Ci siamo chieste, mentre preparavamo questo incontro, a chi intendevamo rivolgerci, quale volevamo che fosse il nostro pubblico e la domanda non poteva che essere iniziale, poiché la risposta avrebbe significato le scelte di linguaggio, le forme da offrire al nostro discorso, i modi di interpretare e proporre una tematica complessa.
Una tematica, e su questo abbiamo ragionato, che non investe solo i più diretti e le più dirette protagoniste, ma tutto il vivere e sentire sociale, le culture diffuse, poiché discutere di nuove forme di genitorialità siamo convinte che assuma il senso di rivedere e reinterpretare non solo le relazioni private, ma anche quelle pubbliche, induca la necessità di ripensare a temi che riguardano i corpi, i diritti, i rapporti tra la medicina e chi vi ricorre, tra i due sessi, tra le generazioni.
Abbiamo scelto allora di rivolgerci non a un pubblico specialistico, ma tendenzialmente a tutti e tutte, a chi direttamente o indirettamente viene toccato dal mutamento profondo indotto dalla fecondazione medicalmente assistita.
Ma occorre avere la consapevolezza che il tema, le scelte e le discussioni che riguardano questo tema sono in continua evoluzione, una realtà in mutamento perpetuo: oggi proponiamo alcuni scenari del momento attuale, ben sapendo che il nostro confronto si inserisce in un divenire rispetto al quale avere maggiore chiarezza appare necessario per comprendere anche i futuri sviluppi, per entrare con qualche strumento in più nel dibattito.
Quanto dico in questa comunicazione di avvio ai nostri lavori è stato discusso nel gruppo che ha progettato il convegno, ma rispecchia evidentemente e soprattutto, come credo sia ovvio, le mie opinioni.
Credo possa essere utile delineare innanzitutto il contesto nel quale si colloca il nostro tema. Infatti lo scenario della contemporaneità offre una cornice all’interno della quale le culture e le pratiche della maternità e della paternità appaiono cambiate ed è in questo quadro, che brevemente cercherò di tracciare, che occorre si inseriscano i nostri discorsi.
La maternità si è trasformata rapidamente, nel giro di poche generazioni e senza apparenti rotture di continuità, da dovere femminile in diritto. Ma, a mio parere, la maternità vede nel contemporaneo un nuovo fiorire di retoriche che possono contribuire a rendere ambiguo questo diritto, stabilendo, ancora una volta, l’equazione femminilità uguale a maternità. che il movimento delle donne ha nel tempo messa in discussione.In Italia si fanno pochi figli, ma la maternità viene incensata con rinnovato vigore e questo fatto crea non pochi problemi per le donne. Chi non è madre, per scelta o per necessità, sembra che abbia rinunciato a una parte della sua femmnilità, chi è madre deve essere madre perfetta, con competenze molteplici, quasi specialistiche. Deve dare prestazioni di qualità, tutto il tempo e l’attenzione che ha a disposizione, e anche di più, deve creare un ambiente per i propri figli e figlie che li renda necessariamente felici, che soddisfi ogni loro bisogno e richiesta, che soddisfi anche ciò che non viene richiesto. Con tutte le contraddizioni che conosciamo, in particolare sul lavoro, e che creano ansie, sentimenti di inadeguatezza, rincorse defatiganti a quella perfezione che non apare mai raggiunta. E la madre sovrasta la donna, la opprime, ne opprime i desideri e i bisogni personali, occupa ogni porzione del tempo, salvo quello che il lavoro sembra sottrarre all’esercizio della maternità.
Anche la paternità è cambiata e anche in questo caso le nuove retoriche mi sembra stiano già invadendo il terreno di un cambiamento positivo, ma che muove i primi passi. I nuovi padri chiedono per sé una diversa, più piena intimità coi figli e le figlie, si sottraggono meno ai compiti della cura, anche se sempre guidati dal pensiero vigile e dalle indicazioni precise delle madri perfette. Ma questo nuovo spazio di emotività e di relazione anche con i più piccoli e piccole è già sotto i riflettori della banalizzazione mediatica: fanno la loro comparsa i padri patinati, gli abbracci e i baci ai figli divengono cronaca, facili palcoscenici per attori, cantanti e calciatori, ma anche il padre più comune, quello che si può incontrare ai giardinetti, diviene protagonista di facili commozioni femminili, è circondato da un’approvazione generale che soffoca, a mio parere, e distorce un percorso virtuoso, ma ancora tutto da apprendere.
In questo contesto generale si colloca anche il cambiamento delle famiglie: a quella tradizionale, madre padre figli, si accostano le famiglie monoparentali, le famiglie allargate, le coppie omosessuali. Ed è indubbio che la fecondazione assistita, nelle sue diverse forme, abbia un ruolo centrale in questo cambiamento. Rende possibile la genitorialità anche per chi non ne abbia le condizioni tradizionali, perché non ha un partner, perché vive in un coppia del medesimo sesso, perché anche in una situazione di unione eterosessuale uno dei componenti non possiede appieno le caratteristiche fisiche per poter fare figli. Con le possibilità che offre la fecondazione assistita si modifica ulteriormente il vincolo tra genitorialità biologica e genitorialità sociale, un vincolo così profondamente interiorizzato da singole e singoli, dalla cultura sociale, che la sua rottura apre a scenari ancora largamente inesplorati, a nuove, necessarie, narrazioni che accompagnino i percorsi di singole e singoli, percorsi spesso di solitudine e isolamento, che raccontino e significhino nuove assunzioni di responsabilità e che offrano contenuti condivisi al crearsi di relazioni inedite non solo all’interno della coppia, ma nella cerchia, parentale e non solo, di rapporti più allargati.
Lascio che i temi medici e giuridici vengano trattati dopo di me da chi ne ha le competenze, vorrei ora solo brevemente soffermarmi su alcune implicazioni etiche che il nostro discorso di oggi inevitabilmente propone.
Infatti, ben più che per altri temi, quello che oggi trattiamo mette in luce le relazioni o le rotture tra la morale collettiva, socialmente più o meno condivisa, e la morale individuale, del singolo soggetto. Non ho certamente la capacità di delineare soluzioni rispetto alle tensioni, più o meno forti, più o meno conflittuali, che caratterizzano le relazioni tra etica sociale ed etica soggettiva, neppure credo di saper descrivere il quadro complessivo delle nuove implicazioni che il nostro discorso odierno mette in campo all’interno di questa interazione complessa. Mi limito a un discorso che può apparire generale, ma che quanto ci scambiamo oggi e quanto ciascuno o ciascuna vive nella sua biografia privata e sociale può precisare, arricchire di nuovi elementi.
E’ caratteristica della modernità occidentale e poi della contemporaneità la scissione tra etica pubblica e morale del soggetto. Una scissione che non implica necessariamente una rottura completa, poiche le norme che regolano il vivere comune e sociale, che definiscono ciò che è bene e ciò che è male, sono sempre presenti nel vissuto e nelle scelte di ogni individuo, lo precedono e lo orientano, anche nel caso vengano rifiutate. Ma è il percorso singolo, di ogni soggetto, che lo rende soggetto morale, il suo confrontarsi continuo con ciò che l’etica pubblica propone come comportamento virtuoso, le sue scelte, in linea o in opposizione a queste dichiarate virtù, e l’assunzione di responsabilità personale nelle scelte che ha operato.
Il soggetto morale è dunque una figura che si presenta solo nei tempi più recenti e si caratterizza, nel bene e nel male, per questo forte tratto di individualità, anche se si confronta necessariamente con le norme etiche pubbliche. La letteratura, il cinema, le più diverse narrazioni sono ricche di questi eroi solitari, che elaborano nella solitudine le linee principali dei loro comportamenti. Ma il pensiero delle donne ha elaborato elementi di critica rispetto a questa figura di romantico solitario. L’esperienza di cura femminile ci ha reso consapevoli che i gesti e le scelte morali non appartengono e non si formano nell’individuo singolo, sono frutto di relazioni, di contesti, che mutano i significati del nostro agire, possono connotarsi in forme diverse secondo i rapporti, le condizioni, le finalità immediate e non che le diverse situazioni relazionali propongono.
Queste posizioni appaiono con molta chiarezza nei temi che riguardano la procreazione, nelle sue diverse forme: le donne rivendicano per sé il momento finale della scelta, ma quest’ultima viene elaborata non nella solitudine del singolo soggetto ma nella relazione e nel contesto in cui essa si sviluppa. La responsabilità del soggetto non viene delegata ma supportata all’interno di un intreccio di rapporti, esperienze, affettività, contesti e condizioni riconosciute che offrono un contributo significativo di senso e contenuti alla scelta
Secondo una contrapposizione piuttosto schematica e quindi secondo me ‘povera’ le proposizioni maschili di etica hanno formato il sistema dei diritti, astratto e (nominalmente) uguale per tutti, mentre le riflessioni femminili vi hanno contrapposto una fioritura non univoca di comportamenti etici, che si formano nelle relazioni, nelle diverse situazioni che queste relazioni creano, nei diversi contesti sociali, economici e culturali. Come dicevo considero questa contrapposizione meccanica e poco utile, preferisco immaginare una permeabilità, continuamente rinnovantesi, tra il sistema dei diritti e le diverse situazioni relazionali che ne mitigano, ne pluralizzano le rigidità. E forse, se pure con lentezza, è ciò che sta avvenendo.
Ma è chiaro che alcuni cambiamenti, che riguardano così profondamente le vite delle persone, come quello di cui oggi discutiamo, mutano i quadri di riferimento e le stesse relazioni tra etica pubblica, o sistema dei diritti anche se le due cose non coincidono, e l’assunzione di responsabilità personale che caratterizza la formazione del soggetto morale. Mutano i riferimenti e li rendono più complessi, con problematicità inedite, che richiedono probabilmente ripensamenti più generali.
E anche questo non è un compito da affidare solo a specialisti o a esperti ed esperte, ma è compito di ognuno: ciò che definiamo morale non è immodificabile, non è un’astrazione lontana dalle vite concrete, ma in esse prende corpo, si sostanzia dei pensieri e delle scelte delle persone e può mutare nel tempo. Il cambiamento di senso della genitorialità, che la fecondazione assistita induce, è un cambiamento, ripeto, che riguarda tutti e tutte, ciascuna e ciascuno, richiede un’opera di riflessività, oltre che di pratiche, che impegna il pensiero sociale e quello individuale, che mette in relazione (dovrebbe mettere in relazione) il mutamento del sistema dei diritti con l’assunzione di responsabilità morale di ogni donna o uomo.
Termino con due considerazioni. I temi che qui oggi trattiamo sono stati approfonditi soprattutto dalle donne, ma riguardano anche gli uomini, se pure in forme diverse, eppure è stato difficile coinvolgerli in questo nostro incontro. Credo sia ora che gli uomini, che rivendicano forme nuove di paternità, si facciano protagonisti più attivi di queste tematiche, ci offrano il loro pensiero e le loro esperienze, perché, come già ho detto, questo tema riguarda tutti e tutte. Riprendo quindi con la mia seconda considerazione quello che dicevo all’inizio: oggi intendiamo rivolgerci a un pubblico che nelle nostre intenzioni rappresenta la società tutta, le vite di ognuno, e quindi il nostro scopo è quello di proporre approfondimenti su un tema arduo e complesso, di sensibilizzare e promuovere le consapevolezze di donne e uomini, anche di chi direttamente non esperisce i percorsi delle nuove genitorialità. Ci proponiamo di sviluppare un’interlocuzione tra noi, tra domande complesse e risposte non esaurienti e non univoche, che possono prendere corpo e concretezza nelle riflessioni e nelle scelte di ognuno.
Barbara Mapelli