Sakine Cansiz, nasce nel 1958 nella provincia di Dersim, da famiglia alevita. Si dice che per capire le persone sia anche necessario capire la loro origine, da dove vengono. Dersim è la città delle rivolta e del massacro ad essa conseguente (1937-1938) che vide l’uccisione di circa un terzo della popolazione e la deportazione di un altro terzo. L’alevitismo è una corrente dell’islam che conserva ancora traccia dell’antica cultura Zoroastriana, tipica delle montagne Zagros Toros: si pensa che chi segue l’alevismo abbia subito in antichità una conversione forzata.
È da qui che viene Sakine: dal massacro di Dersim e dall’antica cultura dello Zoroastrismo.
Sakine, fin da molto giovane, decide di dare la sua vita per la rivoluzione. È una scelta per cui deve continuamente lottare, sia nella famiglia che nella società: se già essere rivoluzionari è difficile, essere una donna rivoluzionaria richiede una tenacia e una propensione alla lotta gigantesca. Sakine partecipa al movimento dei rivoluzionari del Kurdistan, organizza le donne nelle fabbriche, gruppi di studio e di discussione, fino a che non partecipa alla fondazione del PKK nel 1978, con il nome in codice di Sara, compagna Sara.
Viene incarcerata, e in carcere è simbolo di resistenza. Costantemente riflette su come fare in modo che le sue compagne non cedano al potere del nemico. La sua lotta, all’interno del sistema carcerario, nel ventre della bestia, insieme alle altre compagne e compagni riesce a dare forza e fiducia anche alla lotta fuori dal carcere. La compagna Sara era quella che, quando dai suoi aguzzini le vengono tagliati i seni, non versa una lacrima pensando alla sofferenza del suo popolo.
L’uscita dal carcere di nuovo l’ha vista protagonista di una lotta. Questa volta di una lotta all’interno del partito e per la trasformazione di se stessa. La differenza è che nelle carceri bisognava resistere al nemico, perché quello era lo spazio della prigionia; mentre sulle montagne e nell’accademia del partito c’è da lasciarsi trasformare dall’obiettivo comune con i compagni e le compagne, perché quello è lo spazio della libertà.
Dicono che la compagna Sara fosse facilmente riconoscibile per via del suo sguardo da rivoluzionaria. Uno sguardo di resistenza, d’amore, di lotta.
La compagna Sara ha scritto tre libri che descrivono la sua vita. Li ha intitolati “tutta la mia vita è stata una lotta”. Questi libri, come la figura stessa di questa donna, rappresentano un punto fermo, una fonte di ispirazione, un’energia viva all’interno del movimento delle donne curde. La lotta della compagna Sara è la lotta di tutte le donne curde: conoscendo la lotta della compagna Sara conosci la lotta delle donne curde. Ma anche ora che il corpo materiale della compagna Sara non esiste più, attraverso lo spirito e la forza delle donne curde è possibile conoscere lo spirito e la forza della compagna Sara stessa.