di Alba De Céspedes
(Mondadori 2021)

Sorprendente questo ‘romanzo’, ancora 72 anni dopo la sua prima apparizione (1949).
Alba De Céspedes, Roma 1911, di madre romana, il padre ambasciatore di Cuba, fu scrittrice, poetessa, partigiana, ed anche giornalista e sceneggiatrice dagli anni della liberazione, visse nel fermento intellettuale fra Roma, New York, Parigi dove morì nel 1997. Importante la ristampa del suo libro, Dalla parte di lei, per Mondadori Edizioni 2021, per rinnovare una vicinanza e una conoscenza della sua figura di autrice e della sua opera, divenuta ‘una classica’: gravido il testo in modo inquieto, allarmante in certi punti, dei temi che avrebbero aperto in Italia la contemporaneità.
Ebbe grande risonanza alla prima uscita, in quel tempo postbellico in cui veniva spento gran parte del fuoco desiderante delle donne, aperto nell’afflato doloroso della guerra verso un più vasto campo sociale politico, per affondare nel quotidiano del nascente consumismo, rimaneva l’anelito e necessitava costruire coscienza.
Dalla parte di Lei fece scalpore per la lucidità e la finezza d’analisi sul divenire donna, e in quel particolare tempo, di regime e poi di guerra e resistenza, che una donna portava alla luce dal suo punto di vista, e per quel finale che scompigliava ogni schema. Non lo svelo per intero per lasciare la scoperta a chi ancora non ha letto il testo, concluso da un delitto da parte della protagonista.
Tragedia e nello stesso tempo coscienza, che ci pone “…di fronte a un rovesciamento totale del Bildungsroman (romanzo di formazione) della tradizione occidentale” scrive Laura Fortini su Leggendaria ottobre novembre ’21, che in occasione della ristampa dedica a Cespedes un focus di articoli.
E ancora “Romanzo infine letto in questo decennio come antesignano della morte simbolica del patriarcato e del ‘romanzo che deve ancora essere scritto’ come da definizione di Carla Lonzi nel dialogo con Pietro Consagra in Vai pure…” (Laura Fortini, ibidem).
Nel libro, Alessandra, che narra la storia, è di proustiana meticolosa intensità, ma non in un ambiguo distacco, è il suo ‘pozzo’ che scava, da cui emerge parlante di sé e delle donne che ne accompagnano la vita con una verità che va oltre il neorealismo dell’epoca, in una dimensione di ferita che incide il presente e si raccoglie, seme sul futuro.
Dall’elegia struggente della figura della bellissima madre pianista, al fermento di vita, nascosta però, delle donne e amiche del grigio condominio popolare, alla matriarca nonna d’Abruzzo… E i fantasmi maschili, primo il geniale fratellino Alessandro, morto nel Tevere di cui prende nome e aspettative, la gabbia paterna, i ragazzi del quartiere, tra cui quelli che ‘non sono contenti’, parole con cui indica ‘coloro che si oppongono’, il marito intellettuale-partigiano… Un ‘romanzo’ complesso, ampio, che eccede il genere, essendo anche diario, confessione, testimonianza, autoanalisi, e che mette a tema con forza provocatoria la verità di una differenza, nel nominare “la congenita diversità che tra gli uomini e le donne suscita quella dolorosa incomprensione che nulla riesce a colmare…”. E quanto questo possa essere ‘non riconoscimento’, che esplode nel gesto estremo finale. Fine di un’illusione. Lei affronta il processo, avvocata di sé stessa.
L’illusione anche politica, per Alba-Alessandra, che hanno vissuto attivamente la Resistenza: famosa la pagina del libro in cui lei consegna le bombe in bicicletta attraverso i posti di blocco tedeschi, ciò che “richiede meno coraggio, meno forza, del lavoro di cura della vita quotidiana: le donne facevano la fila pr il pane e tutto si poteva chiedere loro, non c’era limite”.
Subentrava la delusione… “Mi esasperava con il ritorno alla normalità ritrovarmi nella condizione di subalterna che la società mi attribuiva in quanto donna”, mentre un nuovo grigiore calava, nell’oblìo di una vera libertà, “Avvedersi che la lotta, la prigionia, la morte non erano servite che a fare dell’Italia un protettorato nordamericano… Il fascismo con la sua teatralità e presunzione aveva ceduto il passo a una classe dirigente infida e cupida di servilismo ”, scrive nella prefazione non pubblicata dell’edizione del ’94, divenuta postfazione al libro di oggi. Lezione lucida che ancora ci aspetta affrontare, insieme al nostro stesso protagonismo di donne, da un punto di sempre maggiore coscienza.

14 giugno 2022

Rita Bonfiglio