Eccoci nel cuore dell’estate con due libri che ripercorrono in tema della guerra, partendo dal terribile conflitto nella ex Jugoslavia. “La figlia” di Clara Usòn ripropone la vicenda della figlia di Ratzko Mladic, responsabile del massacro di Srebrenica, che si è suicidata dopo aver capito chi era veramente suo padre. “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino ha come protagonisti un gruppo di ragazze/i di Srebrenica, portati in Italia nel tentativo di sottrarli alla guerra. Sperimentazione narrativa e indagine storica generano due libri di grande interesse. Continuate a seguirci e comunicate con noi all’indirizzo librarsi@casadonnemilano.it
Clara Uson
La figlia
Sellerio, Palermo 2013
Un intenso e drammatico libro, che a partire da una storia vera, racconta una vicenda vicina nel tempo e nello spazio eppure rimossa: la guerra nella ex Jugoslavia degli anni ’90 e i suoi orrori.
Chi è mio padre?
La storia inizia quando la figlia del generale Mlavic, brillante studentessa di medicina, legata al padre da una relazione profondissima e di cui condivide la visione nazionalista serba, fa un viaggio a Mosca con compagne e compagni di corso. In questo viaggio le allusioni degli amici e un incontro casuale con una giornalista esule della Bosnia Erzegovina, mettono in discussione la sua indefettibile fiducia nei confronti del padre, creando un’incrinatura che si allargherà fino al tragico epilogo.
Da fronti opposti
Nel libro il punto di vista di Ana si alterna a quello di Danilo Papo, nella finzione suo compagno d’università, ebreo, che non si sente di parteggiare per nessuna delle fazioni in campo, disincantato e talvolta cinico che sceglie di andarsene per sempre. La voce di Danilo Papo racconta, sotto il titolo ironico di “Eroi”, con straordinaria caratterizzazione, il profilo psico-fisico e i misfatti perpetrati dai costruttori e protagonisti di una delle più grandi tragedie della storia recente.
Sventurato il popolo che ha bisogno di eroi
Alla loro pochezza umana corrisponde una feroce volontà di sterminio e distruzione. Milosevic si trasforma da difensore della Jugoslavia unita, a cultore della grande Serbia, Karadzic che crea la repubblica Srpska della Bosnia Erzegovina, è un millantatore e truffatore e usa la sua laurea in medicina per manipolare la popolazione, lo schizofrenico Mladic è buon padre e marito e insieme organizza il genocidio di Srebrenica, il croato Tudman non è da meno, prima sta dalla parte dei musulmani poi si allea con il “nemico” serbo.
Con rara bravura l’autrice rappresenta la sete di potere e controllo di questi figuri che trova la sua ideologia nel “nazionalismo etnico”. L’esempio serbo è illuminante; si “inventano” le tradizioni, in questo caso l’eroismo del principe serbo Lazar morto nella battaglia del campo dei merli contro i turchi. Con un crescendo inesorabile, appaiono gadget, magliette, folklore ad hoc (danze come la slava.) si evidenziano le caratteristiche disumane di quelli che fino a ieri erano vicini, amici e talvolta parenti.
Come si crea il nemico
Si crea una propaganda martellante in cui tutte le efferatezze sono attribuite all’altro e si convince la popolazione che l’unica soluzione è far coincidere un gruppo “etnico” con uno stato, mentre lo stato unitario si dissolve nel sangue in staterelli. Si stacca per prima la Slovenia, segue la guerra tra Serbia e Croazia, poi la più efferata contro la Bosnia Erzegovina, zona multietnica e accogliente, in prevalenza musulmana, che si proclama indipendente.
Nella zona Karadzic crea una enclave chiamata repubblica srpska avamposto per attaccare. Mlavic, con una morsa a tenaglia è l’artefice dell’assedio mortale a Srebrenica che nelle intenzioni è una “soluzione finale” per i musulmani rei nella vulgata di aver rinnegato la religione cristiana e essersi asserviti ai turchi.
Le potenze europee stanno dietro le quinte, sostenendo l’uno o l’altro contendente e le forze d’interposizioni non impediscono i massacri. La guerra finirà nel 1995 quando gli Stati Uniti bombarderanno per 78 giorni Belgrado: finire la guerra con un bombardamento distruttivo non è la migliore delle soluzioni. Ma riprenderà poco dopo, dal 1996 al 1999, nel Kosovo dove i serbi sono l’etnia dominante rispetto agli albanesi . Guerre, micidiali, assurde che hanno lasciato radici avvelenate e non strappate del tutto.
Tra affetti e disperazione
Ana tornata da Mosca sente le sue difese identitarie sgretolarsi, ma non ha la forza di tener testa al padre che la chiama “figliolo” per sottolineare la sua predilezione e la considera sua erede designata, rispetto al figlio maschio. Il peso di un affetto tanto grande quanto prevaricante è più forte rispetto al suo bisogno di verità e Ana che non vede più futuro si uccide con una vecchia pistola del padre fortemente simbolica per entrambi. Dopo la sua morte il padre ordinerà l’operazione “Stella” che ha come scopo l’annientamento di Srebrenica.
Una epopea senza riscatto
Di questo libro stupisce il rigore e la profondità della documentazione, insieme alla capacità di saldare dimensione storica e dimensione romanzesca, fedele sempre alla prima ma capace di renderla straordinariamente viva e comprensibile. Altrettanto unica è la chiarezza con cui rappresenta il modello, ahimè più volte messo in pratica, della costruzione del pregiudizio etnico e la sua facile diffusione nella popolazione. La lingua è incisiva ed efficace, capace di rendere anche nel ritmo incalzante il crescere della tragedia. Un libro duro, ma duro quanto è stata insopportabile una storia che molti hanno preferito non vedere e non ricordare.
Marilena Salvarezza
Rosella Postorino
Mi limitavo ad amare te
Feltrinelli 2023
Ecco un’altra autrice che si è interessata con un importante lavoro storico e narrativo al tremendo conflitto nella ex Jugoslavia, il primo scoppiato nel cuore dell’Europa. Il romanzo segue nell’arco di vent’anni (dal 1992 al 2011) le vicende di alcuni ragazzi e ragazze che dopo il bombardamento dell’orfanotrofio di Sarajaevo nel 1992 sono stati portati in Italia, spesso contro la loro volontà, per intervento di organizzazioni internazionali, nel tentativo di tenerli al riparo dalla guerra.
Partendo da questo episodio storico, documentato con rigore, l’autrice ha costruito narrativamente le figure e le vite dei ragazzi, i loro traumi, le amicizie e gli amori, le difficoltà, le separazioni e le differenze, i loro incroci.
La scrittura di Postorino tesse agilmente le vicende di questo gruppo di minori tramite dialoghi essenziali e serrati. Alcune pagine, intercalate in corsivo, aprono squarci più ampi sull’andamento del conflitto nella ex Jugoslavia e sulle tante atrocità compiute.
Questo romanzo di Postorino ha avuto il secondo posto nella cinquina del premio Strega del 2023, dopo “Come D’aria” di Ada D’Adamo.
E’ un libro molto intenso, da leggere e da rileggere più volte per la sua qualità narrativa e stilistica, per la ricchezza dei temi proposti, per la straordinaria capacità di dare voce e di assumere il punto di vista dei bambini, poi adolescenti e giovani persone, alle prese con una serie di traumi e di separazioni.
Molti di loro vivono situazioni familiari difficili già prima della guerra, a cui si sommano poi le tragedie del conflitto. Omar, bambino di dieci anni molto legato alla madre che perde di colpo durante un
bombardamento; suo fratello Sen, che ha due anni più di lui, entrambi già da tempo affidati all’orfanotrofio; la bambina undicenne Nada, mutilata dell’anulare ( il nome significa “Speranza” nella sua lingua bosniaca, ma acquista il significato di “Nulla” in spagnolo); suo fratello Ivo, più grande, affidato anche lui all’orfanotrofio dalla madre prostituta ma separato dalla sorella e costretto a restare a Sarajevo per combattere; Vera, rivale e nemica di Nada; Danilo, che ha una famiglia regolare ma viene messo sul pullman in partenza per l’Italia dai genitori che cercano di tenerlo fuori dalla guerra; e con loro molti altri ragazzi, bosniaci e italiani, che si incontrano sulla spiaggia di Igea Marina, nei collegi di suore a cui i piccoli profughi sono affidati, nelle scuole e per le strade della cittadina.
Profughi: una condizione che sta ai margini, implica stereotipi negativi, lascia traumi che si possono riattivare. Alcuni di questi ragazzi vengono poi dati in affido a famiglie italiane con cui restano per anni, per il protrarsi della guerra e per difficoltà burocratiche. C’è che si inserisce bene nel nuovo contesto familiare, chi invece resta legato alla madre e vive solo nella speranza di rivederla, rifiuta la nuova realtà e sceglie l’esclusione sociale.
Il tema della guerra resta centrale, tanto più che il punto di vista sul conflitto è quello dei bambini, le vittime più piccole e inconsapevoli. Nel suo ampio arco narrativo il romanzo si apre a una riflessione allargata su cosa significa essere figlie e figli, genitori naturali e adottivi, adulti più o meno comprensivi.
Sullo sfondo delle traumatiche separazioni che tutti i protagonisti sperimentano nelle loro vite difficili si pone il tema universale della nascita, primo e fondamentale strappo rispetto all’origine materna: momento vitale e doloroso, essenziale alla crescita.
Questi ragazzi segnati dagli abbandoni imparano a contare su sé stessi e sulle loro relazioni.
Le amicizie, attraversate da rivalità e delusioni, li aiutano a restare vivi e a coltivare qualche speranza anche nei momenti più bui. A volte basta una stretta di mano per costruire un rapporto che resiste nei decenni.
E’ difficile però per loro ritrovare il senso dell’amore, delle sue parole e gesti: in questo campo vanno a tentoni.
Spesso alcuni fili delle relazioni familiari si riannodano nel corso del tempo.
Tutti fanno i conti col problema, a volte con l’enigma o con la difficoltà insolubile, delle proprie origini. Le loro vite si dipanano in parallelo, mosse da una ricerca continua, da tentativi di comunicazione e da promesse reciproche. A volte incontrano persone adulte che li sanno capire o che trovano il modo giusto per aiutarli, pur nelle molte difficoltà di relazione.
Il romanzo a volte è duro, in quanto rispecchia la durezza della guerra e della vita, ma ricco di sensibilità e di sorprese. Lo si legge con passione, sorretti da uno stile che resta molto incisivo e poetico anche nei momenti più aspri. Una trama di echi poetici e letterari costella il testo. Il titolo viene dal verso di una poesia di Izet Sarajlic.
Vittoria Longoni