi” è il tema dell’incontro che Daniela introduce con un excursus storico della pratica dal suo inizio a Milano negli anni ’70 fino ad oggi: “l’abbandono dell’autocoscienza è stato l’errore politico madornale e essenziale che non solo ha bloccato la comunicazione tra donne in un linguaggio condiviso e trasversale tra generazioni ma ha anche significato trasporre in teoria ciò che avrebbe potuto elaborarsi in percorsi soggettivi…nelle carni e sangue e pensieri di ognuna”.

L’esito attuale? Nuove parole d’ordine tra le quali autodeterminazione come diritto ad ogni tipo di scelta, ad ogni libertà allargata furbamente a tutte/i, del tutto è lecito, un fare concesso demo–c-azzi-camente dal potere maschile e non frutto della sottrazione alla sua fascinazione e alla nostra complementarietà.

E’ solo il sapere di sé e come ci siamo arrivate che dà la possibilità di coltivare la fierezza e la ricchezza delle diversità.

Se l’autocoscienza  autorizza un conflitto tra donne che affronta resistenze e alternative di vita rendendole fluide ed esprimibili allora questo è possibile solo a partire dal tutte in ascolto.

Ripenso alle parole di Rossana Molinari: “ti metti in discussione, scopri cose di te che non ti piacciono e avresti preferito non sapere, e cambiando cambi il tuo modo di fare relazione e cambiando le relazioni fra le persone cambi lo stato delle cose esistenti, in altre parole cambi il mondo. Non è il privato che diventa pubblico, ma un personale che diventa politico perché passa dall’io al noi”.

D’altronde Elena Modiano ribadisce che “dalla pratica dell’autocoscienza è nata la rivoluzione femminista” e che è illusorio pensare “di essere esenti, anche dopo anni di lotte di liberazione, da interferenze del mondo maschile in cui siamo immerse”.

Anzi la scaltrezza del moderno patriarcato nella sua presa su di noi ha lo strumento della  tecnologia: il fiume di parole che le donne stanno riversando sul web non sembra autocoscienza ma l’apoteosi di un protagonismo senza limiti né regole … Il web esclude la relazione umana autentica che sola realizza  lo scopo di cambiare noi stesse”.

Ho bisogno dell’autocoscienza per stare presso di me con donne con le quali non sono invischiata nella quotidianità. Una nuova famigliarità nel senso di appartenenti al mio sentire su quella strada dell’autenticità di esperienze del corpo di donna che svelano le mie contraddizioni, preconcetti, paure, modelli da demolire… e modelli da reinventare.  La testimonianza di Anna Teruzzi ci incoraggia ad essere soggetti non soggette.

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Chiara Martucci racconta di una diversa pratica di autocoscienza che nomina come pratica di parola e pratica di sé cui  partecipato per 10 anni. Il problema posto sul tappeto è il conflitto. Non  avere relazioni private nel gruppo libera da aspettative reciproche ma viene messo a dura prova dopo molti anni, nascono i conflitti che portano alla disintegrazione delle relazioni. E questo è il vero problema.

Dalla sua lunga militanza nel femminismo Elena mette a nudo il nucleo del fallimento non dell’autocoscienza ma nostro: quando si lavora su un progetto, lì ci si muove con il proprio desiderio di potere e di sopraffazione senza capire che proprio insistendo sul confronto è possibile che venga fuori qualcosa di originale che ci rispecchi .

“E’ la possibilità di coscienza, l’essere senza carta di identità, estranee nel senso di una attitudine esistenziale che corrisponde ad una dimensione creativa imprevedibile che rende il conflitto una cosa preziosa”, risponde Antonella.

Questo bisogno o necessità come viene meglio chiarito, ha altri percorsi non propriamente di autocoscienza e Cecè Damiani suggerisce come il partire dal sé autentico sia un modo di porsi, “il mio modo di pormi dopo l’autocoscienza degli anni ’70″.

Nella militanza nei gruppi internazionali nel confronto con donne di altri paesi del mondo, il mettere in discussione se stesse a partire dalle nostre sofferenze e insofferenze è un buon esercizio di autocoscienza .

Marina Balestra lo riprende come donna attiva nel laboratorio intercultura della Casa: “non lavoriamo solo a progetti ma mettiamo in pratica accogliendo le differenze tra noi native e straniere, lo stare insieme con integrità”.

Luisa Vicinelli ci restituisce la sua esperienza di percorso sciamanico separatistaE’ uno spazio dove si generano campi di autenticità che svelano il nucleo illeso in ognuna di noi. Donne giovani si confrontano e il Patriarcato è il catalizzatore comune della pratica.

Alcune femministe storiche presenti intervengono per ricordare l’autocoscienza nella loro giovinezza e chiedere se non sia superata. Il discorso si fa teorico e si allontana dallo spirito del pomeriggio ma per poco.

Aleggiano le parole di Agnese Fermo: “libera sconosciuta a me stessa, ho fatto spazio a ciò che sono andata scoprendo di me e insieme di valori a me prima sconosciuti propri del movimento delle donne.”

Ilaria ha trovato nell’antiviolenza il percorso di consapevolezza. E’ rimasta colpita da una lettura fatta all’inizio del pomeriggio che dice “…essere donna senza doverlo essere … ” la  forza e la bellezza che ritrova nei discorsi delle ragazze che lei segue, del bisogno di sottrarsi agli stereotipi misogini. Ha scoperto l’autocoscienza e verrà.

Verrà Tania, giovane femminista siciliana, verrà Marcella che ha conosciuto attraverso Facebook le donne che sono di fronte lei e lancia un allarme: la scuola è fragile, è un boccone prelibato sui temi di genere, violenza, bullismo per esperti insussistenti. Il femminismo deve entrare dalla porta centrale: dall’autocoscienza.

Nuovi volti raccolgono la sfida. Ci dicono: “il pomeriggio passato insieme  è stata una scoperta e una liberazione, un nuovo approdo al difficile vivere femminile.”

Emanuela Pennasilico