Le ragazze del ’68, protagoniste di tante lotte sociali e del femminismo, sono invecchiate. Oggi che hanno settanta e più anni, riescono ancora a esprimere una voce collettiva, un “noi”? Loro che si sono inventate la vita affrontando da apripista tante problematiche, come vivono quell’età che molti tabù impediscono tuttora di chiamare con il suo nome, vecchiaia?
E’ questo il tema dell’ultimo, bel libro di Marina Piazza “La vita lunga delle donne”, edito da Solferino, che martedì 1° ottobre ha portato molte donne (almeno un’ottantina) ad affollare lo Spazio da Vivere della Casa delle Donne. Quasi tutte appartenevano alle diverse fasce di età che, a partire dai 65 anni, caratterizzano l’ultima parte della vita, in cui i demografi collocano più di 7 milioni di donne.
Ma c’erano anche donne più giovani. Come Claudia de Lillo, giornalista radiofonica e scrittrice, che ha interpellato Marina Piazza dal punto di vista di una “figlia”. “Leggere questo libro è stato un po’ come leggere la mia mamma” ha esordito, “ma anche leggere quello che sarà. E per una generazione come la nostra, che pensa fin troppo al futuro, avere una traccia è utile.
E’ un libro coraggioso perché dare parola alle fragilità è difficile, bisogna liberarsi anche da una sorta di pudore per affrontare un percorso che è pieno di incertezze”.
Già, l’incertezza. Segna tutti i passaggi da una fase all’altra della vita, ma nel percorso verso la vecchiaia, diverso in ciascuna nei modi e nei tempi, è una costante, quasi sempre accompagnata all’inizio da uno stupore un po’ attonito. Una perdita, un piccolo incidente, una malattia bastano per metterci in una condizione in cui non ci riconosciamo, a cui non siamo preparate.
“Dalla postura che assumi quando senti di entrare nella vecchiaia dipende il modo in cui vivrai le fasi successive. E questa postura, che è una sorta di visto, un’accettazione, devi dartela tu” ha detto Marina Piazza. Finché si riesce a passare dal “mi è successo” al “succede”, riconoscendosi nel grande fiume della vita.
C’è uno specifico femminile nel vivere la vecchiaia? Si tratta anzitutto di superare uno stereotipo. “Il maschio può invecchiare diventando più potente, più saggio, più forte. La donna no, viene vissuta come chi rimpiange la bellezza perduta” risponde Piazza. “Oppure secondo un nuovo e più insidioso stereotipo: se non ti curi, non vai in palestra, non ti ritocchi, è colpa tua se invecchi”.
“Non è anche un sollievo sottrarsi all’ossessione del corpo?” chiede de Lillo. “E uscire da quel delirio di indispensabilità che accompagna le nostre vite di donne adulte, onnipresenti nella coppia e per i figli, instancabili sul lavoro?”.
La risposta sta in quelli che Piazza individua come i non molti ma reali guadagni dell’età: legittimarsi per quello che si è, sottrarsi al giudizio maschile, accettare di perdere un po’ di autorevolezza in casa, trovare un proprio centro, non smarrire intelligenza, ironia, curiosità. Vivere pienamente un tempo circolare, che ci ricongiunge all’infanzia. Trasformare i rimpianti in ricordi. E imparare a chiedere.
Anche alla politica. “Perché non ci sono le panchine? Perché ci sono i parcheggi per i disabili e non per gli anziani?” ha chiesto per esempio Laura Lepetit. “Ci sono persino gli spazi per i cani nelle nostre città. E per noi?”
Da lei, fondatrice della storica casa editrice La Tartaruga, non poteva mancare un accenno alla copertina del libro di Marina Piazza con il suo elogio a quell’immagine che va piano, ma non si ferma, è saggia, solida, resistente e porta sempre con sé il suo guscio, la sua casa. “E’ un libro che va letto da giovani, perché prepara a vedere la vita e ad affrontarne i passaggi per quello che sono e non per quello che spesso ci viene raccontato. Un esempio? Il sesso, tutti dicono che va bene sempre e per sempre. Le donne a cui Marina dà voce ci dicono che anche questo vissuto si trasforma con l’età. Come tutti gli altri”.
(Grazia Longoni)