logo accademia limpeLa mattina del 28 marzo si è svolto presso la Casa delle Donne di Milano un incontro, pensato e voluto da tre neurologhe (Vincenza Fetoni, Ospedale  Fatebenefratelli; Francesca Mancini, Casa di Cura Pio X; Maria Antonietta Volonté, Ospedale San Raffaele) per affrontare con un’ottica di genere la Malattia di Parkinson.

All’incontro hanno partecipato 60-70 persone, per lo più donne, ma non mancavano uomini colpiti dalla stessa malattia e uomini che accompagnavano le mogli.

Vincenza Fetoni ha introdotto il concetto di medicina di genere nata dopo che, negli anni 80 del secolo scorso, fu messo in evidenza (da ricercatrici!) che le donne con un infarto cardiaco avevano sintomi diversi dagli uomini, tanto che spesso la malattia non era riconosciuta, e la ricerca farmacologica escludeva o sottorappresentava le donne.

Maria Antonietta Volonté ha illustrato  le caratteristiche della malattia e le differenze fra i generi, alcune delle quali “a favore” delle donne (un esordio più tardivo, un’evoluzione più lenta); molto poco ancora si sa invece delle differenze nella risposta ai farmaci, anche perché si tende a utilizzare la stessa dose di farmaci (malgrado le differenze di peso e di distribuzione del farmaco nell’organismo fra uomini e donne).

Infine Francesca Mancini, su diapositive rallegrate da una piccola strega, ha provato a elencare gli aspetti della vita delle donne che richiedono cambiamenti in presenza della malattia: dall’impegno nel lavoro di cura all’abitudine di far tante cose insieme, dai ritmi frenetici imposti dalle professioni alla difficoltà di accettare di “lasciarsi curare”.

Sorprendenti le testimonianze, numerose e partecipate: Lucilla Bossi è una veterana dell’associazionismo, suo il bel libro Ogni giorno vale una vita; Claudia Milani, fondatrice e presidente dell’Associazione Giovani Parkinsoniani (AIGP) ci ha ricordato che la malattia, benché più frequente dopo i 60 anni, può colpire anche i giovani e che – fra le discriminazioni che colpiscono le donne con Malattia di Parkinson – va ricordato il minor ricorso alla chirurgia (una sorta di pace-maker cerebrale) perché la sua gestione richiede la presenza e la disponibilità di una persona che assista la malata; diverse persone hanno raccontato come la malattia ha dato l’opportunità di riconsiderare modi e tempi del proprio vivere, di dedicare più tempo a sé stesse o condividerlo con altre, come fanno le socie de La luna nel pozzo di Cremona che si incontrano periodicamente “semplicemente per parlare”. Non sono mancate le risate per i racconti, a testimonianza che è fondamentale imparare a vivere con la malattia piuttosto che combatterla e che ciascuna può trovare dentro sé e insieme ad altre le risorse per una buona vita, pur nei limiti imposti dalla malattia.

Maddalena Gasparini