di Margherita Salvadori
Le donne nello sport si vedono ogni quattro anni. Alle Olimpiadi
Gli altri anni in tv sono dominati dal calcio maschile. Infinite cronache non solo ci ragguagliano sui particolari delle partite, ma sullo stato dei malleoli, sul clima degli spogliatoi, dove ormai si infilano le telecamere a solleticare il voyeurismo sui corpi degli atleti e sulle dinamiche del gruppo. Sullo sfondo lo scroscio degli sciacquoni.
I cronisti vanno a caccia ai limiti del campo per strappare qualche parola prima ancora che i calciatori sfiancati riescano a tirare il fiato; domande lunghe per mostrare la preparazione del cronista, risposte sempre uguali in una graduatoria di banalità. Allenatori e calciatori non possono dirsi nulla senza coprirsi la bocca, altrimenti c’è la caccia al labiale che fornirà valanghe di pettegolezzi e i relativi ulteriori commenti.
Ma non basta vedere le partite: tra un calcio e l’altro compaiono omini computerizzati, traiettorie e vettori di calcolo della velocità del pallone, dell’inclinazione dei piedi, delle spalle, delle distanze reciproche. Un popolo di esperti all’altro capo del mezzo televisivo si diffonde in infinite valutazioni. Come si sa, tutti siamo esperti di calcio.
La girandola di miliardi, cifre lontane da ogni verosimiglianza, si considera normale. Le grandi società internazionali (loro sì senza confini) si contendono squadre e campioni. Studiano come modificare le città per impiantare stadi sempre più grandi in funzione dei loro mercati. Ma i colori delle maglie hanno abbandonato l’immagine dell’identità storica delle squadre per alimentare la vendita dei gadget e della pubblicità. Tutto diventa uguale a tutto. Perfino gli arbitri hanno dovuto rinunciare al nero dell’autorità neutrale in favore delle tinte arlecchino, ma forse scompariranno del tutto perché basterà la tecnologia a valutare i falli.
Calcio, calcio. Tutti gli altri sport, tutto l’anno, quasi niente. Un po’ di pallavolo e basket di notte, i grandi appuntamenti di atletica e di ciclismo, per fortuna.
Ma è solo alle olimpiadi che vediamo tutto il resto: i giovani del pianeta confrontarsi in tutti gli sport, anche i meno noti, E finalmente vediamo le donne. Godiamocele dunque queste ragazze, queste donne, anche mamme. Dopo anni e anni di preparazione dietro le quinte, vediamo la loro fatica, i loro sconforti, la loro gioia, i loro successi, i loro abbracci. Godiamocele concentrarsi, volare nelle acrobazie, correre, saltare. Brave! Brave! Brave! Volate anche per noi! Facciamo il pieno, perché poi, per altri 4 anni, più niente.
Quasi tutti gli sport giocano a livello simbolico alcune lotte base della nostra specie, comuni agli altri animali: chi è più forte nella lotta, chi è più veloce, chi lancia più lontano un peso o una lancia (per la caccia e la battaglia), chi conquista o difende un territorio dall’intrusione dell’altro.
Fuori dal gioco dei simboli invece, le guerre vanno avanti. Sparano davvero. Scavano le trincee, producono armi, lanciano bombe, feriscono e distruggono vite e speranze. Niente di nuovo sotto il sole. La guerra dei territori non è ancora passata ai simboli, si fa per davvero; passa in tv tra le altre notizie. Ci siamo abituati. Lo stadio primordiale trionfa.
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