Ecco tre testi che ragionano a fondo sul tema della nascita anche con riferimento ai miti. Le riflessioni su questo tema sono particolarmente intense oggi mentre si discute, con esiti diversi, di nuove forme di famiglie e di generazione. Ne sono venuti il saggio di Rosella Prezzo, filosofa e traduttrice, Trame di nascita. Tra miti, filosofie, immagini e racconti (Moretti &Vitali, 2023); poi è uscito il denso testo di Adriana Cavarero, autorevole filosofa della differenza, Donne che allattano cuccioli di lupo, Icone dell’ipermaterno (Castelvecchi, 2023); in questo filone si inserisce ora il saggio di Vittoria Longoni, Come si nasce. Miti e storie (Ledizioni, 2024), analisi del tema della nascita nei miti greci e in alcuni momenti e luoghi del mondo antico.
Tutti questi testi fanno riferimento, in modo più o meno esplicito, alla rivalutazione dei significati della nascita proposte da grandi pensatrici, come Maria Zambrano e Hannah Arendt, e al dibattito attuale su fecondazioni assistite e gravidanze per altr*.
Continuate a mandarci i vostri contributi, anche su queste tematiche complesse, all’indirizzo librarsi@casadonnemilano.it 

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Rosella Prezzo
Trame di nascita. Tra Miti, filosofie, immagini e racconti
Moretti&Vitali, 2023
Copertina di Prezzo R. "Trame di nascita"Questo saggio ha tre nuclei. Nel primo la filosofa parte da Adamo ed Eva, dalle loro nascite così diverse: Adamo viene creato, Eva nasce da una costola di lui. Rosella Prezzo ripercorre in modo critico il racconto della Genesi. Non è la prima a farlo ma di certo lo fa a suo modo e, così, ci si ritrova davanti a domande come questa: come avvenne il primo incontro tra Adamo ed Eva? È stato importante questo incontro? Da quello dovrebbero aver preso le mosse per lo sviluppo del loro rapporto, il primo evolversi delle loro nascite. Nel racconto non è mai rappresentato un primo dialogo ma il riconoscimento che ne fa Adamo parlando di lei, non “parlando con lei”. Come interpretare questo primo incontro mancato? Quale vuoto ne deriva?

“Adamo costruisce il proprio discorso, con ‘gaudio massimo’, su una presenza a cui non si rivolge, ma che pure gli ha permesso possibile l’effettiva entrata nel linguaggio”.

Ai racconti biblici seguono i miti. Sono note le mirabolanti nascite nell’Olimpo degli Dei e tra gli dei e gli umani, ma qui l’attenzione si concentra su quelle nascite che tendono a rendere secondaria, quando addirittura a negare, la funzione generatrice della donna, nell’aspirazione tutta maschile di essere i padroni e i controllori della procreazione.

Nel successivo passaggio dal mythos al logos l’attenzione dell’autrice si appunta sul binomio immortale/mortale e sulla assunzione che la filosofia classica, ma anche quella successiva, attua sulla natura mortale degli umani, oscurandone completamente la nascita:

“[…] il nostro comune venire al mondo […] rimarrà a lungo il punto cieco della filosofia: un’origine censurata, un’evidenza impensata, proprio nella sua realtà corporea. […] Chi compirà, invece, il ‘gesto filosofico di rottura’ rispetto a questa secolare tradizione saranno due grandi pensatrici del Novecento: Hannah Arendt e Maria Zambrano, pur con modalità diverse. Sarà allora che la perfetta identificazione tra umani e mortali si svelerà non tanto come un’opposizione ma come un vero e proprio ‘condizionamento mentale’ indotto”.

Con questo cambiamento di prospettiva si entra nel secondo nucleo del libro. Il gesto filosofico di rottura inaugura una filosofia della natalità che in Hannah Arendt è così forte e definita da divenire questione politica, in quanto venire al mondo attraverso la nascita è parte integrante dell’umana condizione e di conseguenza va ripensata anche la sfera politica.

“La nascita non è solo un fatto biologico ma un evento, non solo il mantenimento della specie ma soprattutto ‘la rottura della catena temporale’ e ‘l’irruzione del nuovo’”.

Questo concetto viene esplicitato anche da Maria Zambrano nello stesso anno in cui lo fa Arendt. Per la filosofa andalusa “[…] il movimento storico avviene per l’inevitabile apparizione di nuove generazioni, ognuna di esse introduce un cambiamento”. Il nuovo nato, esplicita ancora Prezzo, è un nuovo anello nella catena dei già nati e di quelli che nasceranno dopo di lui. E, dunque, invece che guardare al genere umano come a un precipitoso declinare della vita e a inevitabili morti, si guarda al dinamico e imprevedibile divenire della storia nel susseguirsi delle nascite.

Benché le due filosofe siano affini in questa comune visione, Arendt pone l’accento sul mettere al mondo, dare alla luce, mentre Zambrano focalizza sul nascituro, sul venire al mondo non solo come inizio della vita ma come aspirazione a vivere. Da quel preciso istante in cui è ancora cieco “il nato inizia ad aprire gli occhi e respirare” ed è lì che la coscienza comincia a formarsi. Aggiungo che l’autrice non si limita a questo, che pure è contributo prezioso e rivelatore, ma pone lo sviluppo del suo pensiero sulla base di un indicatore che chiama “l’altra finitudine”. Ma “la finitudine della nascita non condanna alla propria fine” è piuttosto “ciò che promuove la possibilità di un inizio”, “la nascita è la prima trasformazione esistenziale”. Da questi aspetti Prezzo ne genera altri illuminanti, e direi, confortanti ma soprattutto di una disarmante e sorprendente logicità esperienziale e di pensiero. Non ultimo, ma forse il primo, che venire al mondo significa passare attraverso il corpo di un’altra. Ed è all’origine di questo processo che si è installato l’oscuramento di pensiero sulla nascita; dove è andato perduto e obliato bisogna “rimetterlo nel circolo vitale del pensare”.

Con questi concetti di base è possibile ribaltare la visione del mondo e dell’umana esistenza.

Nel terzo nucleo del saggio l’autrice analizza la nuova riproduzione biotecnologica, che definisce portata alle estreme conseguenze. E, come derivazione del suo pensiero filosofico-esistenziale, prende chiare posizioni contro la gestazione per altri, oggetto di dibattito tuttora in corso.

Di quanto elaborato dal suo pensiero filosofico e dei contributi a cui ha attinto, non si può che esserle grate. Al di là di ogni personale posizione al riguardo, Rosella Prezzo ci dona una vitale rivoluzione, sia tramite pensatrici che l’hanno preceduta sia tramite lo sviluppo e le dinamiche articolazioni che la sua personale riflessione ne ha fatto.

Angela Giannitrapani

 

Due altre considerazioni su Trame di nascita” di Rosella Prezzo
Rosella Prezzo con questo saggio si inserisce nel filone di pensiero sulla nascita e sulla maternità che ha dato contributi fondamentali alla riflessione filosofica e al femminismo. Angela Giannitrapani ne riporta i passaggi fondamentali con competenza e con amore; non ripeto le sue parole, che condivido in pieno. Due sole note su Trame di Nascita:

1) Rosella Prezzo si sofferma sui limitati miti greci che più si prestano a essere interpretati come sottovalutazione e (quasi) soppressione della madre. I miti greci però ci dicono anche molto altro: il cosmo nasce con Gaia, madre universale, da cui tutto prende origine, forma e nutrimento: la Dea genera tutte le forme terrestri, l’acqua del mare e dei fiumi, l’aria e l’atmosfera; emana da sé anche il Cielo, Urano, che è il primo maschio e che poi, da figlio di Gaia, diventa suo compagno e suo oppressore. Il mito racconta, a modo suo, l’instaurazione del patriarcato. Ma la potenza di Gaia non viene cancellata nei miti successivi. Il cosmo greco è popolato da innumerevoli figure femminili, generative e non, e da miriadi di nascite in cui è sempre presente una madre; anzi, in più casi, abbiamo forme di partenogenesi che prescindono dal maschio. Le divinità nascono sempre da una dea o da una donna che danno il loro fondamentale contributo o “seme” (a volte chiamato così quando non si conoscevano gli ovuli) e in ultima analisi derivano tutte da Gaia il loro potere generativo. Anche quando le madri (divine o umane) muoiono durante la gravidanza o il parto, il loro apporto iniziale alla vita del nascituro o della nascitura resta fondamentale. Questa non è solo una precisazione filologica basata su una lettura attenta dei testi greci, ma anche una concezione che non focalizza essenzialmente la maternità intesa come gravidanza e parto, ma mette a fuoco anche il concepimento biologico (mediante ovuli con le loro particelle mitocondriali), le intenzioni materne (decisive) e ovviamente (cosa che nessuna nega) tutta la cura, il nutrimento, l’allevamento delle figlie e dei figli.

2) Oggi abbiamo una visione più completa grazie agli sviluppi della conoscenza scientifica, a cui si collegano le tecnologie recenti sulla riproduzione che possono distinguere la donatrice di ovulo dalla gestante e dalla madre intenzionale. Il pensiero di Rosella Prezzo è critico ma: “Più che dalle nuove frontiere della genetica, il pericolo viene quindi dalla politica” (p. 92). Forse, più che la GPA, è l’“utero artificiale” che fa riflettere la filosofa. Prezzo si riferisce alla GPA attraverso le forme più criticabili e problematiche, quelle che sono descritte in forma distopica dal romanzo di Joanne Ramos, La fabbrica (Ponte alle Grazie, 2021) e gli inconvenienti che sono sorti per Covid e guerra nelle cliniche di Kiev. Nell’ampio dibattito sul tema, vorrei osservare che bisogna distinguere la GPA commerciale (in forme più o meno estreme) da quella solidale e/o altruistica e interrogare a fondo le esperienze delle persone coinvolte, e le diverse leggi e norme presenti in varie parti del mondo. Non è inevitabile che la nascita “medicalmente assistita” perda la sua “aura”. Il fondamento della meraviglia sta nel venire al mondo di una nata/o che è sempre nuov* e irripetibile, e nelle attese, relazioni, emozioni, sviluppi delle persone che vi collaborano e assistono.

Vittoria Longoni

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Adriana Cavarero
Donne che allattano cuccioli di lupo. Icone dell’ipermaterno
Castelvecchi, 2023
Copertina di Adriana Cavarero, "Donne che allattano cuccioli di lupo"L’autorevole filosofa appartiene al filone del “femminismo della differenza” e nelle sue opere ha dato un contributo fondamentale. Nel suo ultimo denso saggio si confronta con romanzi recenti, riflessioni filosofiche e con la tragedia di Euripide Le Baccanti per mettere in evidenza il lato “tremendo”, in greco deinòn”, cioè meraviglioso e terribile, attraente e sconvolgente insieme, della maternità. Il testo offre contributi importanti a più livelli: il suo punto focale è la riflessione sulla scissione che si produce nel venire al mondo degli umani tra la neonata/o e la donna che partorisce, e tra la vita singolare soggettiva e la dimensione impersonale della vita organica, di cui il corpo femminile è partecipe e tramite.

Il pensiero femminista ha dedicato molta riflessione al corpo materno che nella gravidanza si fa “due in uno” e che poi nel parto vive la separazione: una sfida alla razionalità maschile. Ricordo in particolare, tra gli altri libri fondamentali del femminismo, il testo di Emma Baeri, Dividua. Femminismo e cittadinanza (Il Poligrafo, 2013), che avevo letto tempo fa con interesse anche per la mia relazione con l’autrice.

Il testo di Cavarero affronta il tema nelle sue implicazioni più basilari, con grande attenzione alla dimensione biologica e corporea, al ciclo delle nascite che si riproduce tra madre/figlia/madre, al nesso tra corpo e physis (o zoe). La generazione materna mette in campo una straordinaria conoscenza del corpo, che invita a riconoscersi come parte della natura. Si riflette in modo concreto e realistico sulla separazione che si verifica nel nostro venire al mondo durante il parto e insieme sulla convivenza vissuta durante la gravidanza con la madre e con la natura, che si replica in forme diverse nell’allattamento e nel nutrimento.

Qui sta il riferimento più importante alle Baccanti di Euripide: in questa tragedia le donne invasate si rimettono in contatto con la natura dei boschi, fanno scaturire dalla terra fiotti di acqua, di latte e di miele, allattano al seno anche cuccioli di lupi e di cerbiatti, ritrovano la dimensione animale della maternità, in armonia con tutti i viventi. Ma Agave, insieme alle altre Baccanti, diventa poi, nel mito e nella tragedia, la madre che in preda a un furore cieco dilania il corpo del figlio, credendo nel suo delirio di uccidere un leone feroce. Bisogna ricordare che nella tragedia la furia delle Baccanti si scatena quando esse vengono perseguitate e spiate, e che Dioniso le aveva inizialmente coinvolte nel delirio bacchico allo scopo di far riconoscere il suo “status” divino e di onorare la madre Semèle, ingiustamente calunniata e sottovalutata. Significati amplissimi e plurali di un capolavoro dell’arte tragica greca.

Nella riflessione di Cavarero sulla maternità non c’è posto per rappresentazioni idilliache: l’esperienza del parto e della maternità resta “tremenda”, attraente nel suo potere straordinario e repulsiva insieme. L’accento è messo piuttosto sulla nascita come strappo e lacerazione che rischia di infrangere il corpo materno. Se si leggono diversi racconti di parto e di nascita scritti da donne, incontriamo esperienze molto varie, che possono essere strazianti o esaltanti, o le due cose insieme; a volte sono più serene, in una dimensione più quotidiana e fisiologica, non così oscura. Altri racconti potranno nascere da una consapevolezza più autentica delle madri.

Cavarero in questo testo approfondisce i fondamenti corporei e teorici del nucleo ambivalente e creativo che resta spesso nella relazione tra madre e figlia e mette a fuoco l’importanza conoscitiva e rivoluzionaria dell’esperienza materna. Si tratta di ripensare la maternità in tutti i suoi aspetti, fisici, mentali e spirituali, oltre le idealizzazioni, le rimozioni e le mistificazioni. E di trarne le conseguenze politiche.

Vorrei però indicare altri aspetti del materno ed esprimere alcune perplessità. La figura della madre delineata da Cavarero sembra unica e unitaria. Concepimento, gravidanza e parto e cura della figlia/o sono funzioni che si suppongono realizzate dalla stessa donna. Ma che cosa accade quando invece le madri sono due, o magari tre? Accanto alle grandi opere citate da Cavarero, la letteratura recente ha esplorato relazioni plurali, e la loro ripercussione traumatica e/o creativa nella vita delle figlie. Penso a due grandi poete come Vivian Lamarque e Maria Grazia Calandrone: entrambe, ancora neonate di pochi mesi, sono state abbandonate e cedute ad altre madri. Sulla base di questa duplicità elaborano testi di poesia, o poetico/narrativi, particolarmente intensi. Calandrone ne ricostruisce le figure in due romanzi stupendi: Splendi come vita (Ponte alle Grazie, 2021) dedicato all’amatissima e complicata madre adottiva e Dove non mi hai portata (Einaudi, 2021), ricostruzione della figura della madre biologica che l’ha lasciata in un parco di Roma prima di andare a suicidarsi insieme al compagno. Donatella Di Pietrantonio ha creato la sua Arminuta (L’Arminuta, Einaudi, 2019) – bambina lasciata a pochi mesi dalla madre sovraccarica di figli e cresciuta da una parente, “ritornata” a tredici anni nella rustica famiglia di origine quando la madre adottiva resta incinta e si separa, che si salva grazie alla relazione vitale con la sorella minore.

Altri romanzi sul tema sono L’isola delle madri di Maria Rosa Cutrufelli (Mondadori, 2023), Accabadora di Michela Murgia (Einaudi, 2009), ecc.

Inoltre, sul piano della psiche, non sempre dal parto, oltre alla bambina/o, “nasce una madre”. A volte anche dopo un parto del tutto naturale occorre un lavoro della psiche perché la donna diventi e si senta madre della figlia/o che ha messo al mondo.

 La mia domanda è questa.  La relazione materna si distrugge quando le madri sono due o più di due, oppure si fa più complessa ma resta in ogni caso fondamentale? E la figlia/o può ritrovare le diverse figure materne, più o meno amate, farci i conti e ripensarle nelle radici della propria identità, con incontri reali o almeno a livello simbolico, comprendendo il loro lascito vitale? Non penso solo alle adozioni, ma anche all’esperienza della fecondazione eterologa con donazione di ovulo e soprattutto alla gravidanza per altr*, in cui di norma una donna è la donatrice di ovulo, un’altra donna è la gestante, una terza è la madre intenzionale che ha voluto la nascita della figlia/o e se ne fa carico per tutta la vita.

Sono esperienze in corso in varie parti del mondo, in forme commercializzate più o meno criticabili, o nelle modalità solidali e altruistiche. Queste esperienze, che possono essere vissute nei modi più vari, in diversi contesti sociali e normativi, è giusto respingerle in blocco con la definizione degradante di “utero in affitto” o liquidarle con la scorciatoia sommaria e proibizionista del “reato universale”?

A mio parere vale piuttosto la pena di interrogarle a fondo, dando la parola a tutte le persone coinvolte, confrontando emozioni, leggi e statistiche, cercando le norme più adatte a valorizzare il significato umano di queste forme di maternità. Il nesso tra madre/i e il flusso della Vita si manifesta anche in queste nascite particolari.

Sul nostro pianeta nel corso della Vita è sorta la possibilità della riproduzione sessuata dopo ere in cui il processo avveniva solo per scissione della cellula in due metà identiche tra loro e con la madre. La fusione di due metà di patrimoni genetici diversi e la possibilità dell’errore nella trascrizione biologica ha fatto venire al mondo esseri nuovi, garanzia di sopravvivenza in ambienti mutati e di sviluppi imprevedibili. In questo sta, secondo me, la meraviglia e la potenza della nascita, per tutti i viventi, vegetali, animali, umani. Per le persone umane poi la varietà è ancora più grande, perché nella crescita agiscono le diverse culture e i vari processi psichici.

Da questa grande madre tutti noi, insieme agli altri viventi, deriviamo. Non può venire meno, neppure se facciamo nascere gli esseri umani da ovuli e spermatozoi prodotti in laboratorio da cellule già sessuate e ricorrendo a uteri artificiali; neppure se formiamo gameti maschili e femminili da cellule staminali. Le differenze sessuali (plurali) sono iscritte nella Vita per una ragione basilare; e resta vario il modo in cui queste differenze si esprimono nei corpi e nelle persone, che possono essere femminili o maschili, ma a volte anche “altro”.

Vittoria Longoni

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Vittoria Longoni
Come si nasce. Miti e storie
Ledizioni, 2024
Copertina di V. Longoni, "Come si nasce. Miti e storie"Dopo due che lo precedono (C’era in Atene una bella donna. Etère concubine e donne libere nella Grecia antica, 2019 e Madre Natura. La Dea, i conflitti e le epidemie nel mondo greco, 2021), ecco il terzo testo di Vittoria Longoni dal titolo Come si nasce. Miti e storie, Ledizioni 2024.

Come nei precedenti, l’autrice esplora il mondo antico, prevalentemente quello greco-romano ma anche il territorio dei miti, seguendo il filo conduttore da lei scelto. Qui è la nascita, nell’ampiezza e profondità che la parola e l’evento evocano.

Il libro si divide in quattro parti: la prima è dedicata alla nascita nel mito, la seconda alle genitrici, anche sostitutive, tra mito e storia; la terza esplora i vari casi che riguardano lo status giuridico dei neonati; la quarta le adozioni, le condivisioni dei bambini nella loro nascita e crescita. Inevitabile, alla fine di quest’ultima sezione, collegare i casi esaminati al presente in trasformazione e a un futuro, tutto da discutere, su condivisione di concepimenti, di gestazione, di nuove nascite.

L’ampiezza cronologica presa in esame e la complessità del tema farebbe presupporre un libro voluminoso e impegnativo alla lettura. Invece, Longoni riesce nelle sue 160 pagine a condurci per circa 3000 anni con il suo usuale metodo di indagine trasversale, toccando molti punti caldi per significato e riflessione.

I tanti miti della prima sezione raccolgono le innumerevoli forme di nascita dagli dei e dalle dee, così come dagli dei e le umane o le ninfe, in un ritmo di rappresentazione serrato e vario. Conosciamo la maggioranza di quegli episodi, ma leggerli uno di fila all’altro aiuta a mettere a fuoco cosa sottende a tanta varietà. È preponderante la prevaricazione degli dei sugli umani e soprattutto la cultura fortemente androcentrica nel susseguirsi di amplessi spesso non voluti e subiti dalle donne. Tuttavia l’autrice fa affiorare come il principio femminile, apparentemente secondario, è sempre presente e come esso, con la sua capacità di generare, solleciti l’invidia degli dei e la volontà di predominio. E, tuttavia, perdura ben distinto nella sua identità. Nel mito, inoltre, tutti i viventi umani, piante, animali risultano collegati e derivati dalla Dea Madre originale, Gaia. Tema già ampiamente affrontato dall’autrice nel libro Madre Natura. La Dea, i conflitti e le epidemie nel mondo greco.

Dalle fantasiose e fortemente simboliche forme di nascita dei miti si passa alla successiva evocazione della maternità mutuata dal mito e rappresentata nei classici greci. Forte anche qui la componente androcentrica, nella quale risulta marginale il ruolo della genitrice nella secolare tendenza degli uomini ad arrogare a sé stessi uno dei processi più complessi e, per loro misteriosi, dell’esistenza, il cui frutto, i figli, ritenevano patrimonio personale. Da qui le pagine ci conducono alle varie forme di proprietà dei padri su figli e figlie sin dal momento in cui prendevano la creatura neonata dalle mani della levatrice e la elevavano al cielo, a confermarne l’appartenenza.

Nonostante i tentativi di sminuire la funzione materna, di fatto anche nel mondo antico la moglie, se divenuta madre, manteneva un ruolo importante dentro la famiglia e nei rapporti coi figli. Il sistema patriarcale però penalizzava molto la moglie sterile, che poteva essere facilmente ripudiata. Perciò per le donne antiche la maternità diventava essenziale come unica forma di esistenza sociale. I racconti biblici e il Codice mesopotamico di Hammurabi attestano questo desiderio ma anche la possibilità, per la moglie sterile, di accedere a una forma compensativa di maternità mettendo a disposizione del capofamiglia una propria ancella per la generazione di figli e mantenendo così pienamente il proprio “status”

La complessità e la problematicità derivanti da tali relazioni sono riportate anche nei racconti biblici relativi a Sara e Agar e a Lia e Rachele, con risoluzioni pacifiche e armoniose in un caso o conflittuali e drammatiche nell’altro.

Ma Longoni guarda con occhi attenti a un fenomeno che per alcuni aspetti può richiamare la gestazione per altri nell’antichità. Conclude che, benché si sviluppi in contesti di netta supremazia maschile, la pratica delle “cameriere serventi” scelte dalle mogli in ambito mesopotamico e testimoniate dal Codice di Hammurabi, poteva rappresentare una soluzione per evitare bigamie, divorzi, maternità forzate o di essere ripudiate.

Una parte significativa è dedicata ai parti come momento femminile collettivo. La partoriente veniva attorniata dalle parenti ma anche dalle professioniste del parto in un susseguirsi di cure che alleviavano il travaglio, tra panni caldi, canti e preghiere rituali. Interessante la specifica etimologica e di ruolo tra levatrice (maya in greco), obstetrix e nutrice. Un articolato collettivo femminile attorno al parto, ben lontano dalle odierne esperienze di parti in solitudine. Tuttavia, non mancavano i parti in clandestinità, frutto di relazioni illecite e il fenomeno dei cosiddetti bambini “esposti”.

Uno dei contributi più preziosi di questo testo sono le pagine dedicate al codice Hammurabi. Un vero e proprio sistema legislativo di ben 282 articoli, arrivato a noi in forma incompleta, che prende il nome dal re babilonese (1792-1750 a.C.). Le norme che disciplinano i vari aspetti della vita sociale non trascurano le donne e i bambini, compresi quelli illegittimi. Vittoria Longoni sottolinea la cura di questo codice nella regolazione dei rapporti in tempi in cui i diritti dei più deboli non erano neppure pensati. Non è un documento conosciuto dai più e reputo le pagine ad esso dedicate molto rilevanti: esso non solo ci offre una testimonianza risalente a 1700 anni prima di Cristo, ma dimostra come l’umana società non sia stata nel buio della barbarie sempre e ovunque. Certo, è da considerare che la tutela e i diritti sono da inserirsi in un contesto comunque a forte impronta androcentrica, ma quello che intende sottolineare l’autrice è la volontà dei legislatori di mitigarne in parte gli effetti. E, anche se in un saggio di oggi può sembrare solo un risarcimento, Vittoria Longoni col suo occhio di studiosa spia le maglie più larghe della società nello scorrere dei secoli. Proprio in questa sua allenata lettura del passato, dei passati, acquisisce l’elasticità del raffronto, dello sguardo lungo e distante al punto da reinterpretare ciò che è stato nella varietà delle forme. Lo fa con la serietà della studiosa che tiene bene in conto il contesto storico dei fenomeni e degli eventi e a quella aggiunge un’attitudine transculturale che è ormai diventata una sua caratteristica.

In conclusione al testo, proprio in seguito ai paragrafi che parlano delle cure materne condivise nell’antica cultura romana e alle aberrazioni della pratica patriarcale della “condivisione delle mogli”, Vittoria accenna all’odierna questione della gestazione per altri. È un tema sul quale ragiona da tempo, sia individualmente che nel confronto con altre. Lo introduce, tuttavia, con delicatezza e senza alcun tono di assolutismo. Si assume la responsabilità delle sue opinioni sostenendole con convinzione ma senza rigidità. Le derivano, lei dice, anche dalla sua costante lettura del mondo antico nelle varietà di forme vitali; nella continua trasformazione che, nel momento in cui porta con sé un’istanza di vita, è degna di essere presa in considerazione.

A mio parere, sulla gestazione per altri si può non essere d’accordo. Ma l’attitudine di pensiero di Vittoria e la modalità aperta con cui esprime il suo pensiero sono di tutto rispetto.

Angela Giannitrapani

*Il libro sarà presentato alla Casa delle Donne di Milano il 5 giugno 2024, ore 18:00. L’autrice dialogherà con Carlotta Cossutta, con la grecista Anna Beltrametti e con Elena Fusarpolli di Non Una Di Meno.