Non stupisce troppo sentire donne di destra che di recente hanno rivendicato con fierezza di essere patriote, dato che questa ideologia fa appunto parte del Dna della destra, con tutti i suoi corollari patriarcali, sessisti e bellicisti. Ma è proprio paradossale sentire le stesse donne ergersi contemporaneamente a paladine del genere femminile, accusando i politici dei loro e altrui partiti di averle una volta di più lasciate indietro, presentando liste con una minima percentuale di candidate donne.
S’intuisce però che le figure politiche femminili che si vorrebbero al potere non avrebbero molto di diverso da quelle maschili, anzi, le s’immagina con accentuate doti politicamente utili per competere e vincere, virtù virili e “patriottiche”.
L’etimologia del concetto di patria è cosa nota. Deriva da pater, ossia padre, titolare di un potere reale e simbolico che riuscì in epoca molto antica a scalzare tutto un simbolico storicamente precedente legato invece a un’immaginaria figura materna, la Grande Dea mediterranea di cui ci ha tanto parlato nei suoi libri Marija Gimbutas.
Il femminile ritorna poi nominalmente con enfasi quando si parla non più di sola patria, ma di madrepatria che i giovani figli dovrebbero onorare e difendere, sacrificando in guerra anche la vita. Però le madri di solito questo sacrificio non lo chiedono affatto, sono i padri a volerlo.
Si tratta di un grande equivoco utile ai giochi di potere tra maschi. La verità è che molte persone amano e rispettano il luogo dove si ha la ventura di nascere in modo spontaneo. È un pacifico sentimento legato agli affetti, ai ricordi, alle abitudini, non un vincolo di proprietà.
Ma il prevalere del dominio maschile legato alla dicotomia amico/nemico (chi abita sull’altra riva del fiume è il mio rivale…), e agli istinti guerreschi, ha generato l’idea di patriottismo come proprietà di un territorio sacralizzato da chiudere e proteggere, inventando confini del tutto artificiali che segnano un dentro e un fuori, un interno e un esterno.
L’analogia con il destino toccato per millenni alle donne è evidente: l’uomo fuori casa, nel mondo pubblico, le donne dentro casa, nel mondo privato. Una divisione di ruoli che la rivoluzione femminista ha denunciato e sgretolato, aprendo le porte di casa e uscendo nello spazio pubblico.
Qui però si apre un discorso delicato. Anche alcune femministe pensano che un più alto numero di donne in tutti i campi e soprattutto ai vertici, nelle solite stanze, significhi di per sé una vittoria, un reale cambiamento. In parte è vero. Ma per quale progetto? Per quale tipo di mondo? Per quale rovesciamento di paradigma? Forse ero distratta, ma non ho sentito donne politiche di destra o di sinistra proporre davvero qualcosa in questo senso.
Costruire quel mondo diverso che da tanto tempo andiamo sognando, senza disuguaglianze, senza discriminazioni, senza ingiustizie, implica una diversità che vada molto oltre il solo riequilibrio fra i generi. Se la parzialità del pensiero maschile ha prodotto il rovinoso tipo di mondo in cui ci troviamo, è chiaro che nulla cambierà se non attraverso un’autentica palingenesi delle basi su cui si è finora fondata la società.
Per far questo occorre sentirci libere di pensare, di volere e di agire diversamente rispetto ai modelli che ci hanno inculcato dal giorno della nascita, persino rispetto a quei modelli antagonisti che abbiamo consapevolmente scelto ma che non bastano più a disegnare un nuovo inizio.
Ora però si fa tutto drammaticamente urgente. Le destre avanzano ovunque e soprattutto in Europa. Si torna quasi a ere preindustriali in cui la miseria si riteneva normale, se non addirittura una colpa genetica di chi non ha le doti giuste per arricchirsi.
S’illudono le persone facendo credere che sarà il nazional patriottismo a sanare le ingiustizie, mentre i veri poteri multinazionali agiscono indisturbati contro i diritti elementari di ogni individuo e di ogni comunità, in un’area ormai sottratta a qualsiasi confronto democratico, e infischiandosene tranquillamente di confini e frontiere inutilmente, o ipocritamente, invocate dai nuovi “patrioti”.
Abbiamo le chiavi per opporci a questa deriva metà regressiva, metà fantascientifica? Il patriarcato neoliberista è ancora il nemico che conosciamo e che abbiamo analizzato, oppure si è trasformato in un mostro proteiforme, più invincibile di prima perché non ne abbiamo ancora compreso a fondo gli imprevedibili sviluppi?
Ci occorre uscire un po’ dalla nicchia in cui viviamo noi donne occidentali, pur se ormai parecchio impoverite e costrette ancora a lottare per le conquiste che credevamo assicurate. Proviamo a decifrare quel che si muove nel profondo dei luoghi più difficili della terra, dove impazzano guerre neoliberiste e neocolonialiste, lì in basso dove movimenti di donne si confrontano con l’assenza di diritti fondamentali che le toccano nel vivo.
Il cibo, l’acqua, le foreste, le dighe, i semi, le materie prime… Donne indie, donne palestinesi, donne kurde, donne in cerca d’asilo che affrontano perigliosi viaggi in mare su scalcinati gommoni che non tengono l’acqua, risolute a cercare un futuro ad ogni costo, e molte altre che di fronte a un incrudelirsi mai visto prima dello spietato potere finanziario stanno elaborando pensieri inediti e pratiche nuovissime.
Insomma la vita o la morte. Pare strano ma si direbbe che occorra ricominciare dall’alba dell’umanità per costruire un futuro impensabile e impensato. Qui nel paese in cui viviamo anche la semplice umanità è oggi a rischio, visto l’enorme aumento di consensi per forze politiche cresciute sulla paura, sugli egoismi, sull’odio per il diverso. Forze che adesso stanno al governo e quindi influiranno pesantemente sulle vite di tutte e di tutti.
Se c’è un momento in cui le donne devono riprendere parola come forza alternativa, con proposte divergenti e “scandalose” rispetto al prevalere delle logiche neoliberiste e finanziarie, è proprio questo. Sarebbe bello sentire cosa ne pensano le amiche di movimento e delle reti che già altre volte hanno risposto.
Nostra patria è il mondo intero, si diceva un tempo. Oggi forse è il caso di precisare: il mondo che scegliamo è quello delle persone senza voce e senza potere, senza confini e senza bandiere, in cammino verso un nuovo orizzonte. Altro che patriote.
Floriana Lipparini