Eccoci, nel cuore dell’estate, con libri che hanno molto da dirci in questa fase. Il saggio di Alessandra Chiricosta, Un altro genere di forza, Iacobelli 2019, contiene interessanti riflessioni femministe sul tema della forza virile e sulle possibilità di scoprire, anche rivisitando alcune correnti orientali di pensiero e di pratica, modalità alternative di forza che non portano alla sottomissione violenta e al dominio patriarcale e coloniale, anzi aiutano le donne a trovare fiducia ed energia collettiva, oltre gli stereotipi; il romanzo di Valérie Perrin [ps2id url=’#a33′]↓[/ps2id] Cambiare l’acqua ai fiori, edizioni e/o 2019, unisce a una delicata Spoon River cimiteriale, situata in Francia, un appassionante intreccio di vite, soprattutto femminili, con amori, tragedie, lutti e rinascite simboliche impreviste; il tema della relazione tra i vivi e i morti è anche al centro di Quel che affidiamo al vento, un romanzo di ambientazione giapponese di [ps2id url=’#a34′]↓[/ps2id] Laura Imai Messina, ed Piemme 2020. La pandemia di coronavirus ha ulteriormente sollecitato pensieri ed emozioni sul tema dei rapporti di forza tra i generi, e sulle trame che connettono vita e morte. Mandateci commenti e contributi all’indirizzo librarsi@casadonnemilano.it, continueremo a pubblicarli anche in tutto il periodo estivo. Buone letture e buona estate!
Alessandra Chiricosta
Un altro genere di forza
Iacobelli , settembre 2019, disponibile anche in ebook
Nel mio percorso di vita, tra i benefici incontri degli ultimi anni, significativi sono stati la pratica dell’autocoscienza guidata da Daniela Pellegrini e la pratica marziale del Taijiquan.
Il saggio di Alessandra Chiricosta “Un altro genere di forza” ne evidenzia l’ analogia come “pratiche pensanti che affinano quella sensibilità corporea e intellettiva necessaria a trovare equilibri dinamici e contestuali in relazione, sempre mutevoli e diversi che consentono di agire nella Storia”. C’è una forza inedita e inaddomensticata dal patriarcato che non è violenza, aggressione, dominio sull’altro, propria del “vir”, ma una forza che è consapevolezza, equilibrio dinamico, capacità di concepire un limite; una forza di un altro genere che è capacità di conoscersi e di costruire nel conflitto – contatto con altri corpi la forza verdeggiante femminile che sconfigge l’avversario sia sul terreno di lotta che simbolicamente.
Nella prima parte del saggio, (pars destruens) attraversando i miti, la filosofia, la storia occidentale, la medicina orientale, l’autrice smonta pezzo dopo pezzo il paradigma patriarcale della relazione sesso-genere, dell’asimmetria biologica naturalmente accettata: i maschi sono forti, le femmine sono deboli.
L’uomo forte può combattere, può partecipare alla guerra, può avere piena cittadinanza, è capace di pensare e non vive in preda alle proprie emozioni. La donna è definita sulla base di ciò che non è: non è forte dunque non combatte, non ha pieni diritti politici, non è in grado di pensare razionalmente.
Questo dispositivo di biopotere, finalizzato a confermare una gerarchia in base al genere è l’elemento cardine delle ideologie patriarcali; ha rimosso il piacere femminile del combattimento come corpo-realtà (grazia, S.Weil) che si concepisce come non soverchiante, “ma che parte dalla spirale dell’autoaccrescimento e si manifesta come pratica liberatoria” (pag. 118).
Il daoismo cinese, i wu xing, i cinque movimenti o principi agenti del cosmo Acqua, Legno, Fuoco, Terra Metallo, scandiscono la spirale della consapevolezza di un altro genere di forza.
Accompagnano la pars contruens sulla “funzione guerriera al netto della guerra”, oltre Simone Weil, Angela Putino, Rosy Braidotti e molte altre… Un libro prezioso per pratiche di liberazione.
Manuela Pennasilico
[ps2id wrap id=’a33′] Valérie Perrin
Cambiare l’acqua ai fiori
Trad. it . Edizioni e/o, 2019- disponibile anche in ebook
E’ un romanzo sorprendente, delicato e intenso, che non a caso ha fatto compagnia a molte persone durante il lockdown. Tratta di vite difficili, di amori, coincidenze, morti e sopravvivenze simboliche in forme impreviste: tutto raccontato con un misto di ironia e di passione, e spesso mostrato attraverso piccoli dettagli. L’ambientazione iniziale, e ricorrente, è cimiteriale: la protagonista si chiama Violette Toussaint (il cognome identifica in francese la giornata dei morti) e fa la guardiana di un cimitero. In una sorta di Spoon River, le tombe che lei cura si animano di intensi – per quanto minimi – ricordi di vita. La gentile e simpatica Violette dal cuore grande è un’acuta osservatrice dell’umanità variegata che attraversa il cimitero, ha sempre parole di comprensione per i parenti dei morti, è capace di far rivivere ricordi: dietro la sua apparente semplicità, è una donna di profonda sensibilità che ha vissuto grandi dolori. Il suo passato si ridisegna poco a poco, man mano che la trama si sviluppa, accanto a quello di altre figure dalla vita insospettabile e misteriosa. Il romanzo si anima di vicende amorose sorprendenti e ha al centro un giallo vero e proprio, anzi quasi un noir. Tra passaggi ironici, momenti di sessualità, incontri imprevisti e bizzarri, lutti e passioni che resistono al tempo, l’autrice si muove tra il mondo dei vivi e quello dei morti con delicatezza e abilità. Cambiare l’acqua ai fiori non è solo il più comune gesto di pietà in un cimitero, è anche una commovente metafora di come una donna dal passato difficile può rivivere e rifiorire a più riprese esercitando la propria resilienza, cambiando il proprio contesto e trovando autentiche relazioni affettive.
Vittoria Longoni
[ps2id wrap id=’a34′] Laura Imai Messina
Quel che affidiamo al vento
ed. Piemme 2020
A nord-est di Tokio, a sette ore di auto, c’è un giardino chiamato Bell Gardia. Tra le aiuole ben curate e i vialetti si trova una cabina telefonica con un telefono. L’apparecchio è di quelli di una volta, a disco, ma non è collegato a nessun cavo. I giapponesi usano entrare nella cabina, sollevano la cornetta e parlano con i loro cari perduti. Lo aveva istituito nel 2010 Itaru Sasaki per sé, dopo un doloroso lutto ma nell’anno successivo, il 2011, lo tsunami proprio in quella regione e attorno al paese di Otsuchi aveva spazzato via migliaia di persone. Dopo quella tragedia si sparse la voce della bizzarra cabina che tanto conforto procurava a chi aveva perso i familiari. Da allora giapponesi di entrambi i sessi e di tutte le età arrivano a Bell Gardia per parlare con i propri defunti, a volta anche con chi è in vita ma si è perso; comunque per parlare con se stessi e con il proprio dolore. Non tutti entrano subito nella cabina, c’è chi ha bisogno di tempo e così rallenta sedendo su una panchina o passeggiando lungo i vialetti, oppure sorseggiando un tè nell’alloggio del custode che ha una parola appropriata per tutti e la cui accoglienza aggiusta gli equilibri e adatta i tempi dei visitatori.
Questo ci racconta Yui, il personaggio del romanzo “Quel che affidiamo al vento”, la giovane donna che ha perso la madre e la figlia durante lo tsunami del marzo del 2011. Nei suoi lunghi tentativi di entrare nella cabina per parlare con loro al “telefono del vento” esprime la sua immensa perdita e disegna il percorso di rinascita del suo amore per la vita e per gli altri. Lo fa con altri compagni di lutto e con una bambina, anch’essa travolta dalla perdita della madre. Dà voce a Yui e agli altri personaggi Laura Imai Messina, una scrittrice italiana che vive in Giappone da anni. Conduce la storia, emblematica di tante, con la delicatezza con la quale i giapponesi trattano dei loro sentimenti e la tenacia con la quale ricompongono i cerchi spezzati della vita e della morte nell’indomabile spinta a fare della perdita, del vuoto, uno spazio di ricomposizione e unione. Il libro, pur evocando il dramma collettivo dello tsunami e il lutto individuale, ha la leggerezza ariosa dei giardini giapponesi. La scrittura, intrisa di vocaboli della lingua nipponica, riflette le atmosfere e la cultura del Sol Levante ma trattiene il ritmo e la conformazione dello stile occidentale.
Va letto per conoscere nuovi modi di sopravvivere alla perdita e per gustare la delicatezza del racconto. E, se ci si perde con estrema accondiscendenza tra le pagine di Laura Imai Messina, va ben tenuto presente che “Kaze no Denwa”, il telefono del vento, esiste davvero. E’ a Bell Gardia – Otsuchi, sul fianco della Montagna della Balena.
Angela Giannitrapani