Eccoci nel nuovo anno con testi che sviluppano temi già aperti tra di noi.
Il libro di Hannah Arendt, “Sulla violenza”, s’inserisce nella complessa riflessione sulla guerra e viene proposto in questi giorni al gruppo di lettura interno alla Casa (l’incontro è previsto per 26 gennaio alle 17,30). Il testo di Antonella Viola, “Il sesso è (quasi) tutto”,  aiuta a comprendere su una base scientifica aggiornata i temi del dibattito sui generi che abbiamo iniziato alla Casa l’anno scorso. Il bel romanzo dell’autrice israeliana Hila Blum, “Come amare una figlia”,  ripropone il tema della relazione tra madre e figlia e i rischi del troppo amore e della possessività con grande forza narrativa e stilistica.

Continuate a leggerci e a mandare osservazioni e contributi a librarsi@casadonnemilano.it


Hannah Arendt
Sulla violenza
Parma, Guanda, 2017

Hanna Arendt, "Sulla violenza"Tuffarsi nel reale per pescare le perle: un pensiero divergente

Hannah Arendt fa parte di quel gruppo di donne (Simone Weil, Rachel Bespaloff, Hetty Hillesum, Edith Stein) che hanno attraversato gli eventi più drammatici (guerre, esilio, genocidio, rivoluzioni) del XX secolo e ne hanno lasciato le testimonianze più profonde, sviluppando pensieri originali e mai preconcetti e tuttora attuali.

Uno dei più importanti temi di riflessione di Arendt è la sfera politica, intesa come sfera di esistenza autentica in cui attraverso potere condiviso, azione a più voci, esercizio della libertà, comunicazione e progettualità gli esseri umani si realizzano in quanto tali.

L’uguaglianza, non presente nella sfera della necessità naturale, lo è in quella dei diritti di cittadinanza e nel confronto delle diversità. I totalitarismi sono l’opposto di tutto questo (unicità, libertà partecipazione).

Dal pensiero politico ne consegue quello sulla violenza. Il libro Sulla violenza contestualizza la riflessione della studiosa negli anni ’70 del XX secolo, il periodo delle contestazioni studentesche mondiali, però contiene intuizioni ancora utili oggi.

Come sempre Arendt applica il suo originale metodo di pensiero che non risponde a nessuna ideologia precostituita e parte dalla osservazione dei fatti concreti nell’ottica della filosofia politica.

Pensare la violenza

Secondo l’autrice, sebbene la violenza sia una costante dell’agire umano, è stata ben poco sottoposta a esame critico e si continuano a usare come equivalenti parole di significato diverso (potere, forza, autorità, potenza), con gravi fraintendimenti. Così Arendt conia le sue definizioni:
Potere: capacità umana di agire di concerto. Appartiene sempre a un gruppo.
Forza: energia sprigionata da eventi naturali e sociali.
Autorità: riconoscimento indiscusso di quelli a cui si chiede di obbedire.
Potenza: caratteristica singolare, inerente al carattere.

La violenza invece si distingue da tutte le altre manifestazioni per il suo carattere strumentale; non ha una ragion d’essere in sé e quindi ha sempre bisogno di una giustificazione esterna. Il potere che è la capacità di agire insieme, può solo essere ucciso dalla violenza.
Il terrore sorge quando la violenza, dopo averlo abolito, vuole essere duratura e perciò deve far scomparire ogni forma di opposizione organizzata e deve perseguitare anche i suoi sostenitori. Mentre Il potere ha sempre bisogno di condivisione, la violenza no, perché si affida alla minaccia degli strumenti bellici.

I mezzi che stravolgono i fini

L’elemento cruciale del periodo in cui scrive la Arendt (e anche di oggi) è l’enorme sviluppo della tecnologia bellica, in particolare di quella atomica (che paradossalmente viene giustificata come deterrente). C’è il concreto rischio, afferma la pensatrice, che i mezzi travalichino il fine perché le azioni umane vanno oltre il controllo dei protagonisti. Gli avvenimenti inaspettati scardinano le previsioni di un pensiero scientista astratto. La violenza non è irrazionale, come spesso si sostiene, se davvero raggiunge il fine proposto. È un’emozione che consegue alla rabbia (non è ricalcata sugli istinti animali e non esprime un’insopprimibile pulsione all’aggressività) e può diventare una modalità dell’agire politico specificamente umano. È appunto il suo uso politico distorto che la rende pericolosa. Le guerre continueranno finché non si troverà un’altra modalità di risolvere le controversie internazionali perché la guerra è un sistema sociale fondamentale. E nessuna guerra generalizzata può essere considerata una “continuazione della politica con altri mezzi” perché “sarebbe un suicidio di specie”.

Immaginare l’impensato

La violenza, comporta sempre di più il rischio di una sproporzione tra mezzi e fini e può scomparire solo grazie a un’azione umana che trovi nuove modalità di risolvere le controversie. Nessun paese, per quanto sia vasto il suo arsenale bellico, è al riparo, così come la sua potenza non può essere misurata in termini di ricchezza e abbondanza. Parole e intuizioni come vediamo ancora assolutamente attuali. Solo un pensiero libero dal potere maschile come quello di Arendt può prefigurare modi di relazione, interazione, risoluzione dei conflitti senza ricorrere alla guerra e trovando nuove strade di conciliazione e arbitrato, come del resto hanno fatto anche altre, da Simone Weil a Hetty Hillesum, mettendo in gioco corpo, mente e la stessa vita. Solo un pensiero “umano”, non binario, libero da determinismi culturali, può immaginare altri modelli di convivenza.

Marilena Salvarezza


Antonella Viola
Il sesso è (quasi) tutto
Evoluzione, diversità e medicina di genere
Milano, Feltrinelli, 2022

Immagine della copertina del libro recensito "Il sesso è quasi tutto"Negli incontri che abbiamo tenuto alla Casa sui temi della diversità e della fluidità dei generi sono emerse varie opinioni ed esperienze personali. Il merito di questo libro di Antonella Viola, di cui abbiamo conosciuto la competenza medica e scientifica, sta nel tentativo di chiarire le basi scientifiche di questo dibattito, secondo le ricerche più recenti. Partendo da molto lontano: dal significato biologico ed evolutivo della riproduzione sessuata, con grande attenzione alle sfumature e alle variazioni.

“Negli esseri umani la definizione di sesso biologico si fonda sul patrimonio genetico, sugli organi genitali e sul quadro ormonale generale […]. Ma esistono le sfumature. Possono esserci alterazioni nel corredo cromosomico, alterazioni degli ormoni, forme di genitali che non sono tipiche del sesso maschile o femminile […]. Si stima che fino all’1,7 per cento dei nati manifesti caratteri sessuali che non corrispondono esattamente alle nozioni binarie del corpo maschile o femminile. Spesso questi bambini vengono sottoposti a trattamenti medici che hanno lo scopo di “normalizzare” la loro condizione. Ma questo tipo di intervento può essere gravemente traumatico e complicare il benessere del bambino e la sua futura vita sessuale. Accogliere le sfumature, accettare di non classificare, aprire la nostra mente per andare oltre lo schema culturale che ci è stato imposto è la rivoluzione che oggi possiamo compiere”.

Se la nostra cultura ha esasperato e strumentalizzato in nome dell’ideologia patriarcale le differenze legate al sesso biologico e al genere, dall’altro la scienza medica le ha ignorate troppo a lungo. Fin dalla tradizione greca antica il fisico maschile è stato posto al centro, come modello primario; i corpi femminili sono stati considerati come variazioni secondarie, imperfette e incomplete, poco studiati, poco considerati e, di conseguenza, curati male. Da qui la necessità di aprire e approfondire oggi i molti percorsi della medicina di genere, e di ripensare anche tutta la scienza, la tecnologia e le analisi sui cambiamenti climatici in questa prospettiva.

Nel libro di Viola si parte dalle cellule, dal DNA e dal RNA, dalle mutazioni che basandosi su errori di trascrizione genetica danno vita a nuove possibilità evolutive. A partire dalle grandi risorse di varietà che ha offerto la riproduzione sessuata rispetto a quella asessuata, in cui ogni organismo può solo generarne un altro identico a sé: “il sesso è comparso per la necessità di impedire la fusione di gameti geneticamente identici […]. I sessi sono comparsi quando i gameti sono diventati diversi. Il concetto di sesso è quindi strettamente legato a quello di differenza

Amore, cura, promiscuità o fedeltà, motivi di attrazione visivi, olfattivi e di altro tipo possono essere esaminati in tutti i viventi. Le varie forme di intersessualità vanno comprese e accolte: la medicalizzazione delle alterazioni è una forma di violenza sui bambini e deve poter avvenire solo in persone adulte e consapevoli del percorso.

Molto interessanti anche le ricerche sull’orientamento sessuale, in particolare quelle sui gemelli identici sul piano genetico. Le persone non scelgono di essere eterosessuali, omosessuali o altro ancora secondo le varietà indicate nell’acronimo LGBTQI+; lo sono, come risultato prevalente di diversi fattori di natura biologica, genetici, ormonali e ambientali (a partire dalla diversa disposizione nell’ambiente uterino, che può essere differente anche per i gemelli identici).

Altre parti importanti del libro di Viola riguardano la necessità di tenere conto del genere in tutti i campi  della medicina: per esempio studiare il diverso impatto del Covid e delle strategie messe in atto per contrastarlo sulle donne, che hanno molto risentito della convivenza forzata imposta dal lockdown per quanto riguarda le varie forme di violenza; o sulla comunità transgender, che ha vissuto ansia, stress e depressione  per la maggiore difficoltà di accedere alle cure di cui necessita. La medicina di genere è solo agli inizi. Le donne vengono curate con protocolli e farmaci creati per gli uomini e testati prevalentemente su di loro, anche se ormai è ben nota la differenza tra uomini e donne per quanto riguarda la composizione corporea, il metabolismo, lo stato ormonale, il sistema immunitario e la risposta ai farmaci in generale.

Gli ultimi capitoli del libro danno analisi convincenti sulla necessità di individuare e combattere gli stereotipi di genere che influenzano le modalità e i risultati della ricerca, i criteri di selezione del personale, le attribuzioni dei finanziamenti in ambito scientifico e tecnologico. Anche nel campo dell’intelligenza artificiale c’è il rischio di trasmettere e rinforzare gli stereotipi di genere e le visioni strettamente binarie. Le macchine intelligenti che stiamo creando sviluppano particolari capacità attraverso le informazioni e l’esperienza che trasmettiamo loro: se tutti questi dati sono inficiati dagli stereotipi, anche i robot li replicheranno. Il campo dell’innovazione va monitorato criticamente: il punto di vista maschile e binario influenza ancora in profondità i modi e i risultati delle ricerche tecnologiche.

“Per vivere il futuro in modo diverso e migliore rispetto al passato dobbiamo creare un nuovo linguaggio, una nuova semantica per parlare con le intelligenze artificiali e con gli uomini del domani dell’importanza delle differenze per il raggiungimento della parità”.

Quindi grande attenzione alle differenze: per evitare che si traducano in squilibrio e discriminazione. In positivo, le differenze ben comprese e gestite sono state e possono essere ancora garanzia di pluralità e ricchezza biologica e culturale e anche di maggiori possibilità di sopravvivenza e di innovazione.

Vittoria Longoni


Hila Blum
Come amare una figlia
Torino, Einaudi, 2022

H. Blum, "Una figlia"La madre protagonista di questo romanzo racconta innanzitutto con estrema partecipazione lo straordinario amore per la figlia, l’incanto della presenza della nuova creatura, il suo fascino, la relazione intensissima che si è stabilita tra la bambina e i due genitori.

Solo a poco a poco, tra le pagine, affiora la narrazione di un malessere della donna precedente alla nascita della figlia, le sue depressioni ricorrenti. L’arrivo della bambina ha cancellato quasi magicamente tutte le difficoltà della madre: “Nei mesi della gravidanza il mistero dell’amore mi tormentava, ma nel momento in cui è nata mia figlia tutto si è risolto […]. Ero rinata insieme alla bambina”.

Lo stile di Hila Blum è tanto efficace che si stenta a credere che questo sia un romanzo e non un’autobiografia, un caso diretto di “scrittura di esperienza”.

Il punto di vista della protagonista è onnicomprensivo e vorace, così come l’amore di questa madre. Tanto innamorata della figlia da non mettere a fuoco realmente la differenza tra le due persone.

L’invadenza materna nella vita della bambina, e poi ragazza e adolescente, è priva di autocoscienza e porta a sbagliare.

Eppure qualche segnale di autonomia la bambina lo aveva mandato: fin da quando, da piccola, “mi diceva sottovoce e non per scherzo, e tutta seria: – Vattene via, lasciami in pace -. Allora non riuscivo a guardarla. La ignoravo per un po’ e lei si rattristava”.

Già nelle prime pagine del romanzo sappiamo però che la figlia, da adulta, ha messo oltre cinquemila chilometri di distanza tra se stessa e la madre, ha interrotto quasi completamente i rapporti con lei, non le ha fatto conoscere il compagno di vita e le sue due bambine.

La ricerca della madre, che va a spiarne di nascosto la vita sconosciuta, si snoda di pari passo con la rievocazione del rapporto passato. Quasi senza volerlo, e senza esserne cosciente, la protagonista finisce per lasciar trapelare quali errori imperdonabili ha compiuto nella sua eccessiva identificazione con la figlia. Chi legge li comprende, la personaggia stenta a capirli.

Hila Blum, nata a Gerusalemme, dopo aver lavorato a lungo come editor in una casa editrice israeliana, con questo suo secondo lavoro ha vinto l’importante premio Sapir 2021. Il romanzo è in corso di traduzione in venti paesi.

Vittoria Longoni