di Grazia Longoni.
Giubbotto di pelle, jeans, fisico slanciato e sportivo, un sorriso pieno di passione e di energia. Così ricordiamo Giovanna Pezzuoli l’ultima volta che è stata nostra ospite alla Casa delle Donne, il 29 ottobre del 2019, vigilia di un lockdown che nessuna poteva immaginare. Quel giorno parlavamo di “noi e il nostro doppio”, della complessa ricerca dell’identità femminile, di ambivalenze dei sentimenti e delle relazioni. Ci accompagnava un ricchissimo numero di Leggendaria, la rivista di cui Giovanna era una delle menti più brillanti. La conoscevamo tutte. Alla Casa avevamo parlato con lei di stereotipi, dell’immagine delle donne nei media, del database sulle “100esperte”, delle buone pratiche in rete e nei social, di Jane Austen e dei tanti “Mr Darcy” che si presentano nelle nostre vite.
Perché Giovanna era un vulcano di impegni e di progetti. Dopo una lunga esperienza al Giorno e poi al desk del Corriere della Sera, collaborava al blog La 27a Ora, impegnava il suo sguardo femminista nella rete Giulia (Giornaliste unite libere autonome), aveva scritto libri e centinaia di articoli.
Era curiosa, ironica e, competente di letteratura e appassionata di cinema qual era, portava una nota di creatività nei nostri dibattiti. In quel 29 ottobre, per esempio, aveva proiettato un bellissimo filmato sui rapporti madre-figlia, montando spezzoni di pellicole, note e meno note. L’aveva aiutata sua figlia Giulia, documentarista.
Ci portava, anche, un po’ di leggerezza. Ma non era leggerezza la sua, piuttosto una serissima dedizione a guardare la condizione delle donne attraverso le immagini della cultura, alta e pop. Come nell’ultimo numero di Leggendaria il suo ritratto di Vivienne Westwood, stilista trasgressiva e rivoluzionaria. Chi la conosceva bene dice che dietro quell’attitudine ironica e quei modi gentili c’era un carattere molto determinato, quasi inflessibile.
Se n’è andata dopo una lunga e coraggiosa battaglia contro un tumore che l’ha colpita diverse volte fino a non lasciarle scampo. Della sua salute tendeva a non parlare. “Basta tamalù, scherzosa contrazione dal francese T’as mal ou?, un invito a smetterla di parlare dei propri acciacchi” era l’attacco della sua recensione del libro di Marina Piazza La lunga vita delle donne sulla 27a Ora.
La sua vita avrebbe dovuto essere più lunga, aveva ancora tanto da dirci e da darci.
Grazie Giovanna, fai buon viaggio.