di Marilena Salvarezza
Il 28 marzo 2025 alla Casa delle Donne di Milano si discuterà del libro La mia vita nel gulag di Anna Szyszko Grzywacz con la figlia dell’autrice cui la madre morta centenaria nel 2023, ha affidato le sue memorie orali. Sarà presente anche Patrizia Deotto, studiosa di lingua e letteratura russa. Il libro fa parte del progetto editoriale “Narrare la memoria” che pubblica opere inedite dell’ Europa orientale nel contesto della storia del Novecento e in particolare dell’Unione sovietica.
Si rende così disponibile un patrimonio di “microstoria”, fatto di testimonianze personali, che arricchisce e umanizza la “macrostoria” del Novecento con la rivoluzione sovietica, le due guerre mondiali e la Shoa. La mia vita nel gulag , Memorie da Vorkuta, è la trascrizione a cura della figlia dell’esperienza materna nel gulag ma del linguaggio parlato mantiene il lessico e la forma fresca, diretta e colloquiale. Anna ricostruisce il senso del suo impegno politico nella resistenza nazionale polacca, le vicende tragiche che l’hanno portata all’internamento per undici anni consegnandoci anche dettagli che gettano nuova luce sugli eventi. La “perestroika” russa ha permesso di disseppellire testimonianze preziose, anche di donne altrimenti destinate all’oblio.
Anna racconta la sua vicenda alla figlia dopo molti anni, quando ormai il contesto storico- politico del suo paese, la Polonia, e del mondo intero è radicalmente cambiato. La Polonia autonoma oggi fa parte a pieno titolo dell’Unione Europea ma durante la seconda guerra mondiale fu spartita tra Germania nazista e URSS stalinista, entrambe odiate dai patrioti polacchi che iniziarono una resistenza nazionalista, articolata in varie formazioni sconfitta ma non annientata. Anna entra nell’Unione dei liberi polacchi nel 1939 a sedici anni, come staffetta col nome di battaglia di Dana dopo che la Polonia del nord diventa zona d’influenza dei russi.
Verrà arrestata dai servizi segreti sovietici nel 1945, alla fine della guerra, per aver militato con l’Armia Krajova, l’organizzazione militare della delegazione polacca del governo nazionale in esilio a Londra. Trasferita in URSS, dopo varie tappe di prigionia e una condanna a venti anni di gulag, viene internata a Vorkuta. La aspetta insieme a molte altre e a molti altri una vita fatta di fatica durissima, vessazioni e privazioni paura e violenza sistematica. Tuttavia Anna parla senza enfasi delle sue immani fatiche, raccontando con semplicità i rituali, il gergo, le gerarchie, le regole, le divisioni e le aggregazioni nazionali di questo microcosmo infernale. Aiutano Anna e le altre l’estrema giovinezza e il desiderio di gioco e allegria che le anima nonostante tutto. Ma ancora di più è fondamentale l’amicizia, più forte di un legame di sangue, che lega cinque ragazze polacche, in particolare Anna e Wanda. E’ ciò che permette loro la sopravvivenza e il tenere vivi gli ideali comuni “di verità e giustizia che le animano.
Come dirà un’altra testimone, Wiktoria Krasniewska, dove la sofferenza è al culmine, non si parla di sofferenza. Là dove si è perduto tutto si vuole solo vivere e vivere significa ridere e amare appena si può. Le ragazze si trovano fisicamente in condizioni orribili (vestite di stracci, senza scarpe vivono tra insetti e sporcizia), nell’impossibilità di scrivere alla famiglia. Eppure trovano sempre ingegnose soluzioni per rendersi la vita più sopportabile e creano persino legami affettivi con prigionieri polacchi. Quando cambiano le condizioni esterne, il gulag perde la sua funzione e nel 1956 anche Anna e le sue amiche conquistano la libertà. Per loro, come per tutti i reduci di esperienze concentrazionarie, il ritorno tanto sognato, non è mai facile. Tuttavia le “Cinque Gemelle” riusciranno a vivere vite piene, sposandosi, facendo figli coltivando le amicizie e lasciando un testamento prezioso. Parlare di Anna, della sua storia e del contesto in cui l’ha vissuta, con la figlia sarà un’occasione per legare passato e presente e per riflettere su straordinarie genealogie femminili.