di Grazia Longoni
Un gigantesco lavoro di raccolta dati sulla vita delle donne in tutto il mondo. E un altrettanto gigantesco lavoro di sintesi per rendere quei dati leggibili in modo immediato: 200 tavole, una grafica coloratissima, accattivante e soprattutto chiara.
È “L’Atlante delle donne” (Add Editore) di Joni Seager, geografa femminista, collegata venerdì 13 novembre con la Casa delle Donne di Milano dal Massachusetts, dove insegna Global Studies alla Bentley University.Joni parla in modo semplice e diretto come il suo libro, di cui ci mostra subito alcune pagine. In un colpo d’occhio vediamo il confronto tra i Paesi di tutto il mondo su violenza contro le donne, differenze salariali rispetto agli uomini, matrimoni precoci, presenza femminile nei governi, accesso delle donne all’educazione, ai diritti, all’aborto, ma anche all’acqua, alla sanità, alle tecnologie digitali, alla contraccezione. Persino alla chirurgia estetica.
“Il libro, attraverso la vita delle donne, parla in realtà di tutto il mondo, dall’ambiente alle istituzioni, partendo da numeri che riflettono la realtà in modo limpido ma non neutrale, perché il vero tema è il potere” interviene Maria Nadotti.
Uno sguardo femminista sui numeri
Che cosa succede infatti quando una femminista prende in mano i dati? Per esempio che li mostri in modo da distruggere o ridicolizzare tanti stereotipi, come la divisione tra Paesi sviluppati e sottosviluppati, tra democrazie e regimi non democratici. “Noi donne del mondo ricco, bianco e occidentale abbiamo spesso dei pregiudizi verso quello che succede ‘laggiù’” continua Joni. “Ma guardiamo i numeri. La rappresentanza delle donne nei governi ha la stessa incidenza negli Stati Uniti, in Madagascar e in Kirghizistan. L’indifferenza verso l’uccisione di donne delle minoranze etniche è la stessa in Canada, in Iraq, in Messico. Tra i Paesi in cui per abortire una donna ha bisogno del consenso del marito ci sono la ‘democratica’ Corea del Sud e il Malawi. Significa che i miglioramenti della condizione femminile non sono una marea che solleva allo stesso modo tutte le barche e che molti diritti, come da sempre ammoniscono le femministe, non sono garantiti per sempre, sono fragili e reversibili. Lo vediamo in Polonia come negli Usa come in Nigeria”.
Anche i meccanismi del potere si leggono in queste mappe. “Il potere non è solo quello delle grandi istituzioni” continua Joni. “Donne e uomini che fanno vite ordinarie sperimentano ogni giorno quale sia la differenza di opportunità tra i due generi. E il lavoro domestico non retribuito è lì a dimostrarlo in tutto il mondo”. Ci sono state e ci saranno delle critiche a questo Atlante. “Vedo diversi blog accusare l’analisi femminista di esagerare, di continuare a parlare di un patriarcato che molti pensano superato. Ecco, il libro di Joni è la migliore risposta a queste obiezioni” rileva Sveva Magaraggia. Conferma Joni: “Ho cercato solo di rendere visibili fenomeni spesso ancora invisibili. Questi dati, queste tavole sollevano delle domande”.
Quali alleanze per trasformare la realtà
Azzurra Muzzonigro, che con Florencia Andreola promuove il progetto Sex & the City, un confronto sul rapporto tra le donne e la metropoli milanese, pone il tema del coinvolgimento maschile. “In questa audience (oltre 100 persone collegate tra Zoom e Facebook, ndr) uomini non ne vediamo. Ma la maschilità non è una questione di genere, è un paradigma che riguarda anche atteggiamenti delle donne, se vogliamo trasformare la realtà dobbiamo trovare terreni comuni, come facciamo?”. Magaraggia rileva che tra le femministe più giovani c’è già una presenza degli uomini e che quando, come in università, si parla di una maschilità che è negativa e opprimente anche per gli uomini, la loro reazione è di apertura.
Nadotti pensa invece che sia ora di finirla con il dover convincere gli uomini: “Ci sono differenze tra le donne, il potere è una malattia anche tra di noi, possiamo lavorare su questo, cambiare noi stesse e le altre. E Joni ci dà degli strumenti, perché non dobbiamo guardare le sue mappe per vederci vittime, ma per avere una chiarezza che serve anche agli uomini”. È d’accordo Joni. “Dobbiamo fare delle coalizioni femministe il più larghe possibile, tener conto delle differenze di età, di classe sociale, di etnia, di religione. Le giovani sono quasi istintivamente costruttrici di coalizioni. Ed è giusto porre le questioni della mascolinità e della femminilità, vederle come formazioni sociali che influenzano tutti, capire quali sono le parti utili e quali le distruttive”.
Dal pubblico viene posta la questione della disponibilità dell’Atlante anche al di fuori del mondo occidentale (è stato tradotto in francese, spagnolo, tedesco, giapponese) e dalla possibile difficoltà a reperire i dati in alcuni Paesi. Joni conferma che spesso nelle sue ricerche quella sulle violenze domestiche resta una pagina vuota, perché questo tipo di dati non viene reso pubblico e forse nemmeno raccolto in alcuni Paesi. Ma la gran parte dei dati proviene da organismi globali come l’Oms, la Banca Mondiale, e da organizzazioni negli Usa, dove i dati sono più che altrove disaggregati, per esempio per genere o per etnia.
Kamala Harris, “un grande passo avanti”
Non poteva mancare, in conclusione, una domanda sulla recente elezione di Joe Biden e soprattutto di Kamala Harris, su cui le femministe italiane si sono divise. “Formidabile, fantastica” è la risposta di Joni. Che poi spiega: “Nessuno dei due era la mia personale prima scelta, sono centristi, e avremo critiche da fare. Ma è una cosa grandiosa. Kamala ha diverse identità, ma la sua elezione rappresenta un grande passo avanti per gli Stati Uniti. Una piccola parte della mia mente è critica, ma in questo momento scelgo di non attivarla”.