Da più di vent’anni studia e dialoga con le “ragazze del 68”, intrecciando la competenza di sociologa con la riflessione, personale e collettiva, sull’invecchiamento delle donne. Avevamo incontrato Marina Piazza alla Casa delle Donne il 1° ottobre 2019, in un incontro sul suo ultimo libro “La vita lunga delle donne” (ed. Solferino).
Il libro si apriva con una considerazione fatta dieci anni prima, nel giorno del suo settantesimo compleanno: “E ora? Mi fermo in attesa di una decorosa invisibilità? Ma perché mi dovevo fermare? Non mi sono fermata affatto, ho però cambiato passo”.
Ecco, il coronavirus ci ha davvero “fermate”. Ma come, e con quali conseguenze?

Marina Piazza riflette oggi su questo in un’intervista al periodico “Una città” (unacittà.it/it/articoli/1612-senza-compianto).
Inizia con una sua strana sensazione: “È come se questo libro, su cui ho lavorato tanto tempo, che è stato pubblicato nel settembre dell’anno scorso, che ho discusso in tante presentazioni e discussioni, si fosse improvvisamente allontanato, fosse già di un’altra epoca. Un’epoca in cui mi sembrava essenziale parlare di vita nella vecchiaia, di contraddizioni e paure, di perdite e di guadagni, ma comunque di vita. E ora ci confrontiamo con una morte possibile, vicina, anche con la solitudine, la lontananza, la mancanza di contatto (…) Anche ora voglio parlare di vita, ma non credo che ne potrò parlare con le stesse parole di prima”.

C’è una dimensione politica che il virus ha messo a nudo in modo impietoso e che riguarda il modo sociale di affrontare la vecchiaia: le residenze assistenziali (RSA), la convivenza con le badanti e il virus, l’assenza di contatti affettivi. E c’è una dimensione personale in cui la solitudine genera “angoscia o disperazione non solo per le nostre sorti individuali, ma anche per quelle collettive, per la mancanza di una luce finale”.
“Ma forse” conclude Marina Piazza “dopo aver pianto, possiamo anche asciugarci le lacrime e pensare che qualche piccolo guadagno – piccolo rispetto alla perdita, ma prezioso – possiamo metterlo in campo. Ad esempio noi, per la nostra età, sappiamo che navighiamo nel mare dell’incertezza e della fragilità. L’abbiamo accettato. Ma questa consapevolezza non ci deve far dimenticare che la fragilità diventa vulnerabilità se l’altro non la accetta, se se ne serve per farci del male, ferirci, danneggiarci. Questo abbiamo visto in questo periodo e non lo tollereremo più. Lotteremo con tutte nelle nostre forze per un farci buttare nel mare dei sommersi. Ci esporremo: contro la politica sociale, contro la politica sanitaria, contro le RSA, contro tutto quello che di disumano si è rivelato in questo tempo”.