Eccoci, in occasione del 25 aprile, con l’autobiografia di Velia Sacchi, Io non sto a guardare– Memorie di una partigiana femminista; con le riflessioni di [ps2id url=’#a11′]↓[/ps2id] Laura Boella e Annarosa Buttarelli sulla filosofa e mistica Edith Stein, che morì ad Auschvitz, Per amore di altro; e con un romanzo recente di [ps2id url=’#a12′]↓[/ps2id] Joanne Ramos sullo sfruttamento delle donne povere nella maternità surrogata, La fabbrica .
Segnaliamo che il SistemaBibliotecarioMilano propone ogni mercoledì un nuovo libro di una scrittrice milanese, che si può scaricare e leggere gratuitamente collegandosi al sito milano.biblioteche.it/milanodaleggere
Velia Sacchi
Io non sto a guardare. Memorie di una partigiana femminista
a cura di Rosangela Pesenti, Manni 2015
Molte donne hanno partecipato alla Resistenza, in varie forme, nella città di Bergamo: ora la ricerca storica e le associazioni della città lavorano a ricostruirne le figure. Questo libro, corredato da varie immagini e documenti d’epoca, e da pagine di diario scritte a caldo durante gli anni cruciali, contiene l’autobiografia di Velia Sacchi: partigiana attiva negli anni difficili tra il 1943 e il 1945, giornalista e collaboratrice in clandestinità del quotidiano “L’Unità” e di “Noi donne”, la rivista dell’UDI.
Nata a Bergamo nel 1921, Velia, pittrice e scultrice, entrò nella Resistenza quando era sposata da poco e aveva una bambina di due anni: una scelta difficile, soprattutto quando fu arrestata e poi passò alla clandestinità. In questo libro ripercorre la sua esperienza con sguardo e cuore di donna: l’attività di staffetta, i quotidiani episodi di coraggio, lo sviluppo della resistenza sul piano civile e morale, ma anche gli scontri con le posizioni sessiste ancora ben vive tra i compagni e i dirigenti, i dilemmi sull’uso della violenza, la denuncia dell’emarginazione delle partigiane dai posti di comando.
Velia diede vita all’Associazione femminile per la pace e la libertà, che poi confluì prima nei GDD e quindi poi nell’organizzazione dell’Udi al termine del conflitto. L’autobiografia di Velia Sacchi ripercorre nel secondo dopoguerra e nei decenni successivi gli sviluppi di una democrazia che si rivela dimezzata e incompiuta, rispetto alle speranze iniziali; il tentativo di mettere a tacere e rimandare a casa le donne che avevano tanto contribuito alla Resistenza; le inerzie di una attività legislativa che lascia sopravvivere, soprattutto per le donne, regole, norme e costumi di epoca fascista; il tenace impegno per le riforme civili e sociali. Velia ha proseguito per molti anni la sua attività di giornalista e di donna attenta a tutte le questioni più scottanti della realtà italiana, a cui ha dato espressione anche nelle sue opere di scultura e di pittura, attività che ha continuato anche in vecchiaia. La sua vita intensa e coerente si è conclusa nel 2015 e questa autobiografia ne costituisce un lascito prezioso.
Per le opere di Velia Sacchi: https://www.veliasacchi.com
Vittoria Longoni
La curatrice del libro, Rosangela Pesenti, dirigente dell’UDI e scrittrice a sua volta, mette inoltre a disposizione, scaricabili gratuitamente in pdf dal sito www.rosangelapesenti.it, i propri testi Trasloco, Periferie e Racconti di case, oltre a saggi in volumi collettanei. Basta cliccare sulle copertine, nella parte finale del sito.
[ps2id wrap id=’a11′]
Laura Boella, Annarosa Buttarelli
Per amore di altro
Ed. R. Cortina 2000
Il libro propone alcune lezioni tenute all ‘Università statale da Laura Boella sul tema “Empatia in Edith Stein” e riflessioni di Annarosa Buttarelli, dell’Università di Verona.
Edith Stein, nata a in Polonia nel 1891, si stacca presto dall’ebraismo della famiglia, si dichiara atea e si laurea in filosofia con Husserl, con una tesi sull’empatia. Durante la stesura della tesi va a fare la crocerossina tra i feriti della prima guerra: una vicinanza ai più deboli e sofferenti, che proseguirà per tutta la sua vita. L’empatia, nel suo pensiero, è un atto mediante il quale io accolgo l’altro, il suo dolore o la sua gioia. Senza immedesimarmi con l’altro/a, posso accoglierlo dentro di me e comprenderlo, pur nella sua alterità. Tra le vicende atroci del ‘900 la Stein scopre l’empatia con gli uomini, ma anche con Dio. Non poté fare carriera accademica, allora proibita alle donne, ma mentre insegnava in un liceo femminile scoprì, attraverso lo studio di filosofi come Tommaso, Agostino e Husserl, ma anche dei mistici come Teresa d’Avila, Giovanni della croce e Dionigi l’Areopagita, che le donne sono privilegiate nel campo dell’empatia e della vita spirituale, nell’ascolto dei corpi e delle anime. L’empatia come apertura all’altro, può essere praticata in molti campi: la vita sociale, amorosa, l’esperienza estetica e spirituale. Edith Stein legge tutto d’un fiato un libro di Teresa d’Avila, decisivo per la sua fede, poi entra in un monastero come carmelitana. Non lo fa per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche: proprio lì la Stein soffre insieme agli uomini e alle donne del suo tempo e morirà ad Auschwitz nel 1942.
L’empatia è un paradosso: faccio esperienza interiore di un’esperienza che non è la mia. E’ amore per l’altro/a. Conosco l’altro e conosco me, nello stesso tempo. Infine la ricerca mistica dovette sembrarle l’unica via: l’empatia con Dio. Come dicono i mistici, di Dio non si può parlare, l’unica via per conoscerlo è un rapporto personale, un silenzio, un’oscurità. Un buio che può essere duplice: notte paurosa, dove ci sembra di vedere fantasmi e incubi; oppure notte illuminata dalla luna, che ci mostra le cose in modo nuovo e dona uno stato di pace. Secondo Stein si arriva a Dio attraverso 4 forme, o gradini: la teologia naturale (simboli come il fuoco ci parlano di Dio); la fede, che resta conoscenza oscura; la rivelazione o ispirazione: alcuni, anche persone senza fede, possono essere messaggeri di Dio. L’ultimo stadio è la conoscenza per esperienza empatica, che porta allo “visione beatifica” (e qui pensiamo al paradiso di Dante). Scrivendo il suo saggio Vie della conoscenza di Dio Stein torna alla lettura sapienziale dell’Antico Testamento, trasmesso dalla madre ebrea. Poi torna alla sua seconda madre, Teresa D’Avila. La sua lingua materna è diventata filosofia mistica. Stein affrontò il martirio ad Auschwitz con la forza e la pace interiore che aveva scoperto. ”Andiamo per il nostro popolo” furono le sue parole alla sorella, mentre le arrestavano.
Serena Accascina
[ps2id wrap id=’a12′]
Joanne Ramos
La fabbrica
Ponte alle Grazie, marzo 2020. Traduzione di Michele Piumini, disponibile in ebook.
Amalia è nel marsupio. “Quanto ha? Quattro settimane” risponde Jane, piena d’orgoglio.
E’ al Pronto Soccorso, in cerca della cugina Evelyn colta da un malore, bambinaia in una lussuosa abitazione a Manhattan.
Jane, Evelyn – detta Ate – Mae e Reagan, una storia di donne, quattro le protagoniste.
Filippina, abbandonata dal marito, Jane trova nel Queens un posto dove sopravvivere con la sua bambina, insieme alla cugina e ad altre donne. Quando Amalia ha sei mesi, e lei neanche un soldo, accetta il consiglio, di Ate: farà la madre surrogata alla GOLDEN OAKS FARM, a due ore da New York, accanto a donne povere come lei. Dopo severi test entra a far parte della Fabbrica di bambini – embrioni congelati immessi nell’ utero – dove per tutta la gravidanza viene sorvegliata: i feti devono diventare i bambini perfetti di coppie ricche, quasi sempre bianchi, di donne che per la carriera, gli impegni sociali, l’età o motivi estetici, pagano chi fa figli per loro. Controllate elettronicamente 24 ore su 24 le ospiti sono private dei cellulari, delle visite di parenti e amici. Jane avrà un vantaggio economico, ma soffre la mancanza della figlia. Le è accanto Reagan, di famiglia ricca, ospite anomala nella Fabbrica, che vuole rendersi autonoma dal padre. La prigione dorata rende quasi impossibili i contatti con l’esterno, non c’è modo di ribellarsi. Il contratto dura nove mesi, se il feto non è perfetto, l’aborto. Tutto in nome della sicurezza fetale come ricorda fino all’ossessione la direttrice della Fabbrica, Mae, americana di origine cinese, che sfrutta con glaciale indifferenza il bisogno di soldi delle giovani donne.
Joanne Ramos è di origine filippina. Ben conosce la vita di donne filippine che vivono in America, al servizio di ricche famiglie. Anche la maternità è diventata un servizio, ben retribuito se il prodotto è perfetto. Il mondo dei soldi compra l’utero di donne di un mondo povero. Però non c’è giudizio nel romanzo della Ramos: è la fotografia di una situazione assolutamente verosimile che ferisce per la durezza delle situazioni, per la crudezza del linguaggio, che tiene incantati a un racconto che coinvolge, grazie anche alla traduzione sapiente di Michele Piumini. Gli occhi non vogliono lasciare la scrittura, la lettura scorre emozionata e veloce.
Lucia Castelli