In questi giorni si è tenuto a Roma il Pre-Vertice sui sistemi alimentari, in vista dell’Assemblea dell’Onu del prossimo settembre 2021 a NewYork.
Vertice che dichiara di mirare a “definire una governance globale sull’agricoltura e l’alimentazione per fronteggiare l’emergenza della malnutrizione mondiale, e in generale gli squilibri alimentari, puntando alla trasformazione dei sistemi alimentari con soluzioni innovative che potranno servire a raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile – zero fame entro il 2030”.
Ma con lo slogan “NON IN NOSTRO NOME” la società civile dichiara di non voler essere rappresentata a un Vertice dove siedono per la maggior parte rappresentanti delle multinazionali e dell’agri-business.
Circa mille organizzazioni internazionali e regionali della società civile, associazioni di piccoli produttori e coltivatori, le comunità indigene, assieme a rappresentanti del mondo scientifico e accademico hanno preparato un contro-vertice.
L’obiettivo è quello di sensibilizzare la stampa e l’opinione pubblica su un Vertice che dice di voler raggiungere gli obiettivi dello sviluppo sostenibile ma è co-organizzato dal World Economic Forum. Organismo privato che riunisce le più grandi multinazionali, quelle stesse che impoveriscono e consumano le risorse del pianeta.
Ed è difficile pensare che non influenzino i lavori, considerando il cibo solo una merce da scambiare in maniera più redditizia possibile.
Nessuna attenzione, nei fatti, all’impoverimento delle risorse naturali, come l’acqua e il suolo. Già nel 1992 al vertice di Rio sulla terra è stato denunciato che i suoli sono drasticamente impoveriti perdendo valore nutrizionale. Una diminuzione stimata in Europa del 72%.
Dal 1975 ad oggi la Vitamina A nelle mele è calata del 41%, nella frutta la vitamina C del 31% e così via. Questo calo di nutrienti poi induce a recuperarne l’apporto con l’acquisto di integratori multivitaminici, prodotti da industrie farmaceutiche.
Gli attuali sistemi alimentari non incidono minimamente sulla diminuzione della fame del mondo, che lo stesso rapporto delle Nazioni Unite 2021 dichiara invece aumentare in misura allarmante arrivando a colpire 811 milioni di persone. Una drammatica situazione che stava peggiorando già prima della Pandemia COVID-19.
Quindi sarebbe più che ora di cambiare drasticamente politiche e strategie verso sistemi alimentari che diano voce ai piccoli agricoltori e alla rete alimentare contadina composta anche dalle donne, da sempre attive nella produzione di colture alimentari, nella trasformazione e nella commercializzazione degli alimenti.
Le donne si occupano della raccolta di acqua e legna da ardere, della cucina, della pulizia e del lavaggio, nonché della cura dei membri della famiglia e della comunità, della salute e della lotta allo spreco.
Tuttavia, nonostante rappresentino quasi la metà dei produttori agricoli mondiali, hanno accesso alla proprietà e al controllo della terra per meno del 20 per cento, a livello globale.
Le reti contadine e le donne in particolare sono i soggetti che praticano l’agroecologia, uno stile di vita e una forma di resistenza a un sistema economico iniquo che antepone il profitto alla vita.