A meno di tre mesi dalla sua inaugurazione, la Casa delle Donne di Milano sta diventando sempre più “casa”. Tornarci significa ogni volta trovare un mobile nuovo, una faccia in più che si conosce, qualche saluto che con il tempo diventa più affettuoso.
Domenica 18 maggio eravamo lì per un incontro sulle buone pratiche per contrastare l’omofobia, un evento nato e voluto dall’interno della Casa. Nonostante a Milano ci fossero un sole splendido e molte alternative in contemporanea, ha partecipato una cinquantina di persone e la sala era piena. Chi è venuta come educatrice, chi come militante, chi per vedere la Casa o semplicemente chi era interessata a un fenomeno, l’omofobia, di cui si sente molto parlare ma che troppo spesso è trattato in maniera astratta e fumosa.
Stavolta però di astratto non c’era proprio niente e le relatrici, tre donne con identità e percorsi molto diversi fra loro, hanno parlato di progetti e situazioni reali e a
partire da sé e dalle proprie vite, con la concretezza delle loro facce e dei propri corpi prima ancora che attraverso i powerpoint.
Così Eva Schwarzwald – la bella signora dallo sguardo severo che sorride all’improvviso quando ormai non te lo aspetti più – in poche slide ci ha fatto un ritratto nitido di come si costruiscono gli stereotipi di genere e del prezzo altissimo che già oggi pagano sulla propria pelle le bambine, che saranno le donne di domani; Helen Ibry – l’antropologa timida e gentile che conosce a memoria dati numerici, proposte di legge e situazioni politiche di Paesi che noi nemmeno sapremmo collocare sulla carta – ci ha fatto fare il giro d’Europa in venti minuti; Milena Cannavacciuolo – pasionaria napoletana e fan sfegatata della cultura pop – ci ha mostrato in tre clip come un serial può cambiare la percezione di un fenomeno nelle persone e come la gente, appassionandosi a una storia d’amore omo o etero che sia, abbia il potere di cambiare il corso di quel serial.
Nell’ultima ora abbiamo dibattuto un po’ su tutto, dalla “teoria del gender”, gigantesca bufala inventata dal movimento delle Sentinelle in piedi per creare allarmismo nei confronti del fantomatico “movimento omosessualista”, al valore delle rappresentazioni di cinema e tv, alla possibilità di scardinare i modelli e proporne di alternativi, passando da Monique Wittig fino ad arrivare alla legge Mancino, insomma un dialogo intenso con una platea preparata. Per qualche istante, mentre il dibattito andava in crescendo con citazioni colte e riflessioni strutturate, mi sono chiesta se un evento sull’omofobia rivolto a un pubblico evidentemente già così edotto non fosse superfluo.
Mentre uscivamo però, sono stata avvicinata da due partecipanti che, a bassa voce, mi hanno chiesto di non comparire nelle foto dell’evento perché preferiscono “non essere associate a queste tematiche”. Quello scambio mi ha ricordato istantaneamente che la battaglia contro l’omofobia non è solo una lotta contro la violenza, ma anche un lavoro capillare di educazione generale alla visibilità, perché la paura, lo stigma e il pregiudizio amano l’anonimato e vanno in crisi di fronte alla realtà.
Spero e credo che le generazioni future avranno la fortuna e il lusso di non doversi occupare di questioni come la visibilità e il diritto a esistere con interezza, ma per quanto ci riguarda il problema c’è, è tutto nostro ed evidentemente ben lungi dall’essere risolto.
Forza e coraggio quindi, che la strada è ancora lunga. La buona notizia è che a percorrerla, finalmente, siamo in tante/i e tutte/i insieme.
E, a proposito di strade e di visibilità: ci vediamo al Pride! (link: http://www.milanopride.it/)
Michela Pagarini