di Lorena Bruno.
È passato già qualche giorno dal femminicidio di Giulia Cecchettin, uccisa molto probabilmente per la smania di possesso di un uomo, uno che le aveva chiesto di non laurearsi prima di lui, di aspettarlo. La sorella Elena Cecchettin ha raccontato di segnali eloquenti che negli ultimi mesi l’avevano preoccupata: il femminicidio non è stato un evento improvviso, le avvisaglie c’erano state.
Un femminicidio che ha sconvolto il Paese
Dalla sparizione di Cecchettin si è innescata l’attesa speranzosa di chi confidasse di avere buone notizie e quella pessimista di chi sapeva già quale sarebbe stato l’epilogo.
Il video con l’aggressione di Turetta alla giovane e i primi particolari affiorati sulla fuga hanno avvalorato le ipotesi peggiori, mentre certa stampa italiana ricorreva al solito modo di raccontare la violenza sulle donne: la retorica del bravo ragazzo che non ha mai avuto comportamenti tali da far sospettare chi gli stesse vicino, le foto della vittima con il suo ex, la ricostruzione nauseante della loro storia, la scelta di troncare da parte di Giulia, quasi a giustificare una reazione esasperata.
L’apice dell’ignoranza sulla violenza di genere è stata toccata dall’avvocato Emanuele Compagno, che ha raccontato di come Turetta facesse i biscotti a Giulia, dunque tutto era così inaspettato, dato che l’aveva sempre voluta bene come avrebbe potuto farle del male?
La narrazione secondo cui un uomo che usa violenza sia un mostro pervade da anni le analisi sui femminicidi su tutti i canali, le parole raptus, gesto folle, gelosia, troppo amore, gigante buono sono state usate centinaia di volte, facendo quindi sottintendere che si trattasse di casi isolati, di mele marce dagli impulsi imprevedibili e che dunque non restava altro da fare che arrendersi a un destino crudele – altra parola usata sempre a sproposito.
Pur di non mettere in discussione il proprio ego e lo status quo, si sono sacrificate centinaia di vittime sull’altare della tragica fatalità.
Stavolta però l’epilogo efferato di questo femminicidio ha attirato tutte le attenzioni del Paese e il solito schema è stato osservato attentamente da molte più persone rispetto ad altri casi di cronaca: l’indignazione ha sollevato un’onda di reazioni che potrebbero portare, se non a provvedimenti efficaci, a una riflessione ancora più profonda sulla natura culturale del fenomeno del femminicidio.
Il femminismo di Elena Cecchettin
Diceva Carla Lonzi “La donna è l’imprevisto del mondo”: Elena Cecchettin si è rivelata l’imprevisto di questo terribile episodio.
Come in poche altre occasioni, stavolta una delle persone più vicine alla vittima è una femminista che ha scelto di non tacere, ma di urlare a gran voce che non esistono mostri quando si uccide una donna perché si ha il potere di farlo: sono secoli di soggezione della donna ad aver creato le premesse per la cultura dello stupro.
L’oggettificazione della donna continua a fare capolino nella nostra quotidianità: le donne stese su tavole imbandite in eventi aziendali e quelle che fanno da ancelle a presentatori maschi in prima serata ci ricordano che la donna che sappia stare un passo indietro rispetto all’uomo, come disse Amadeus, è da lodare; quella che sta zitta, poi, è quella migliore, perché come diceva Michela Murgia, parlare è ancora l’atto più eversivo che una donna possa fare.
Ecco perché Elena Cecchettin ha ribadito che non vorrà mai tacere e che ha approfittato del megafono che l’atrocità che è capitata alla sorella le ha messo in mano per parlare di cultura dello stupro in diretta tv, su un programma tutt’altro che progressista, invitando a bruciare tutto, non a osservare il silenzio.
Perché tutto quello che porta una donna a stare al suo posto, a non occupare lo spazio contribuisce alla sua soggezione e a lasciarla alla mercé di chiunque.
Le colpe dei maschi e l’educazione sessuale nelle scuole
Chi ci insegnerà a riconoscere i segnali?
Chi ci insegnerà ad allarmarci se una persona controllerà il nostro telefono, il modo in cui vestiamo o i nostri spostamenti?
Chi ci insegnerà a riconoscere un potenziale violento nella persona che ci allontanerà dalle amicizie e ci considererà roba sua?
Chi ci farà riflettere sul fatto che un lucchetto sia il simbolo peggiore per un legame amoroso, chi ci farà realizzare che il nostro corpo ci appartiene e che NO è una frase completa?
Chi ci dirà “tu sei tua”?
Chi ci insegnerà a non inquadrare il problema basandoci sull’identità di genere?
Sul sessismo serve consapevolezza sia agli uomini che alle donne. Dice bell hooks ne “Il femminismo è per tutti”: “Perfino nelle famiglie in cui non era presente nessuna figura genitoriale adulta di sesso maschile, le donne inculcavano e inculcano nei figli il pensiero sessista”.
Che le donne non siano immuni dal pensiero sessista lo ha dimostrato la deputata della Lega Simonetta Matone, che ha dichiarato: “Io non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattanti o gravemente disturbati che avessero però mamme normali: non le avevano. Prendere le botte dal padre e non reagire, far vivere il figlio in un clima di terrore e violenza e fargli credere che tutto questo è normale, non ribellarsi mai, subire ricatti di tutti i generi e imporre questo modello familiare al proprio figlio che lo perpetrerà”.
Con queste parole in diretta tv a Domenica In, Matone ha addossato la colpa alle madri se i figli sono “disturbati”, come se l’educazione dei figli non spettasse per nulla ai padri; come non bastasse, ha addossato alle madri che subiscono violenza dai mariti la colpa di non riuscire a reagire e di dare un cattivo esempio ai figli. Perché il brutto esempio non è mica quello del padre che picchia, no?
Chi ci insegnerà che questa è vittimizzazione secondaria e che chi denuncia una violenza la affronta in primis in tribunale, quando denuncia un abuso? Chi ci insegnerà a non dare sempre per scontato che la violenza sia naturale in un uomo, che sia normale se ci tocca senza il nostro consenso?
Allo stesso tempo, è necessario che quegli uomini che non sappiano riconoscere comportamenti sessisti in gesti definiti goliardate o roba simile smettano di sentirsi vittime di una pericolosa generalizzazione e comincino a prendere coscienza di quanto ogni abuso, per quanto percepito come innocuo, possa contribuire a diffondere l’idea che tutto sommato si possa trattare le donne come oggetti, pezzi carne da commentare, palpare, controllare, picchiare, violentare, uccidere. È necessaria una presa di coscienza, un’osservazione lucida dei propri comportamenti.
Quello della consapevolezza sulla violenza di genere non può essere un percorso lasciato all’iniziativa individuale: è assolutamente urgente che il rispetto per le altre persone venga insegnato nelle scuole, senza che venga scambiato per la diffusione di oscenità, come il deputato Rossano Sasso ha sostenuto che sia.