di Luisa Cetti
L’uscita nelle sale del film Leggere Lolita a Teheran di Eran Riklis – adattamento del famoso romanzo di Azar Nafisi – ha offerto l’occasione per parlare di nuovo della condizione di vita delle donne iraniane a distanza di oltre quarant’anni dai momenti evocati nel film. Il 25 novembre 2024, per aiutarci a collocare in una prospettiva storica le esperienze maturate sotto il regime islamico, la Casa ha invitato a discuterne con il pubblico Leyla Mandrelli e Sadaf Baghbani, donne coraggiose che continuano a lottare, sognare e sperare nella battaglia per fare dell’Iran e del mondo intero un luogo che sia più accogliente per le donne, che ne rispetti i diritti.
Da qualche tempo, per tante ragioni, le vicende delle donne iraniane sono finite in un cono d’ombra. Oggi, se si parla di Iran, è semmai nel quadro di questioni geopolitiche, che coinvolgono Israele e Stati Uniti. Ogni tanto ci arriva una tragica notizia. Qualche giorno fa il suicidio di Kianoosh Sanjari, un attivista e giornalista, e pochi giorni prima le immagini di Ahou Daryaei, la giovane studentessa iraniana che, come gesto di sfida verso la polizia morale di Teheran, si è spogliata in pubblico nel campus universitario.
Le autorità l’hanno rapidamente classificata come pazza, del resto il disturbo mentale, seguito da ricovero psichiatrico, è prassi consueta del regime iraniano per delegittimare gli atti di protesta. Ora sappiamo che è stata liberata e l’attenzione dei social e dei media ha certo contribuito alla sua liberazione. Questi episodi sono arrivati dopo mesi di silenzio dei mezzi d’informazione occidentali.
Non era così nel settembre 2022, quando migliaia di giovani donne e uomini sono scesi in piazza in 161 città e in tutte e 31 le province del paese al grido di “Donna, vita, libertà” per protestare contro l’uccisione di Masha Amini. La giovane curda, arrestata perché non indossava correttamente il velo, è stata portata in una stazione di polizia da cui non è più uscita viva.
Il regime ha risposto alle manifestazioni e alle richieste di libertà e diritti con una repressione durissima: sono oltre 500 i morti fra i manifestanti – di cui 71 bambini – mentre più di 19 mila sarebbero stati arrestati. In molti Paesi del mondo vengono organizzate manifestazioni di solidarietà a sostegno delle piazze iraniane e lo slogan “Donna, vita, libertà” viene ripreso nei cortei e sugli striscioni (nelle foto di Carla Bottazzi una manifestazione a Milano).
Il film Leggere Lolita a Teheran, che è stato premiato alla Festa del cinema di Roma con il Premio speciale della Giuria e con il Premio del Pubblico, ci riporta agli anni che vanno da fine anni 70 ai primi anni 90 e racconta la forma speciale di resistenza attuata da un gruppo di donne che non si arrendono al clima di controllo e oppressione del regime. Insieme creano uno spazio di vita underground, clandestino: scelgono di riunirsi a casa della loro
docente universitaria – costretta alle dimissioni – per continuare a leggere e discutere testi letterari stranieri. Testi proibiti e dunque una sfida al regime iraniano, una scelta pericolosa, sovversiva e liberatoria.
A offrire una testimonianza diretta di quegli anni è Leyla Mandrelli, attivista iraniana che, allora ragazzina, ha conosciuto quegli anni cupi, a partire dal 1979 quando la repubblica islamica dell’Iran ha cominciato a imporre alle donne una graduale privazione delle libertà. Sono passati ormai 45 anni da allora e Leyla ricorda la sensazione di oppressione e di isolamento che regnava nel Paese.
La rivolta era più una scelta privata, individuale o di piccoli gruppi mentre più recentemente si era formata una rete, una condivisione che rende la rivolta più visibile, e anche più temeraria e pericolosa. Oggi si sta forse tornando a forme di protesta più isolate, singoli episodi che riescono a colpire l’opinione pubblica internazionale e tengono viva la fiamma della rivolta.
Un breve estratto dal docu-film di Ruggero Gabbai Donna, Vita, Libertà ci ha aiutato a collegare la situazione di trenta/quaranta anni fa, descritta nel film, con le battaglie degli ultimi anni. A raccontarci della lotta di tante donne iraniane e del coraggio con cui si battono per la loro libertà, autonomia e dignità è Sadaf Baghbani, giovane attrice che ha preso parte alle proteste di piazza a Teheran ed è stata colpita dai colpi delle guardie della rivoluzione, che le hanno sparato in corpo 150 pallini di piombo.
In Italia è arrivata nel dicembre del 2023, anche per farsi curare, e nella primavera scorsa è diventata la protagonista della pièce teatrale Le mie tre sorelle. Racconti da Teheran, messo in scena dal regista Ashkan Khatib al Teatro Parenti. Un dialogo struggente tra lei – che parla persiano – e le sue due sorelle rimaste in Iran, impersonate da due attrici che parlano italiano.
Sadaf (a sinistra nella foto di Carla Bottazzi) sta imparando l’italiano e a dialogare con lei ci ha aiutato Leyla. Per il regime iraniano le donne sembrano essere il nemico da annientare e chi combatte paga un prezzo altissimo, eppure la resistenza continua con un coraggio che Sadaf attribuisce alla ineluttabile necessità di ribellione, l’unica strada aperta per non soccombere all’oppressione del regime. E chiarisce che la lotta non riguarda soltanto le grandi città, ma anche i centri minori e le campagne.
Il paese è ormai maturo per un cambiamento, preparato a riconoscere i diritti fin qui negati alle donne, pronto a uscire da un regime teocratico oppressivo. Come osserva Leyla, quello su cui resta molto da interrogarsi è il ruolo dei paesi occidentali che, dopo aver espresso una forte condanna della violenza usata dal regime contro i manifestanti di piazza del 2022, ora che si è in parte esaurita l’attenzione dell’opinione pubblica – assorbita dagli scenari di guerra – mostrano un sempre più scarso interesse a favorire la spinta verso nuove prospettive per il Paese e sembrano semmai interessati a un ritorno agli affari di sempre.