di Zainab Al Ghunaimy*, da Gaza.
Un’altra notte d’inferno e un’altra alba in cui gli abitanti di Gaza rimasti non credevano di essere ancora vivi.
Uno dei leader della guerra ha detto: Questi sono “animali sotto forma di esseri umani” che devono essere sterminati, e questo è ciò che fanno senza pietà giorno e notte. Migliaia di martiri, migliaia di feriti e quasi duecentomila edifici, case, moschee , chiese, scuole, ospedali, strutture pubbliche e private distrutte. Il vero mostro continua a bombardare con proiettili e missili di morte, distruzione via terra, mare e aria. Ho la sensazione che gli edifici rimasti potrebbero prima o poi cadere sulla testa di chi è al loro interno senza essere bombardati, vista la forza delle vibrazioni a cui sono sottoposte le loro fondamenta.
La triste sensazione è che siamo impotenti e non abbiamo la libertà di muoverci per protestare, poiché noi, le persone pazienti che rimangono nelle proprie case, non abbiamo altra scelta se non quella di accettare lo status quo, nell’ attesa della morte o nell’ingoiare l’amarezza quando si perdono i propri cari. Il dolore e il rimpianto per ciò che l’esercito di occupazione ha distrutto, i ricordi delle nostre vite, le persone che vivevano tra le mura delle loro case, con le loro cose sugli scaffali degli armadi, le biblioteche, sedie, quadri e oggetti personali.
Tutto ciò si aggiunge a ciò che soffriamo dall’inizio della brutale aggressione – noi che siamo ancora vivi fino a questo momento – per la mancanza delle componenti fondamentali della vita, sia a livello di cibo, medicine, elettricità o l’acqua, e anche la debolezza delle reti di comunicazione. Non ci resta che restare ai nostri posti e ricevere colpi, la lava che scende su di noi senza pietà.
Nonostante si parli di negoziati e della possibilità di rendere operativo il valico di Rafah, chiuso dall’inizio dell’aggressione, nessuno osa accedervi per nessun motivo, sapendo che aprirlo è una necessità urgente, almeno per far uscire i feriti per poter essere curati, poiché chi comanda tutto ciò che sta accadendo è l’esercito di occupazione israeliano.
Anche l’affermazione che esiste un accordo e una pressione per l’ingresso di aiuti, ciò che ne è derivato non è sufficiente a soddisfare nemmeno alcuni dei bisogni degli sfollati nei centri di accoglienza, ed è noto che nessun camion di aiuti entra a meno che non venga trasferito dal lato egiziano al valico di Auja, coprendo una distanza di circa 200 km, l’esercito di occupazione lo perquisice e si accerta del suo contenuto, come i sudari per i martiri, cibo in scatola e altri rifornimenti di beni di prima necessità, e poi quei camion tornano dopo essere stati chiusi ermeticamente e percorrono la stessa distanza di 200 km per entrare nella parte palestinese. Si scopre che un certo numero di camion entrano vuoti, perché l’esercito di occupazione ne ha svuotato il contenuto.
Questo dolore non ci basta, anzi, il nostro dolore è raddoppiato da ciò che sta accadendo in Cisgiordania, in particolare da quanto accaduto nei campi profughi di Jenin, di Nour Shams, nelle città di Huwwara, Hebron e dintorni di Qalqilya e il resto delle regioni, dove l’esercito di occupazione si scatena a suo piacimento e pratica le forme di aggressione più atroci, compreso il continuo smembramento di città e villaggi dove negli ultimi giorni sono stati martirizzati più di un centinaio di martiri, oltre ai continui arresti di cittadini. Nonostante ciò, la popolazione si solleva ogni giorno per chiedere la fine di questa aggressione.
Ancora una volta, mentre scrivo sotto i bombardamenti, spero che questo messaggio vi raggiunga, nella speranza che rimarremo al sicuro e che questo massacro finirà il prima possibile.
*Zainab Al Ghunaimy è direttrice del Center for Women’s Legal Researches and Consulting (CWLRC) di Gaza e membro dell’Unione Donne Palestinesi.
Traduzione di Ruba Saleh, Bruxelles.